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La stanza che non c'e'

di Lorenza Montanari

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La prima a dirlo fu Virginia Woolf: per dedicarsi alla scrittura, è indispensabile disporre di una stanza tutta per sé, ovvero di uno spazio tranquillo e silenzioso, dove ritirarsi, pensare e, infine, metter mano alla penna. Per scrivere è assolutamente necessario avere una porta da chiudersi dietro, lasciando fuori le altre questioni della vita e accomodandosi in un ambiente intimo e riservato. Dicono che la scrittura 'femminile' si differenzi da quella 'maschile' per lo stile linguistico, per i temi trattati, per il tono della narrazione o della trattazione. Ma in realtà la produzione letteraria delle scrittrici si differenzia da quella degli scrittori soprattutto per 'come nasce', il che comprende anche il 'dove nasce': se infatti le opere maschili vedono la luce, in genere, nel silenzio di uno studio e sul legno di una scrivania, la letteratura 'delle donne' spesso prende forma 'dove può', magari sul tavolo di cucina, o in un angolo del salotto, oppure sul letto nelle ore rubate al sonno. Il tutto accompagnato, a seconda dei casi, dal sottofondo di una tv perennemente accesa, dal via vai quotidiano con tanto di trilli di porta e telefono, oppure da quel silenzio notturno che ricorda, a chi veglia, che gli altri intanto dormono e recuperano energie. Sembra impossibile che, nel terzo millennio, le cose stiano ancora così: la maggior parte delle donne, oggi, ha sufficiente indipendenza economica per permettersi una stanza in più, ma il punto è un altro e non riguarda le disponibilità materiali ma un ruolo femminile che tarda a cambiare volto. Se infatti è comunemente accettato che una donna partecipi al mondo del lavoro e produca reddito, non viene invece vista 'di buon occhio' la creatività femminile, ossia quell'esigenza di esprimersi, di dedicarsi a qualcosa che piaccia e dia soddisfazione, di andare oltre i recinti della pura attività lavorativa, tentando di dire e dare di più. Tutto questo, agli uomini, è da sempre consentito (tipica la frase: 'che ci vuoi fare…lui ha bisogno dei suoi spazi'), ma alle donne no, e spesso sono loro stesse a negarsi gli 'spazi' in questione, anche perché non accettano l'idea di averne bisogno. E invece è un'esigenza che, da sempre, grida forte nell'animo femminile. Era la fine del 1700 quando, in un giorno qualsiasi, subito dopo il breakfast, Jane Austin liberò per sé un angolo del tavolo e vi sistemò fogli, penna e calamaio, senza neppure avere un'idea precisa in mente, tant'è che nel bel mezzo della pagina scrisse semplicemente: 'Prime impressioni'. Ma poi riempì una gran quantità di fogli con altrettanti fatti, dialoghi e sentimenti che vennero pubblicati con il titolo di 'Orgoglio e pregiudizio'. La scrittrice viveva in un ambiente affettivo, tranquillo e molto colto. Eppure a un certo punto cominciò a sentirsi in gabbia e allora quell'impulso, liberare per sé un angoletto del tavolo e spaccare le sbarre con la forza della penna. Circa un secolo dopo moriva Emily Dickinson e la sorella Lavinia scoprì per caso, nascoste nella camera da letto, un'infinità di carte riunite in fascicoli con il filo da rammendo. In famiglia non era un segreto che talvolta Emily scrivesse: anche in un ambiente oppressivo e puritano come quello in cui viveva, era normale che alle donne venisse concessa qualche bizzarra leggiadria, anche per dar sfogo alla loro delicatezza d'animo. Ma nessuno immaginava che, nella solitudine di quella stanza, un grande poeta di nome Emily avesse scritto ben millesettecentosettantacinque poesie, espressione di un talento straordinario che ha segnato per sempre la storia letteraria dell'occidente. Una stanza, ecco il segreto. La prima ad arrivarci fu appunto Virginia Woolf, che nel 1928 tenne due conferenze sul tema 'Le donne e il romanzo' che poi fece stampare sotto il titolo di 'Una stanza tutta per sé', pietra miliare della riflessione sul ruolo marginale della donna nelle attività intellettuali. Parigi, 1947: Simone De Beauvoir conversa con Sartre sulla differenza sessuale ed è così che prende coscienza di quel piccolo particolare che nei decenni seguenti accenderà la miccia del movimento femminista: il mondo è maschile e alla donna è stato assegnato un ruolo di complementarietà. Inizia allora a scrivere 'Il secondo sesso', classico del femminismo per eccellenza, sulle cui pagine si sono infervorate tutte le donne che non vedevano di buon occhio il loro ruolo secondario. Talmente secondario da non meritare neppure una stanza, anche intesa come condizione morale e psicologica. Dopo il maggio francese, Marie Cardinal scrisse 'Le parole per dirlo', abbattendo il tabù delle nevrosi femminili generate dalla paura del proprio corpo. Il libro è autobiografico e narra un percorso di guarigione che sfocia infine nella scrittura. Ma quando la protagonista si rende conto di quanta fatica costi la doppia vita di donna e scrittrice, torna a gettarsi sul lettino dello psicoanalista: accettare la quotidianità femminile risulta difficile quasi quanto superare la follia. E del resto scrivere 'sedute sull'orlo di un divano, pronte a scattare per soddisfare le richieste altrui', non è la condizione ideale per concentrarsi: ebbe a dirlo qualche anno fa Elena Gianini Belotti, autrice del celebre saggio 'Dalla parte delle bambine', altra pietra miliare sui diritti della donna. 'Da una stanza all'altra' è il saggio scritto nell'84 da Grazia Livi, che affronta il problema girovagando idealmente tra le stanze concrete e mentali della scrittura, alla ricerca del fatidico spazio. Che tuttora non c'è. Eppure le donne continuano a scrivere: nel chiasso di casa, con gli occhi sul video del computer e le orecchie alle esigenze degli altri, coi pensieri divisi tra creatività e dovere…forse perché non vogliono rinunciare al loro ruolo di eterne 'eroine' senza medaglia.

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