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Il potere di tutti

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Si torna al lavoro! Dopo ripensamenti, qualche discussione, contatti svariati, la decisione è stata presa: il Collettivo "Silvio Vive", l'esperienza forlivese di riflessione critica sul presente, sceglie la strada di un percorso e di una prospettiva che è considerata la naturale conseguenza di percorsi e di storie che si sono intrecciate a tutt'oggi.
La nuova pubblicazione-comunicazione che, si spera con cadenza mensile, vi giungerà nella vostra casella di posta, cambierà intitolazione, appunto "IL POTERE DI TUTTI".
Il nuovo nome è anche un indirizzo politico, mutuato da un ponderoso saggio di Aldo Capitini.
Non è un'incongruenza procedere così.
Silvio Corbari certamente nulla sapeva di Aldo Capitini, della sua resistenza nonviolenta al Fascismo, della sua sofferenza e delle sue lacerazioni, anche di senso politico, nei confronti della lotta armata.
La stessa vita di Corbari, nel suo arco d'esperienza della lotta partigiana fu segnata, semmai, da una scelta di campo pienamente investita dall'odio delle parti in lotta, tuttavia, molti avvertiti conoscitori della sua azione politico-militare, ne hanno sottolineato la consapevolezza ch'egli aveva di non dover rischiare una lotta sotto le bandiere di altri totalitarismi.
In questo egli fu simile alle piccole formazioni azioniste o ai comunisti bordighiani. Corbari affrontò la vita con il bagaglio di certezze e di consapevolezze che l'aveva nutrito, ma fu, egualmente, un uomo libero nel pensiero e nell'azione.
In questo, ci pare, un qualche rapporto può segnarsi con lo spirito indomito di Aldo Capitini.
Il problema ora, nel tempo presente, è che ci pare urgente sottolineare come questo passato di violenza e di scelte legate comunque ad una terribile angoscia di morte e di disperazione debba aprirsi, decisamente, senza esitazioni, su percorsi che, anche metodologicamente, stabiliscano soluzioni di continuità con pratiche politiche dove l'avversario si nega, finanche nel diritto alla vita.
Di Aldo Capitini ci piace la sua solenne e profonda convinzione che, a differenza di Benedetto Croce, non si debba più affermare che "non possiamo non dirci cristiani". Per Capitini ora non possiamo, invece, non dirci post cristiani, post comunisti, post liberali.
Questo "post" non è un affrancamento, un mettere da parte, un lasciare qualcosa, al massimo in bella vista, sul comò di casa. Si è post cristiani, come si è post comunisti perché le ideologie che sottendono queste scelte vanno comprese dentro una nuova visione di rete dove si promuove " una generale capacità di controllo dal basso, con assoluto rigore, dai persuasi della compresenza e dell'omnicrazia, appunto perché superatori della violenza e tesi a stabilire continue solidarietà…".
Ma non basta; la "religione della politica" è la nuova comprensione di come non si possa partire dalla riforma sociale per provocare mutamenti di sguardo religioso sul mondo, ma è proprio dalla convinzione che "…senza educazione e rivoluzione intima, gli innovatori di domani somiglieranno troppo ai reazionari infuriositi e subdoli di oggi."
"… Il problema politico ed economico rimanda ad un compito morale: quello di portare l'anima alla libertà e alla socialità della civiltà futura; libertà che è ricerca ed affermazione del valore in tutti i campi della vita; socialità, che a questi valori incessantemente scoperti e affluenti nella storia, fa partecipare esplicitamente tutti".
Da oggi parte quindi il lavoro per un nuovo Collettivo che, servendosi anche delle attuali tecnologie comunicative, sappia maturare esperienze di analisi, far crescere individualmente i valori cui si faceva riferimento, dentro i singoli che vi partecipano.
"IL POTERE DI TUTTI" lo pensiamo sia come una palestra di pensiero, sia come uno spazio di crescita del mosaico del movimento politico e sociale che si oppone al dominio delle vecchie forze ed istituzioni tuttora opprimenti popoli e paesi.
Durante questa fase di ripensamento, si è atteso il momento che si prestasse ad essere anche un utile segnale dei tempi che mutano.
Ci pare che la morte tragica dei lavoratori in divisa (vogliamo cocciutamente chiamarli così) in Iraq, mostri tutta l'assurdità e l'ipocrisia di un procedere politico che inevitabilmente concorre alla regressione di uomini e cose.
In questa occasione tanti uomini delle istituzioni hanno mostrato il loro servilismo a logiche di falsificazione e di roboante retorica: perché il nostro paese deve essere in lutto per i militari uccisi e non fare altrettanto, allora, per gli albanesi massacrati a Genova dall'imperizia e dalla speculazione?
Perché il nostro Presidente della Repubblica, invece di cogliere i nessi dei terrorismi "legalizzati", magari con i timbri dell'ONU, si sbilancia a sottoscrivere analisi politiche vecchie e sostanzialmente false?
Non vogliamo infierire, ma ce ne sarebbe per tutti, soprattutto per quella parti politiche che si sbracciano a definirsi attente ai movimenti e poi fremono per correre sotto la bandiera dei livori patriottardi.
Intanto, mentre il silenzio delle morti, innumerevoli, rimane sul fondo di un assordante perbenismo, mentre in Uganda si soffre ancor di più che in Iraq, mentre le donne congolesi subiscono crimini e violenze inaudite, le razzie proseguono in Nigeria, gli scontri in Nepal, si massacrano in Burundi e via via, enumerando, mentre tutto ciò accade, vorremmo provare a costruire questo percorso di idee e di narrazioni, di memorie e di progetti che da una vita cambiata produca quello spirito etico, ommnicratico "dell'uomo religioso, post - umanistico, che vuole vivere unito con tutti nella massima solidarietà, anche al di là dalla morte, e perciò tende a costruire una società nuova in una realtà che abbia consumato tutti i vecchi limiti, compresi il dolore e la morte".
Così in queste giornate di lutto, rinnovando la proposta di collaborazione per la costruzione del nuovo Collettivo, vogliamo chiudere con un'altra citazione di Capitini, proprio sul tema della morte.
"Per vincere la morte alienata, perché nessuna persona sia sacrificata dalla società, bisogna che l'attività politica, sociale, civica, investa e padroneggi totalmente i fatti della ricchezza e del potere da creare una nuova società che perfezioni continuamente se stessa con il socialismo e la libertà. Qualche passo che viene fatto in Occidente e in Oriente non realizza ancora la pienezza di uno stacco dal presente, cioè dalla società attuale che sacrifica persone, che toglie loro larghi mezzi di vita, di benessere, di cura, di cultura, di informazione, di controllo, di espressione".
Sembra incredibile, ma Aldo Capitini scriveva queste cose nella primavera-estate del 1968, già gravemente malato, poco prima della sua morte, eppure paiono osservazioni precise sul nostro presente.
Proseguiremo, nelle nostre prossime riflessioni, ad offrire altri spunti di riflessione capitiniana, convinti che Aldo Capitini sia un nodo storico e una pietra di paragone da cui non si può prescindere. Intanto chi vorrà attraversare con noi questo mare è il benvenuto.

Collettivo "Silvio Vive" - Forlì

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