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La sfera spezzata

di Lorenza Montanari

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La ‘crisi del maschio’ tiene banco ovunque: sui giornali femminili, sulle riviste salutiste, sui settimanali politico-culturali, nei telefilm e, non ultimo, per strada, tra un sorrisetto e l’altro della ‘donna liberata’ di turno. Ma l’apparenza inganna: siamo infatti proprio sicuri che, a essere in crisi, sia davvero solo il maschio? Proviamo ad alzare il velo e a guardare attentamente negli occhi la realtà: il maschio è in crisi, è vero, ma, a guardar bene, è una crisi che non lede le fondamenta della sua essenza di sempre. Appiattito dall’esuberanza femminile contemporanea, l’uomo sceglie di ritirarsi in una sorta di letargo, rimandando il risveglio a ‘data da destinarsi’. Si fa sornione, malaticcio, dormiglione, pantofolaio. Sonnecchia sui divani al caldo della copertina di pile (donatagli dalla donna, ovviamente), si fa incapace, minireattivo, stordito al punto da non riuscire più neppure a gestire il ‘libero arbitrio’. In sostanza, si apparta nel suo angoletto in attesa che il mondo riprenda a girare nel verso che più gli piace. Nel frattempo, la donna lavora, partorisce, tiene la casa, fa la spesa, cucina, si occupa dei figli, cerca di far carriera. Ed è in crisi, molto più in crisi dell’uomo. In crisi fisica, perché vivere 3 o 4 vite al posto di una sola non è compito da poco. E in crisi psicologica, perché, se la ‘liberazione’ ottenuta dopo tante battaglie è un punto fermo che non si tocca, oltre che una gratificazione di tutto rispetto, l’’istinto’ secolare di moglie e madre non cessa di farsi sentire e il risultato è una lacerazione grande, dolorosa, difficilmente cicatrizzabile. Non a caso, se la percentuale di uomini che si rivolgono allo psicanalista per far fronte alla propria ‘crisi’ è in costante ascesa, quella relativa alle donne che ricorrono a questo tipo di aiuto risulta nettamente superiore. Chi è, allora, ad essere davvero in crisi? L’uomo, che se ne giace morbidamente sul divano in attesa che qualcosa cambi, o la donna, che regge sulle sue spalle il peso di tutto, anche di ciò che l’uomo ha rinunciato a sostenere? Se si guarda al passato, non si può che convenire che, se i ruoli si sono in un certo senso invertiti, il ‘nodo’ del problema è sempre lo stesso: infatti, dal suo comodo divano, l’uomo continua a ‘dettare legge’, quasi potesse farlo col telecomando della tv e la donna, di contro, si limita a ‘tamponare’, a tappare i buchi dell’assenza maschile, o meglio, della non collaborazione del maschio da lui adottata come forma di ‘resistenza passiva’ alla cosiddetta ‘liberazione femminile’. Liberazione? Si può forse chiamare così una vita piena di doveri, incombenze, fatiche, gratificazioni sì, ma a che prezzo? Il ‘nodo’, in sostanza, è sempre quello: l’incapacità di creare, tra i sessi opposti, un vero rapporto di ‘collaborazione coordinata e continuativa’, sì, esattamente come i ‘moderni’ contratti di lavoro, che abbia come obiettivo l’equilibrio e il bene, se non dell’umanità, della vita sociale che in gran parte del mondo si è costituita. La donna, inconsciamente, continua a ‘farsi schiava’, accollandosi tutti i doveri della vita quotidiana, mentre l’uomo ‘soppesa’ la sua presenza in base all’andamento dei fatti. E’ trascorso qualche decennio da quando si ‘sbandierava’, nei cortei, la forte esigenza della ‘parità’. Poi arrivò lei: allieva del celebre Jacques Lacan, la psicoanalista Lucy Irigaray introdusse, nell’ambito del pensiero femminista, il concetto di ‘differenza sessuale’, il chè le costò il posto di docente presso l’università francese in cui esercitava, per ‘incompatibilità’ del suo pensiero con quello della scuola lacaniana. A fronte di una filosofia che aveva sempre considerato la donna come lo ‘specchio invertito’ del maschio, come il ‘non essere’ a fronte dell’’essere’ maschile, Lucy dimostra che “la donna, la sua sessualità e i suoi valori, sono qualcosa di ben più ricco e composito dell’uomo”. Così è scritto nel libro ‘Filosofie femministe’ , di Adriana Cavarero e Franco Restaino, edito recentemente da Bruno Mondadori nella collana ‘I fili del pensiero’, diretta da Gianni Vattimo e Giovanni Fornero, rispettivamente docente di filosofia teoretica all’Università di Torino e allievo e continuatore delle opere di Nicola Abbagnano. Si tratta di un volume che tutte le donne dovrebbero leggere: non per ‘prendere coscienza’ o ‘posizione’, ma per conoscere l’intenso lavoro intellettuale e filosofico che è stato compiuto sul ruolo femminile da tante studiose che hanno ‘lavorato per noi’, magari nel silenzio e nel disinteresse dei ‘media’, ma ponendo le basi per ‘ri-conoscerci’, per tentare di cambiare la vita femminile, spesso contro la volontà e la consapevolezza delle donne stesse. “Appartenere al sesso femminile, nascer donne piuttosto che uomini”, scrive la Cavarero, “significa trovarsi al modo in una posizione di inferiorità, oppressione e svantaggio, come constata Mary Wollstonecraft. Sorta in seno alla svolta illuminista dell’occidente, la complessa vicenda di movimento e di pensiero che, per brevità, chiamiamo ‘femminismo’, inizia da questo problema e cresce per più di 2 secoli, andando a incrociare la storia politica dell’occidente stesso, se non del pianeta, e tutte le discipline del sapere”. In questo contesto, Lucy Irigaray mette piede nel 1974, con il libro ‘Speculum. De l’autre femme’, seguito da ‘L’etica della differenza sessuale’, edito nella versione italiana da Feltrinelli nell’85. “Interroghiamo Freud e il suo rapporto con la funzione paterna”, scrive Lucy, “cioè con l’esercizio della legge, specificatamente, della castrazione. Perché questa paura, orrore, fobia, del niente da vedere, del niente da avere da vedere?”. Un vero attacco al ‘fallocentrismo’, che pone finalmente maschi e femmine sullo stesso piano, riconoscendone il valore della ‘differenza’, che da entrambi va adeguatamente vissuta e affrontata. In sostanza, una ‘bozza’ di soluzione dell’antitesi uomo-donna. L’invito viene raccolto da Hèléne Cixous, teorizzatrice e praticante della scrittura ‘al femminile’, quando afferma: “Quello che appare ‘femminile’ o ‘maschile’ oggi potrebbe equivalere non più alla stessa cosa “. La stessa cosa…lo saranno mai l’uomo e la donna? Eppure, secoli e secoli fa, Platone lo aveva detto: siamo 2 metà della stessa sfera. Ma sono secoli che, questa sfera, non vogliamo saperne di ricomporla. Perché?


Lorenza Montanari

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