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Dalle tenebre feroci.
Per Alda Merini
di Filippo Davoli
La terra santa è il titolo di uno dei libri più recenti di Alda Merini
(Scheiwiller, 1999). È un libro in cui una delle nostre più significative voci
scarnifica il suo metro infallibile per colloquiare una volta di più con la vita che gli
scorre intorno: quella vita che sembrerebbe averla tradita nel tempo cosiddetto migliore,
ma che poi attraverso una solidità poetica di rara resistenza, in tempi di enormi
e spesso ingiustificabili trasformazioni è tornata ad obbedire alla sua vocazione
primaria, quella della scrittura (e della scrittura poetica).
Alda Merini è, in realtà, stata dentro la sua disavventura fino in fondo e senza
soluzioni di continuità, maturando negli anni bui del manicomio una
lucidità acuminata e, a ben guardare, la stessa ebbrezza precisa / che in manicomio
direbbero follia, attribuita a Elisa in una delle poesie più intense di
questo libro.
Lho incontrata una volta sola, in un viaggio in taxi da Milano a Civitanova, insieme
al comune amico Franco Loi (io e lei eravamo sul sedile posteriore).
Lavrei detta inquietante, quella donna dallo sguardo meraviglioso e dalla voce roca,
così teatrale quanto indifesa, nel suo trucco vistoso, nel suo abbigliamento disadorno
incorniciato da ori (appariscenze in chiara funzione difensiva...); quella bambina anziana
con un carico smisurato di dolore, coperto da un saliscendi di pose (colloquiale, poi
urticante, quindi nuovamente ben disposta, interessata alla mia scrittura, sbalzata fuori
nei ricordi, confidenziale, distante, ma in ogni fase totale, intera), quasi ad
esorcizzare quellabbrutimento passato tra quelle mura bianche, scontato lei
che la poesia ha chiamato sin da giovanissima a dire nel silenzio accorato di un
recinto cannibale.
Allarrivo a Civitanova mi ha regalato il suo accendino, perché credo ne abbia
abbastanza bisogno pure lei... Così poi, quando lo usa, si ricorda di me, mi ha
sorriso; e io La vita a giorni ci si stringe addosso / azzurra e tetra come
lallegria, le ho scritto in un bigliettino, diventato successivamente poesia.
LAlda Merini che ho conosciuto in quella trasferta è stata per me la più lampante
dichiarazione della sua poetica (e della sua esistenza), così fortemente discontinua e
proprio per questo sempre vera, senza filtri di stile o di maniera, nel bene e nel male
che una verbosa frangibilità sempre comporta; eppure, quante sue pagine mi restano
limpide e assolute, già da Paura di Dio (Scheiwiller, 1955).
Alla luce di due di quei suoi primi versi che parrebbero profetici (se giungo dalle
tenebre feroci, / fate che trovi intatto ogni confine!), aiutiamo noi stessi, questo
mi sento di dire: aiutiamo, in Alda Merini, la poesia che chiede ancora un varco in un
tempo difficile.
La poesia, del resto, non ha avuto paura di lei: rimanendole fedele anche in manicomio,
quando tutti erano fuggiti via altrove. E continuando a fare di lei, anche dopo, la voce
paradigmatica e nuda di questo nostro tempo accorato damore e di bellezza.
Macerata, 19 gennaio
2004
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