contro la pena di morte contro la pena di morte contro la pena di



Dare un volto umano al braccio della morte
di Lorie J. Hopper
traduzione di Arianna Ballotta
Coalizione Italiana contro la Pena di Morte


Era un uomo corpulento. Aveva occhi scuri capaci di trafiggerti e farti venire i brividi. Era temuto al punto che, per prelevarlo con la forza dalla sua cella, la direzione richiedeva che ogni volta venissero impiegate due squadre di agenti in tenuta anti-sommossa. Aveva una cattiveria di fondo. Infatti, dopo essere finito nel braccio della morte, aveva aggredito ed ucciso anche un compagno di prigionia nel cortile del carcere durante l’ora d’aria. Accadde proprio quando sarei dovuta essere di turno in un’ala del carcere dove lavoravo con regolarità, ma quel giorno avevo preso un permesso e di questo ringrazio Dio. Onestamente non so come una cosa del genere avrebbe potuto influire su di me. La descrizione dell’accaduto datami da altri agenti e detenuti fu davvero cruenta, proprio come il resoconto di un qualsiasi crimine feroce. La brutalità, la freddezza, la mancanza di compassione per la vita di un altro essere umano fanno spavento. Non è mia intenzione giudicare quest’uomo per le sue azioni di quel giorno nel cortile. Né intendo analizzare il crimine che lo fece finire nel braccio della morte. Non rivelerò il suo nome, per rispetto nei suoi confronti e della sua famiglia. Coloro ai quali parlo adesso sanno quale era il suo nome.
Dubito che riuscirò mai a comprendere cosa possa spingere un essere umano ad ucciderne un altro e lasciate ch’io ribadisca che non giustifico l’omicidio. Lascio a persone più competenti il compito di analizzare e capire la mente criminale. Chi finisce nel braccio della morte è stato legalmente (giustamente o no) giudicato colpevole di un crimine capitale e condannato a morte. Pur tenendo questo ben presente, sappiate che i miei pensieri e le mie preoccupazioni riguardano indistintamente tutte le persone in attesa di esecuzione e che la mia compassione riguarda sia i colpevoli che quelli ingiustamente giudicati colpevoli.
La maggior parte della gente considera i condannati a morte dei mostri. Suppongo che ciò sia comprensibile, considerando che tutto ciò che la gente sa di loro è ciò che viene detto dai media e che riguarda principalmente le descrizioni dei crimini commessi e le testimonianze rese in tribunale. Io ho però visto l’altra faccia di quelle persone, alcune delle quali sono state già giustiziate e altre sono in attesa di esecuzione. Se non avessi lavorato come agente di custodia nel braccio della morte del Texas non potrei dirvi che quel detenuto, lo stesso capace di uccidere un compagno di prigionia, era anche una persona estremamente intelligente, con uno spiccato senso dell’umorismo e, a volte, con la voglia di giocare di un bambino. La noia provocata dallo spazio ristretto in cui era rinchiuso spesso lo spingeva a farsi rimuovere dalla sua cella con la forza dagli agenti. Se la sua vita avesse imboccato una strada diversa, credo che sarebbe potuto diventare un eccellente psicologo o un analista, perché gli piaceva molto osservare e capire il comportamento umano. Diversi giorni dopo l’omicidio, mentre lavoravo nella sezione “isolamento”, io non vidi in quell’uomo lo stesso sadismo, la stessa cattiveria con cui, in base a quanto mi era stato raccontato, aveva ucciso un altro detenuto. Io vidi la stessa faccia gioviale e annoiata che mi sorrideva, la stessa che conoscevo ed ero abituata a vedere. Non gli rivolsi la parola quel giorno, mi limitai a scuotere il capo, incredula e arrabbiata per quanto aveva fatto. E ancora una volta ringraziai Dio di avermi risparmiato la vista orrenda di quell’omicidio.
Nonostante siano passati quasi 10 anni ho ancora molti ricordi relativi alle persone che ho incontrato lavorando nel braccio della morte. La maggior parte della gente non vedrà mai il lato umano che ho visto io in quelle persone. E’ triste, ma in genere si continua a credere che chi ha ucciso debba essere messo a morte.
Lasciate adesso che vi racconti qualcosa di me. Sono una donna minuta di 35 anni, ho due bambini bellissimi di cui sono molto orgogliosa, sono laureata. Ho lavorato come agente di custodia in diverse prigioni texane: un’esperienza unica. Quasi tutte le persone che mi conoscono oggi stentano a credere ch’io abbia lavorato per due anni nel braccio della morte. Quando dico loro che ho lavorato come agente di custodia, la prima cosa che pensano è ch’io sia stata impiegata in una sezione femminile o come segretaria in qualche ufficio. Ma perché è così difficile credere che questa donna minuta una volta camminava nei corridoi della J21 e della J23 [sezioni del braccio della morte del Texas, N.d.T.]? Alla base della loro incredulità senz’altro c’è l’errata convinzione che i condannati a morte siano tutti dei mostri. Mi viene chiesto spesso se si ha “più paura” quando si lavora con i condannati a morte rispetto ai detenuti “comuni” e la mia risposta è sempre un secco “no”. Anche nella popolazione carceraria comune ci sono un sacco di assassini, le cui condanne a morte sono state commutate negli anni ’70 [quando la pena capitale fu giudicata dalla Corte Suprema “pena crudele ed insolita” e venne sospesa, N.d.T.]. C’è anche da dire che un qualsiasi agente carcerario che creda davvero di essere “più al sicuro” in una sezione del carcere piuttosto che in un’altra dovrebbe considerare seriamente l’idea di cambiare mestiere.
Il messaggio che cerco con tutta me stessa di far arrivare è: “no, lavorare con i condannati a morte non è come lavorare con dei diavoli”. Credeteci o no, non ho mai visto nessuno con le corna nel braccio della morte! Alcuni sostenevano di essere innocenti, altri ammettevano di essere colpevoli, altri ancora non parlavano affatto di questo argomento. Ricordo che quando sentivo i loro discorsi cercavo di essere abbastanza matura da non lasciare che una “possibile innocenza” influisse sul mio lavoro di agente di custodia. Cercavo sempre di essere indifferente, in quanto sarebbe stato profondamente ingiusto trattare alcuni detenuti in modo diverso da altri.
Il lavoro era duro, sia fisicamente che mentalmente. La linea che separava il “fare bene il proprio lavoro” e “l’essere troppo amichevole” era davvero molto sottile. E mi era insopportabile l’essere trattata in modo diverso sia dagli agenti sia dai detenuti di sesso maschile, perché donna e minuta. Ma io sono sempre stata molto testarda: ero lì per svolgere il mio lavoro e volevo essere trattata come tutti gli altri. Desideravo fare carriera, e poi non volevo sentirmi diversa, quindi ho insistito per lavorare nelle sezioni “isolamento” del braccio della morte. Il solo fatto di essere donna e piccola non doveva essere una ragione sufficiente per non farmi svolgere gli stessi compiti assegnati ai colleghi di sesso maschile.
La vita di tutti i giorni era noiosa e quasi sempre uguale. Non ho mai passato troppo tempo a pensare che stavo lavorando in mezzo a persone che, come minimo, erano state condannate per omicidio capitale. Io vedevo soltanto esseri umani, molti dei quali avevano i loro momenti di stranezza a volte, ma comunque persone normali che sorridevano, ridevano, piangevano, si arrabbiavano, eccetera. Ho visto detenuti proteggersi l’un altro. Ho visto anche detenuti proteggere noi agenti (anche se molti agenti non lo sapevano). Li ho visti preoccuparsi di cose e persone. Li ho visti a terra per non aver ricevuto posta o una visita attesa. Li ho visti affranti per l’esecuzione di un amico. C’è stato anche un periodo in cui erano tutti uniti e si rifiutavano di mangiare dopo un’esecuzione. Non si trattava di emozioni finte, era tutto vero. Non intendo dire che i condannati a morte sono ragazzi del coro della chiesa, non sto addolcendo i miei ricordi. Ho visto anche cose molto tristi e a volte me la sono presa con me stessa per il lavoro che stavo facendo. Ma tutti abbiamo giorni buoni e giorni cattivi. Il punto è: anche loro sono esseri umani!
Nessun tour della Ellis Unit [il carcere texano che ospitava il braccio della morte, N.d.T.] era completo fino a quando i visitatori non avevano visto le famigerate “sezioni isolamento” del braccio della morte (
*). I suoni che provenivano da là all’arrivo dei visitatori erano una sorta di “avviso arrivo turisti”. I detenuti urlavano e si comportavano come animali. La prima volta la cosa mi lasciò molto perplessa: perché non volevano mostrare ai visitatori il loro lato migliore? Chiesi quindi ad un detenuto il perché del loro comportamento. Mi disse che quella gente (i visitatori) invadevano il loro spazio privato e li osservavano come si osservano gli animali allo zoo… quindi si comportavano di conseguenza. Devo dirvi che capii allora, e capisco tuttora, il loro ragionamento.
E’ impossibile per la gente comune capire com’è la vita all’interno di un carcere, come per me è impossibile capire cosa significa indossare una divisa bianca anziché una divisa grigia [in Texas i detenuti indossano divise bianche, mentre le guardie indossano uniformi di colore grigio, N.d.T.]. Ciò che però posso e voglio dirvi è che il tempo che ho trascorso nel braccio della morte lavorando come agente di custodia mi ha fatto cambiare idea sulla pena capitale.
Da ormai 5 anni promettevo a Karen [Karen Sebung dell’associazione Lamp of Hope Project, www.lampofhope.org fondata dagli stessi detenuti, N.d.T.] che avrei scritto un articolo per il LHP. Da molto volevo scriverlo. Ho appoggiato in silenzio il movimento abolizionista per molto e oggi, non so perché, ho deciso di scrivere… pagine e pagine dei miei molti pensieri a volte disorganizzati.
Prima di lavorare nel braccio della morte ero assolutamente favorevole alla pena capitale. Il mio atteggiamento si è poi trasformato in indifferenza mentre lavoravo nel braccio… lavorare in quel mondo di uomini era già abbastanza difficile per me che non avevo proprio il tempo di interrogarmi sulla pena di morte. E’ stato anni dopo aver lasciato quel lavoro che ho cominciato a rendermi conto e mi sono convinta che la pena capitale è sbagliata. Forse si è trattato di una sorta di risveglio spirituale che, in parte, ha cambiato il mio modo di vedere le cose. Ma sono certa che il cambiamento determinante e profondo sia dovuto all’esperienza nel braccio della morte.
Le ragioni per cui la pena di morte è sbagliata sono tante, fra cui: possibile esecuzione di persone innocenti, esecuzione di minorenni all’epoca del reato, esecuzione di minorati psichici e malati di mente, difesa legale inadeguata, comportamenti scorretti e corrotti da parte delle Procure, discriminazioni razziali e socio-economiche, ipocrisia religiosa ed ipocrisia allo stato puro. Come genitore insegno ai miei figli che da due cose sbagliate non ne nasce una giusta. Mi è particolarmente cara questa frase di Gandhi: “occhio per occhio e presto tutto il mondo sarà cieco”. Come cristiana, come essere umano, come texana e come americana sono convinta che la pena capitale non sia altro che un omicidio legalizzato. “Uccidere è sbagliato, quindi ti uccidiamo!” … che senso ha? Ignoranza e vendetta. Se vogliamo davvero la pena di morte, allora chiamiamola con il suo vero nome: vendetta. Qualsiasi argomentazione contro la pena di morte può essere ridotta ad un denominatore comune: il valore della vita umana. Ricordo di aver letto le parole di un detenuto (che potete trovare sul sito del LHP) che descriveva ciò che significa essere “davvero in favore della vita” e io concordo con lui al 100%. Essere a favore della vita significa difendere la vita di TUTTI, e non soltanto alcune vite umane o le vite di bambini non ancora nati.
I miei pensieri non sarebbero completi se non mi rivolgessi adesso alle vittime e alle loro famiglie. Non ho mai vissuto la loro esperienza e prego Dio che mai mi accada. Non riesco ad immaginare il dolore perpetuo che si trovano ad affrontare. Credo che sia umano chiedere vendetta quando qualcuno che ami ti viene tolto così, così come è umano provare odio. Ricordatevi di queste persone nelle vostre preghiere e ricordatevi che, come voi, sono esseri umani.
D’altra parte, non riesco ad immaginare neanche come si sente chi ha una persona cara nel braccio della morte. Ho sentito dire spesso “almeno loro possono stare un po’ di tempo insieme prima”, ma non credo che ciò renda la situazione più facile o più tollerabile. Il dolore per la perdita spezza il cuore, da qualsiasi parte della barricata ci si trovi.
Passiamo troppo tempo anche a parlare di quanto orrendi siano i crimini commessi (l’ho fatto anche io), ma in qualsiasi modo si guardi alla cosa, il risultato è lo stesso: il sangue è stato già versato, la vita è stata tolta, il dolore per la perdita c’è già e ci sarà sempre e il ciclo si conclude con un altro omicidio, l’esecuzione…. Come cristiana credo che siamo tutti peccatori. Credo che tutti abbiamo bisogno del perdono di Dio e della sua misericordia. Dov’è scritto nella Bibbia che il peccato di omicidio capitale, l’esecuzione, è escluso?
A coloro che sono innocenti voglio dire non sono in grado di fornire risposte e dire perché vi trovate in una situazione del genere. Posso solo spingervi ad avere fede in Dio e a trovare la forza di fare la differenza. Forse vivete questa esperienza per aiutare una causa più grande di voi.
Avrei voluto scrivere questo articolo molto prima. L’avrei fatto se non mi fossi preoccupata di cosa avrebbero detto altre persone… ex guardia carceraria diventata Jesus Freak [membro di un movimento religioso evangelico a cui, negli anni ’60, aderirono molti hippies, N.d.T.]! Ma qualcosa mi batte sul cuore da anni e ho sentito di doverlo fare adesso. In verità, guardando la lista di tutte le persone già giustiziate, avrei voluto farlo prima. Sento adesso il bisogno urgente di dire a tutti che non siete stati dimenticati. Non siete indegni. La redenzione ci sarà anche per voi. Non siete perduti e non siete soli. La vostra vita ha valore anche adesso. Se c’è qualcosa di cui mi pento in relazione al periodo trascorso nel braccio della morte è il non essere stata abbastanza matura, allora, da capire che tutti siamo figli di Dio. Non tutto è bianco o grigio.
Non so come sono stata giudicata allora, quando lavoravo come agente di custodia, ma ho cercato di svolgere il mio lavoro nel migliore dei modi. Forse mi si guardava più come a una sorella più piccola anziché una orgogliosa guardia carceraria. Però ho sempre sentito il bisogno di far sorridere gli altri… Ricordo un altro detenuto, anch’egli già giustiziato, che era sempre molto silenzioso e gentile e pareva sempre che stesse lavorando a qualcosa di importante. La prima volta in cui lo vidi accennare ad un sorriso fu quando gli dissi in tono serio “sono tornati gli anni ’70! E vogliono che si ritorni a portare i capelli a quel modo”. Mi guardò come se fossi un po’ stramba e si mise a ridere.
Durante il lavoro non accettavo intimidazioni di alcun genere, indipendentemente dalle conseguenze. Non so se si sia trattato di una strategia intelligente, ma guardandomi indietro adesso posso dire che ha funzionato. Un giorno mentre stavo servendo la cena in una delle sezioni in cui risiedevano i detenuti col permesso di lavorare [alla Ellis Unit anche i condannati a morte, quelli considerati più tranquilli e meritevoli, avevano il permesso di lavorare e quindi di circolare senza manette all’interno del carcere. Ora, nel nuovo braccio della morte ospitato presso la Terrell Unit, ciò non è più consentito, N.d.T.] un detenuto (già giustiziato) venne vicino al carrello e da solo si servì una seconda volta. Era mia norma servire qualcuno una seconda volta dopo che tutti avevano già avuto il loro vassoio. Sapevo che il cibo restante sarebbe stato buttato via e non sopportavo l’idea di questo spreco. Ciò nonostante dissi al detenuto di fermarsi in quanto non avevo ancora finito di servire gli altri e che dopo sarei stata ben lieta di dargliene ancora. Mi guardò come per sfidarmi a continuare con le mie lamentele, poi prese il mestolo per prendere altro cibo. Ecco uno di quei momenti in cui fai valere le tue ragioni o te ne vai. Paura e adrenalina mi scorrevano nelle vene. Il ragazzo era grande e avrebbe potuto spezzarmi il collo senza sforzarsi. Non so cosa mi prese, ma afferrai il mestolo e con tono fermo gli dissi che non avrebbe preso altro cibo mentre dovevo ancora finire di servire gli altri. Si tirò indietro. Non so perché. Sicuramente non aveva paura di me, perché fisicamente mi sovrastava. Forse mi considerò pazza, forse pensò che altri detenuti avrebbero potuto aggredirlo se lui avesse aggredito me, forse c’era qualcosa in TV più tardi che gli interessava… chi lo sa! Dopo quel giorno non ci scontrammo più.
A coloro che si ricordano di me, a coloro che non si ricordano e anche a quelli cui non importa nulla, voglio dire (e spero ve ne ricorderete): anche se vi sentite dimenticati, contate ancora qualcosa! Forse fra dieci anni qualcuno scriverà di voi e di quanto l’aver fatto la vostra conoscenza abbia cambiato la sua vita. Ogni giorno ci viene data la possibilità di fare qualcosa di diverso, di buono, di cambiare la vita di qualcuno e magari anche il loro cuore e la loro mente. Anche se siete stati giudicati colpevoli del peggiore dei peccati da una giuria, la vostra vita vale. Il potere di innalzarvi al di sopra dell’etichetta che vi è stata appiccicata addosso è dentro di voi. Odiare è molto facile. E’ provare amore che richiede grande forza, specialmente nei confronti di coloro che vi disprezzano. C’è gioia e pace nello smettere di provare odio e rancore.
E’ da molto che mi preoccupa il fatto che qualcuno possa essere giustiziato senza aver prima trovato la grazia di Dio. A volte penso a chi già è stato giustiziato e a quelli in attesa di esecuzione e prego. Alcuni giorni fa ho letto il nome del detenuto di cui parlavo prima, quello che uccise un suo compagno, e il mio cuore è impazzito di gioia quando ho letto le sue ultime parole, ho cominciato a piangere e mi sono sentita molto sollevata. Aveva ritrovato Dio ed era rinato. Chi conosceva quest’uomo soltanto per le sue azioni peggiori forse ha avuto dei dubbi sulla sua sincerità. Ma io no. La cosa non mi ha sorpreso, mi sono solo sentita sollevata.
So che molti detenuti possono contare sull’appoggio affettivo delle loro famiglie e dei loro amici. Chi ha qualcuno vicino che lo rassicura si sente ancora un essere umano. Sono molto triste, invece, per coloro che non hanno nessuno.
Non ho tutte le risposte, a volte non so bene neanche quali sono le domande. Anche io sono soltanto un essere umano, come voi. La mia opinione vale come quella di chiunque altro. Ma nonostante questo, sono lieta di aver avuto l’opportunità di esprimere i miei pensieri.
Non sempre è facile guardare a qualcuno pensando alle azioni peggiori da lui commesse, ma aprendo il cuore, si può trovare bontà e valore in ogni vita umana.
Che Dio vi benedica!
Lorie J. Hopper

(
*) In Texas, dopo aver ottenuto un permesso speciale, è permesso a giornalisti, scolaresche, turisti, eccetera, visitare le carceri (incluso il braccio della morte), e vengono organizzate delle visite guidate [N.d.T.].

www.coalit.org


HOME

Società

Politica

Arti visive

Lettura

Scrittura

Punto rosa

Legalità

Paesi in guerra

Mondo