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Cè davvero, nella poesia di Filippo
Davoli, un disegno soprattutto in termini morali e formali (e linguistici); un autentico
cammino evolutivo della sua poesia, che è civile, religiosa, giusta di toni e di modi,
lirica come ancoraggio nella classicità.
Una parabola evolutiva, dicevo, che va colta in una sempre più razionale acquisizione
rispetto alle prime raccolte, dai dati della realtà storica ma anche personale del poeta
stesso.
Nel medesimo tempo, al primo lirismo (Alla luce della luce, soprattutto, e Un vizio di
scrittura), fatto tutto di intermittenze del cuore, si sostituisce una ironica componente
fantastica che gli permette un sempre maggior controllo del momento puramente lirico,
nonché di una sempre mossa varietà ed intensità poetica.
In padano piceno, (libro totale, di poesie tutte eccellenti), segnalo tuttavia due testi:
Il sigillo e Il viaggio di poesia. In sostanza, ho letto in esse un tormentoso senso di
responsabilità sociale: Davoli confessa sempre un acuto e cristiano senso di colpa
convinto e condiviso con laltro da sé. Precocemente consapevole del ruolo che
compete agli intellettuali, Davoli considera la poesia luogo e strumento di rigorosa
ricognizione della realtà, nonché di esplorazione (e di elaborazione concettuale)
dellambiente urbano (Macerata, come pure la nativa Fermo o la paterna Carpi), in cui
agonizza con i propri vizi, pensieri e sentimenti.
Nella città e nei suoi reticoli, linumano benessere contribuisce ad acutizzare i
quotidiani disagi e malesseri: e il poeta non sa (o non vuole scegliere) la collocazione
più giusta per sé: padano o piceno?
Ma a che serve saperlo o volerlo? Il mondo è tutto in tutto, nel tanto male, nel poco
bene; e se bene cè, è quello che si fa e si testimonia nonostante tutto. Davoli
ormai sa (e conosce) che aspirando a beni quasi esclusivamente materiali il tempo si
consuma in unalienazione endemica.
Per lui, allora, la poesia è il reperto di una condizione (concetto, questo, di
autobiologia) che da storico/umana si è fatta biologica, quasi incomunicabile, sede di
unautoanalisi condotta per riportare alla luce la smarrita identità in un ostinato
e solitario sperimentalismo che ha come fine soprattutto di ricercare e
ricreare la lingua poetica come strumento di conoscenza.
Per spiegare tutto ciò, possono bastare alcune composizioni per ciò esemplari, come
Piccolo canzoniere familiare, in cui sono evidenziati grandi momenti di spleen e di
sospensione; Pianura, ove le parole si snocciolano sicure e precise; Il sigillo (già
citata e bellissima), in cui la vita si evolve in un esplicito ed elegante movimento
elementare, realistico-estemporaneo senza eccessive alterazioni; Il vecchio amico, che si
gioca tutta in una sorta di critica della ragione sognante ed in cui emergono qua e là
forti considerazioni sullesistere, di rara profondità; Il viaggio di poesia, che
vale tutta una dichiarazione di poetica e che riporta alla mente Remo
Pagnanelli; Dove la roccia non crolla, che vale il grande volto delle cose che restano
dopo lApocalisse; e la splendida E sempre più elevato il silenzio, dedicata
ad Alvaro Valentini, che chiude il libro e ne rappresenta una delle pagine più intense.
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