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I lettori del Pendolo

di Simone Sarasso

Ermete è morto! Viva Ermete!
Quindici anni or sono, quando Il pendolo uscì nelle librerie dopo essersi fatto attendere per ben due anni (altro che il seguito di Matrix!), Pietro Citati scriveva su Repubblica:
“Credo che Ermete sia l’unico dio del nostro tempo… Ma, ad un tratto, il grazioso e spiritoso figlio di Ermete… viene ucciso… Mi domando se valeva la pena di scrivere questo libro.”
Per rispondere alla domanda occorre capire chi sono i lettori del Pendolo.
Lessi per la prima volta il libro a Madrid, nel 2000, dopo essermi portato dietro per anni il pregiudizio che ancora oggi lo perseguita.
Esistono infatti due categorie di lettori del romanzo di Eco: quelli che non riuscivano a smettere di leggerlo e quelli che non sono riusciti a finirlo.
I secondi, se interpellati a proposito, rispondono con la frase che il suddetto pregiudizio ha generato: “È troppo difficile…”
Occorre connotare “difficile”. E quindi occorre raccontare la storia.
I fatti si svolgono tra il 1972 ed il 1984. Il periodo è quello degli ultimi strascichi di contestazioni studentesche, ove gli striscioni e gli slogan stanno per essere sostituiti dalle pistole. Ma è anche il periodo in cui, nel mondo editoriale, nasce l’interesse per quella che, con uno dei termini in voga allora, potremmo chiamare “Sapienza Alternativa”.
Si tratta di tutto quel filone di nozioni che va dal mito di Ermete Trismegisto agli alchimisti, passando dalle piramidi di Giza, dalla Cabala ebraica e da molto altro. Il tutto strettamente interconnesso. Il tutto valido e credibile, purché dica il contrario di quello che sta scritto nei libri di storia.
Se oggi le librerie di largo consumo hanno una sezione dedicata alla New Age od all’esoterismo, devono di grazie a quel periodo.
E Il pendolo racconta proprio della reazione di tre intellettuali di fronte a questa invasione editoriale. Costretti a visionare centinaia di testi con opinioni desuete su fatti storici (dal mito dei Templari all’alchimia alla storia della Confraternita Rosa-Croce) per conto della casa editrice in cui lavorano, i protagonisti decidono, animati da ironico snobismo, di giocare a riscrivere la storia del mondo usando il materiale a loro disposizione.
“Se questa gente sostiene che la verità non sta sui libri di storia, allora facciamo sì che abbiano ragione”. Tutti.
Basta connettere le nuove informazioni in una sorta di atlante alternativo della Sapienza, ove alla base sta un complotto cosmico.
Il gioco diventerà ben presto più grande di loro, e finirà per fagocitarli, facendo loro perdere ciò che fino a quel momento li aveva preservati: lo spirito critico.
Questa, in due parole, la trama. E questa la ragione del “è troppo difficile…”
Per cinquecento pagine si assiste alla costruzione del “Piano” (il complotto cosmico), e ci si perde nella marea di elucubrazioni storico-filosofiche sulla Verità ultima. Ed è qui che il lettore della categoria numero due molla il colpo. Smette.
Se fosse arrivato in fondo, sarebbe stato premiato: alla fine è tutto fasullo. Non è vero nulla.
Questo si sapeva già dall’inizio; ma dopo centinaia di pagine i protagonisti (insieme al lettore) sembrano essersene dimenticati, ed hanno finito per credere al gioco che avevano inventato.
Coloro che invece il libro l’hanno finito (categoria numero uno), hanno a questo punto due alternative: andare a dormire rasserenati dalla morale della favola (è stato un brutto sogno. Ora son desto) o restare svegli a controllare quanto il sogno avesse di reale, sbirciando sotto al letto della Ragione a caccia di mostri.
Degli appartenenti alla prima specie ne ho conosciuti ben pochi.
Agli altri può capitare di studiare per anni le trame oscure del Pendolo (il primo premio va senz’altro a Ruggero Puletti, per il suo La storia occulta: Il pendolo di Foucault di Umberto Eco).
Alla fine, come spiega Eco stesso ne I limiti dell’interpretazione (Milano, Bompiani 1990; un vero e proprio apparato di note al romanzo), il risultato non cambia: non era vero nulla; il segreto è vuoto.
Ciò che però mantiene il libro così vivo e attuale, parafrasando il vecchio adagio, è che “Il sonno della ragione genera mondi”.
La ricerca post-Pendolo si trasforma talora (come nel caso del Progetto Luther Blisset, evolutosi in seguito in Wu Ming) in mitopoiesi, e da questa fucina di idee nascono così autori che danno nuova vita al panorama editoriale del nostro paese.
La “religione del Pendolo”, come è stata definita dai critici qualche anno fa, ha formato una generazione di nuovi scrittori (talvolta allievi dello stesso Eco). Il risultato paradossale (nel caso dei Wu Ming ad esempio) è stato un rinnovato interesse per la Storia, quella vera.
Cercando di verificare le affabulazioni si è finito per saperne di più sulla Verità dei libri di storia. E a quel punto sì che si poteva inventare. Si sono riempiti i vuoti con la storia dei singoli. Si è raccontata la Storia dal punto di vista dei protagonisti (marginali e non).
Questa è stata una soluzione, ma ve ne sono tante altre (De Cataldo e Cotroneo, tanto per citare). Il fulcro del discorso è che i lettori del Pendolo hanno deciso di portare avanti il Racconto, cambiando strada, evolvendosi, ma non smettendo di immaginare. E questo basta a rispondere alla domanda che Citati aveva posto a suo tempo: sì, è valsa la pena di scriverlo.

Umberto Eco
Il pendolo di Foucault
Milano, Bompiani 1988


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