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Il brigantaggio in Romagna
di Elisa Bianchini
Il brigantaggio era un fenomeno costante nella zona di confine montano
tosco-emiliano-marchigiano, ma anche nella zona di pianura, dove la palude rendeva incerto
il governo dei confini, per non dire del mare, con le sue rotte per traffici non sempre
leciti. Banditi come il Passatore sono rimasti nellimmaginario di questa terra di
Romagna definendola come zona di difficile controllo da parte dellordine pubblico.
Stefano Pelloni comunque non fu lunico bandito, anzi la tradizione è folta di
personaggi che sono appartenuti allAntico Regime con i suoi frequentati confini
doganali e fragili apparati di sorveglianza.
Un bandito che presenta tratti di originalità, si fa conoscere nelle campagne ravennati
per tutto il 1868, quando cioè lItalia era già unita e gli apparati di polizia
erano ben più potenti di quelli del vecchio Stato della Chiesa.
Si tratta del Gaggino, Luigi Casadio, figlio di n.n., operaio o bracciante, vissuto a
Ravenna dal 1845.
Un bandito nato e cresciuto nella zona di Ravenna e ritornato alla ribalta dopo un lungo
periodo di oblio in un articolo di Franco Gabici apparso sul Resto del Carlino
nellagosto del 2001.
Una pioggia disastrosa l11 di quel mese aveva inondato gli scantinati e i magazzini
dellospedale cittadino facendo uscire da un armadio quattro teste mummificate fino
ad allora dimenticate.
Di queste, una appartiene al brigante Gaggino, ferito mortalmente a Filetto in un
conflitto a fuoco con i carabinieri nellottobre 1868 e altre due sono di giustiziati
mediante decapitazione.
Già Umberto Maioli, nel suo libro Ravenna e le sue piccole memorie, chiarisce
lidentità delle teste mentre Arturo Menghi Sartorio in un suo articolo apparso
sulla rivista Romagna arte e storia collega i reperti anatomici alle teorie
lombrosiane.
I due giustiziati Puntiroli e Fusconi avevano trovato la morte nel 1864 con una esecuzione
pubblica avvenuta nella piazza del Foro Boario, lattuale piazza Baracca.
Le due teste, mummificate da un seguace delle teorie, che mettevano in relazione i
connotati fisici con i comportamenti umani, dovevano far parte di un museo dei
diversi, uniniziale catalogazione dei criminali che vede esempi più esaustivi
a Torino nel Museo Lombrosiano o a Bologna nel Museo Anatomico fondato dal dottor Calori.
A tuttoggi le teste giacciono dimenticate in un armadio dellospedale e, pur
rappresentando un pezzo della nostra storia, seppur tragica, non possono essere visibili
al pubblico.
Una pagina di storia ottocentesca quindi, ma tutta ravennate!
Pietro Puntiroli detto Chilazzo viene accompagnato al patibolo il primo giugno del 1864,
condannato per aver ucciso un certo Baldassarre Alessi in un caffè. Non contento, ne
ferisce gravemente con una coltellata anche il fratello, che era intervenuto in aiuto.
Il condannato Antonio Fusconi detto Cippon, è stato arrestato per aver ucciso con colpo
darma da fuoco e con coltello Apollinare Montanari di SantAlberto e per
avergli rubato il denaro. Nonostante il brigante avesse osannato Garibaldi sul patibolo,
niente fa pensare ad una sua affiliazione politica. Non è un liberale, ma un uomo di
valle che con ogni probabilità dichiara apertamente il suo ateismo o forse il suo spregio
nelle istituzioni e nellordine costituito.
La terza testa mummificata è di un certo Tegna, cioè tigna, non si sa se per il
carattere stizzoso o perché fosse completamente calvo in quanto ammalato appunto di
tigna.
La quarta testa è del brigante Gaggino, anche se è stato probabilmente decapitato molto
tempo dopo la sua morte. Come riportano le cronache, infatti, la salma del brigante è
stata esposta al pubblico presso lospedale di Ravenna per almeno un giorno e solo
successivamente quindi sarebbe stato possibile dividere il corpo dalla testa!
La sua caratteristica più interessante era che vestisse una camicia rossa, rifacendosi
quindi politicamente alle imprese garibaldine mentre al collo portava dei crocifissi
probabilmente per avere una sorte di protezione divina. Sacro e profano insieme tanto da
meritare attraverso le pagine del giornale locale, la creazione di un mito.
La violenza che il bandito produceva aveva una valenza sociale? La tesi del bandito
sociale negli ultimi tempi è stata ridiscussa perché smentita dai comportamenti reali e
lo stesso criminale preteso uomo libero, che si sottrae allordine
costituito, urta nella presunzione che tale ordine sia quello imposto dalle classi
dirigenti.
Una cosa è il comportamento reale e unaltra è la creazione del mito, perché il
bandito tende ad imporre il suo dominio attraverso luso di violenza per se stesso ed
esercita i suoi soprusi su chi gli è vicino, cioè i ceti medi rurali piuttosto che i
grandi proprietari difficilmente raggiungibili.
Il Gaggino non si sottrae a questa analisi, manda sì lettere ricattatorie ad un grande
proprietario terriero ma non lo sfiorerà mai, mentre attacca e deruba i piccoli
possidenti. Le prede che maggiormente gradisce sono soprattutto uomini che tornano dal
mercato sul biroccino dopo aver fatto affari oppure preti di campagna che vivono con poco.
Quando il brigante era a Ravenna era solito rifugiarsi nella riserva del Bosco Baronio,
pretendendo che non venissero avvertiti i carabinieri e che gli fossero serviti lauti
pasti. Come racconta Umberto Foschi in un articolo pubblicato ne Il Resto del
Carlino, il bandito inviava di tanto in tanto a Domenico Baronio, noto per le sue
ricchezze e proprietario della tenuta, lettere minatorie onde indurlo a pagare taglie più
o meno grosse. Le missive caratterizza la figura di un bandito non spregiudicato e solo
velatamente minaccioso. Sembra più una supplica, una richiesta che appare come una
compensazione economica-sociale.
Il brigante, famoso per le sue prodezze e la sua agilità nelle fughe, muore dopo uno
scontro a fuoco molto cruento con i carabinieri a Filetto alle porte della città in
località Cappanetti. Era stata messa una taglia sul Gaggino dal Prefetto di Forlì e la
sua cattura, come cita il giornale, è stata dovuta ad una sicura confidenza.
Larticolo inoltre non risparmia dettagli fin troppo realistici: una ferita al torace
fa conficcare uno dei crocifissi al petto, rendendo il tutto come una punizione divina,
come se la cattura del brigante fosse stata seguita e orchestrata da un volere superiore!
Lesposizione al pubblico della salma del bandito come in precedenza era stato fatto
per il Passatore, mette la parola fine alle gesta di Luigi Casadio e certamente la sua
breve vita avrebbe destato poco interesse ai più se non fosse stato reso
immortale attraverso la mummificazione.
Le quattro teste sono un prezioso reperto, testimonianza indiscussa della nostra storia e
meriterebbero una conservazione e una cura più dignitosa di unanonima vetrinetta
dellospedale.
Da alcuni anni si parla dellapertura del Museo del Risorgimento che dovrebbe esporre
la ricchissima donazione della famiglia Guerrini.
Mario, collezionista appassionato e Paolo, studioso di storia ravennate nonché grande
amico, hanno regalato alla città di Ravenna un patrimonio risorgimentale inestimabile in
via di definitiva catalogazione.
Forse, in una piccola saletta del futuro museo, potranno prendere posto nella loro sede
definitiva anche i reperti lombrosiani dei quattro delinquenti. Anche loro sono
testimonianza storica del brigantaggio e spartiacque tra la fine dellAntico Regime e
linizio dellUnità dItalia.
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