|
Qualche anno fa è uscito presso Einaudi il bel libro di Giorgio Boatti
Preferirei di no riguardo al giuramento di fedeltà al regime, imposto nel
1931 dal governo fascista, ai professori universitari. Su 1250 docenti, soltanto 12
cattedratici ebbero la forza di rifiutare. Sublimato allun per mille fu
il titolo trionfale di un giornale dellepoca, sottolineando il successo
delliniziativa, la cui regia era da attribuirsi a Gentile. Quale destino sarebbe
toccato in sorte a coloro che tale giuramento abiuravano? Perdita della cattedra, pensione
al minimo, sorveglianza di polizia assicurata. Ma forse quello che bruciava di più era
lisolamento culturale e lostracismo che sarebbero seguiti a un simile gesto.
Naturalmente ciò non significa che tutti i rimanenti 1238 docenti fossero fascisti.
Tantissimi giurarono controvoglia, e ne ricavarono un sentimento di vergogna e di
umiliazione: Lombardo Radice dichiarò piangendo ad un collega: Coprirò di vergogna
tutta la mia opera
ma non posso mettere sul lastrico i miei figlioli
giovinetti. Come lui tantissimi altri che non mi soffermo a citare. Va detto, per il
vero, che illustri personaggi come Togliatti e Croce invitarono a sottostare al giuramento
perché coloro che militavano nellantifascismo potessero continuare a esercitare
dallinterno la propria opera critica. Lo stesso Papa, su suggerimento di padre
Gemelli, dichiarò che i docenti potevano giurare, ma con riserva interiore. E che ciò li
avrebbe esonerati dalla responsabilità del loro atto.
Fra i dodici che non si sentirono di ridurre la propria coscienza ad alcun compromesso,
non si trova Leone Ginzburg, ma solo per questione cronologica. Studioso precocissimo di
politica e storia, esperto e raffinato interprete e traduttore di letteratura russa, a
soli ventitré anni, Ginzburg ottenne, nel 1932, la libera docenza presso
luniversità di Torino. Ma neppure lui giurò, e per questo vide conclusa nel 1934
la sua carriera universitaria.
Ma chi era Leone Ginzburg? Molti certamente ne conoscono il nome, in virtù soprattutto
del fatto di essere stato marito della scrittrice Natalia Levi Ginzburg e di comparire in
modo mirabile nel famoso romanzo Lessico famigliare: Mio padre incontrò
Mario (il figlio) un giorno sul corso re Umberto, in compagnia di uno che conosceva di
vista, un certo Leone Ginzburg. - Cosha da fare Mario con quel Ginzburg?
disse a mia madre
.- È uno disse mia madre coltissimo,
intelligentissimo, che traduce dal russo e fa delle bellissime traduzioni.
Però disse mio padre è molto brutto
È brutto diceva a
mia madre perché è un ebreo sefardita. Io sono un ebreo aschenazita, e per questo
sono meno brutto.
La condizione di Ginzburg sotto il fascismo emerge in un altro passo del romanzo: Ci
sposammo, Leone e io
Mio padre, quando mia madre gli aveva detto che lui voleva
sposarmi, aveva fatto la solita sfuriata
Questa volta non disse che lui era brutto.
Disse:
-Ma non ha una posizione sicura!
Leone infatti non aveva una posizione sicura; laveva quanto mai incerta. Potevano
arrestarlo e incarcerarlo di nuovo; potevano con un pretesto qualsiasi mandarlo al
confino. Se però finiva il fascismo, disse mia madre, Leone sarebbe diventato un grande
uomo politico.
Purtroppo Leone Ginzburg non sopravvisse alla fine del fascismo. Morì invece nel 1944
nellinfermeria del carcere di Regina Coeli, dove giunge in gennaio, in stato di
semincoscienza, una mascella fratturata, per le torture subite dai tedeschi. Nei giorni
successivi si spegne, senza che nessuno gli abbia prestato un soccorso adeguato.
Leone Ginzburg è unanomala figura di intellettuale italo-russo, profondamente
legato alla cultura dorigine, ma innamorato dellItalia, che seppe fondere e
fare interagire in modo fertile e ricco entrambe le tradizioni. Era nato a Odessa nel
1909, in una famiglia ebraica molto facoltosa. In realtà, come rivela Gianni Sofri sul
Dizionario Biografico degli Italiani, egli non era figlio di Fedor Nikolaevic
Ginzburg, che pure lo riconobbe e accolse come proprio, ma di Renzo Segrè, un italiano
con cui la madre, solita trascorrere le vacanze a Viareggio, ebbe una breve relazione
nellestate del 1908. A favorire i rapporti della famiglia Ginzburg con lItalia
era stata Maria Segrè, governante presso i Ginzburg dal 1902, che aveva presentato il
fratello a Vera Griliches, madre di Leone. Maria Segrè mantenne sempre un legame
strettissimo e affettuoso col nipote, di cui coltivò la memoria anche dopo che era stato
assassinato.
Dopo la rivoluzione dottobre, i Ginzburg si trasferiscono in Italia, poi per un
breve periodo a Berlino. Successivamente si stabiliscono in modo definitivo a Torino, dove
Leone studia al Liceo dAzeglio e scrive i primi saggi. Per completare la tesi di
laurea, trascorre un periodo a Parigi. Ma gli studi non sono lunico motivo del
soggiorno: qui prende contatti, infatti, con Croce, Carlo Rosselli e Salvemini e matura la
propria visione politica. In Italia aderisce al movimento Giustizia e libertà
e svolge unintensa attività, tanto da essere arrestato nel 34 assieme a Carlo
Levi e Augusto Monti. Unamnistia lo fa uscire nel 1936 e intraprende, assieme a
Giulio Einaudi e a Pavese, lavventura dellomonima e prestigiosa casa editrice.
Con lavvento delle leggi razziali, lui che era stato naturalizzato nel 1919, perde
la cittadinanza, fatto che rende la sua situazione ancora più precaria e incerta rispetto
a quella, già molto difficile, di tutti gli ebrei italiani. Da Parigi gli giunge
lofferta di lavorare nel gruppo che era stato di Rosselli, ma rifiuta, perché vuole
restare in quella che continua a considerare la sua nuova patria e non diventare un
fuoriuscito.
Con lentrata in guerra dellItalia, Ginzburg, assieme alla moglie Natalia e ai
tre bambini, viene confinato a Pizzoli, in Abruzzo, in qualità di internato civile
di guerra. Con la caduta del fascismo si trasferisce immediatamente a Roma. È fra
gli organizzatori del Partito dAzione, di cui dirige il giornale Italia
libera, e delle formazioni partigiane di Giustizia e Libertà. Adotta il nome di
copertura di Leonida Granturco, ma quando i fascisti lo arrestano, il 20 novembre 1943, ne
scoprono presto la vera identità e il 9 dicembre lo consegnano ai tedeschi.
Queste le scarne parole con cui Natalia ricorda gli ultimi giorni di Leone:
Venne poi il 25 luglio, e Leone lasciò il confino e andò a Roma
Arrivata
(anchio) a Roma, tirai il fiato e credetti che sarebbe cominciato per noi un tempo
felice. Non avevo molti elementi per crederlo, ma lo credetti
.Leone dirigeva un
giornale clandestino ed era sempre fuori di casa. Lo arrestarono, venti giorni dopo il
nostro arrivo; e non lo rividi mai più
.Leone era morto in carcere, nel braccio
tedesco delle carceri di Regia Coeli, a Roma durante loccupazione tedesca, un gelido
febbraio.
golferasi@yahoo.it |
|