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Bertinoro ha promosso da tempo una
gradevolissima iniziativa che si svolge nelle uggiose domeniche invernali: I
pomeriggi del Bicchiere. La formula è di successo e felicemente collaudata in molte
cittadine della nostra regione: incontro con autori, intermezzo musicale, assaggi
gastronomici.
Alcuni nostri lettori ricorderanno, avendone già parlato lanno passato, che
Bertinoro, come del resto gran parte delle località romagnole, ha un legame speciale con
la cultura e il mondo ebraico. È stata infatti patria del rabbino Ovadiah da Bertinoro,
vissuto alla fine del quindicesimo secolo, studioso di qabbalah e viaggiatore. Non poteva
quindi mancare un pomeriggio dedicato allebraismo e ad affrontare il tema è stato
invitato un relatore deccezione, Gad Lerner, presentato e coadiuvato da rav Luciano
Caro, un vecchio amico di Lugo.
Lincontro si è svolto il pomeriggio dell8 febbraio ed ha subito assunto il
tono di una chiacchierata molto informale, impossibile da ricostruire nella sua interezza,
ma che ha toccato alcuni punti importanti su cui trovo opportuno soffermarmi. Mi sembra,
infatti, che a fronte di un grande interesse per il mondo ebraico, siano invece poche le
occasioni per un approccio significativo a questa cultura. Quando si parla di ebrei si
finisce spesso per ridurli allesperienza della Shoah o ad alcuni luoghi comuni
relativi ad Israele.
Un incontro molto stimolante quello con Lerner, come sempre succede quando si parla con
autenticità di sé e di sé in rapporto al mondo in cui si vive.
La sua presenza, fra laltro, è stata particolarmente lodevole, affogato comè
fra impegni televisivi e la conduzione della Convention dellUlivo al Palasport
dellEur.
Se in un nome può racchiudersi a volte, misteriosamente, il destino di chi lo porta,
questo è senza dubbio il caso di Gad Lerner. Gad (Come mai questo nome? Da dove
viene? si è sentito più volte domandare il nostro, a rimarcare comunque
unestraneità) è un nome biblico. Apparteneva allottavo dei figli di Giacobbe
e in ebraico, ha fatto notare il rabbino Caro, significa notizia. Alcuni
commentari biblici lo traducono anche con fortuna. E fortuna e notizia sono elementi senza
dubbio fortemente connessi alla vita di Lerner. Il primo perché, come lui stesso ha
sottolineato, nascere nel 1954 in una famiglia proveniente dalla Volinia, la regione di
Leopoli, zona polacca, poi russa e oggi ucraina, significa certamente essere baciato dall
fortuna. Vuol dire che i propri genitori sono sfuggiti a quellimmenso mattatoio che
è stato lo sterminio ebraico in Europa.
E poi, nel mondo dellinformazione non basta la qualità a fare il successo, occorre
una buona dose di fortuna. Ma quali sono i suoi riferimenti ideali, nel fare informazione?
Fra il serio e il faceto Lerner indica come modelli del suo stile giornalistico il metodo
rabbinico, ossia lo spaccare ogni questione in infinite altre, procedere per paradossi,
non trascurare alcuna prospettiva. Obiettivo è quello di cercare la verità più scomoda,
meno consolatoria, meno edulcorata, quella che produce conflitto, fa arrabbiare, spinge il
fruitore a voler approfondire. Ho fatto buon giornalismo quando spingo qualcuno a
passare da una libreria per cercare libri che lo aiutino a sapere.
Ma importante è stata anche la scuola di Lotta Continua, giornale da cui è partita la
sua avventura professionale. Complice il fatto che spentosi il movimento prima della
rivista, questa offriva, pur allinterno di un indirizzo di fondo, una straordinaria
libertà a coloro che vi lavoravano.
E poi ancora si è parlato di identità quale elemento fondante del proprio esistere.
Io non nascondo il mio essere ebreo, e per questo sono stato spesso accusato di
sbandierarlo. Essere ebreo non ha significato nulla nei primi anni della
contestazione giovanile, non segnava alcuna differenza, ma successivamente, col
riaccendersi del conflitto medioorientale, questo veniva visto come un limite, un elemento
da cui non si poteva prescindere.
Essere ebreo significa che, pur profondamente legato agli accadimenti della realtà
italiana, con parenti sparsi fra Israele e mezza Europa, si finisce per avere una visione
più ampia della realtà. Essere ebreo significa amare profondamente il paese
in cui si vive, ma sentirsi anche parte di una civiltà più ampia, che per unebreo
europeo rimanda inesplicabilmente al problema di interrogarsi su cosa sia e come costruire
una cittadinanza europea.
E a questo proposito mi tornano in mente le parole di Amos Oz, tratte dal suo ultimo libro
Storia damore e di tenebra quando racconta: Mio zio
David
.era un europeo consapevole, in un epoca in cui nessuno in Europa si sentiva
ancora europeo, a parte i membri della mia famiglia e altri ebrei come loro. Tutti gli
altri erano panslavi, pangermanici, o semplicemente patrioti lituani, bulgari, irlandesi,
slovacchi. Gli unici europei di tutta Europa, negli anni venti e trenta erano gli
ebrei.
E forse di questo lEuropa dovrebbe ricordarsi un poco più spesso. Un po più
di riconoscenza (vera) e di rimorso (sincero) contribuirebbero a fare di Israele
unentità più solida, e non uno Stato in perenne rischio di annientamento. Aprendo
di conseguenza maggiori prospettive anche per uno Stato palestinese.
Adriano Sofri, a mio avviso una delle voci più acute e più libere (sic!) della cultura
italiana, ci ha rammentato più volte come Israele sia un pezzo di Europa, espulso e
rigettato lontano dal nostro continente, sul quale purtroppo si continua a scaricare una
cattiva coscienza che non si pacifica. Il sionismo stesso, come movimento che si poneva
lobiettivo di ricreare un focolare ebraico, è sorto come reazione
allondata di antisemitismo che i nuovi nazionalismi di fine ottocento avevano
alimentato. Infrangendo così il sogno in cui molti ebrei si erano cullati, di una
possibile assimilazione. Anche per gli israeliani il problema dellidentità è
complesso e mai compiutamente risolto: allattaccamento per la propria terra fa
spesso da contraltare il bisogno di recuperare le proprie radici lontane.
In definitiva cosa significhi essere ebrei è estremamente difficile da esplicitare per
gli ebrei stessi: non solo religione, sottolineano sia Lerner che Caro, non solo popolo o
cultura, non certo razza, chè lunica razza esistente (altro lascito di Einstein,
oltre alla Relatività) è quella umana.
Paradossalmente le uniche idee chiare sulla definizione di ebreo sembrano possederle gli
antisemiti: lebreo da complesso diventa doppio, e quindi infido, perché certo
lantisemita è un uomo semplice che fatica a comprendere unidentità non
appiattita su ununica dimensione. Lebreo è potente, lo si immagina operare
nellombra (e quindi la sua potenza, poichè invisibile, diventa immensa), è la
finanza che stritola i piccoli, è massoneria, è potere occulto che esaspera
limpotenza delle masse. È lincarnazione di tutte le paure senza nome. Ho
trovato molto azzeccata la definizione di Lerner: Lantisemitismo è la
risposta più facile per chi non ha il coraggio di guardarsi allo specchio e di cogliere
anche in sé stesso una responsabilità per i mali che lo affliggono.
Spunti per una riflessione che certo ha trovato ascolto in un pubblico molto numeroso e
partecipe, a testimonianza, aldilà dellindiscussa capacità di richiamo del
personaggio, dellinteresse che la cultura ebraica riscuote almeno nella nostra
regione e di cui, ripeto, si parla poco o in modo spesso superficiale e fuorviante.
Bisogno a cui occorrerebbe dare risposte più articolate e stimolanti se cinteressa
realmente contrastare quel sentimento antiebraico che ogni tanto aleggia nel nostro
continente, come i recenti sondaggi dellUE hanno evidenziato, e che è senza dubbio
segno di un disago, di un malessere, di una febbre sociale che potrebbe intossicare e
travolgere, come nel recente passato, la nostra bella Europa.
golferasi@yahoo.it |
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