agli incroci dei venti agli incroci dei venti agli incroci dei venti


Autismo.

Percezione di una patologia.

di Simone Sarasso

Giacomo ha quattro anni e gli occhi azzurri. Per quanto ti sforzi, i suoi occhi non incontreranno mai i tuoi. Eppure sa come farsi sentire.
Dalle tue orecchie. E dal tuo cuore.
Dicono che la sua malattia è un “disturbo generalizzato dello sviluppo che riguarda in primo luogo la comunicazione verbale e non le capacità sociali e l’attività immaginativa”.
Su questo puoi giurarci. Patologia o no, non conosco nessuno con dentro un numero di sogni così grande da non aver bisogno di nessuno. Per ore.
Gli basta un pezzo di pongo (ma lui lo chiama “’ngò”). O uno squalo di gomma. E lo vedi creare mondi dei quali parla solo con se stesso.
Su di lui ed i suoi sogni si appoggiano come fiocchi di neve il mio sguardo stupito e curioso, i “povero bambino” delle sue insegnanti, il “con il metodo TEACCH svilupperebbe una capacità reattiva” della psicologa.
Ma come fiocchi di neve si sciolgono appena lo toccano, si squagliano al tepore della magia che porta dentro.
In mensa mangia solo prosciutto. Poi ruba una pagnotta e la mollica diventa plastilina.
“Ma qui siamo in sala mensa, mica nel salone! Molla subito il pane!” gli grida la maestra.
Così, nonostante la magia, si ritrova di nuovo senza “‘ngò”. Per fortuna c’è lo squalo di gomma. E basta poco perché si trasformi in un aeroplano.
Intorno a Giacomo ci sono ettolitri di discorsi sul suo futuro, sulla necessità di diventare indipendente: “E quando mancheranno i suoi genitori come farà?”
C’è persino una scuola speciale che l’aspetta, a Milano.
E noi ci andiamo per vedere come gli verrà insegnato a scrivere quando avrà bisogno di qualcosa.
Là imparerà a ignorare le nuvole fuori dalla finestra per ascoltare chi gli rivolge la parola.
Là per sei mesi ci spiegano che per vivere nel nostro mondo i piccoli maghi devono dimenticarsi dei loro sogni chiassosi e fatati. Che qui nessuno li vede.
“Un Hogwards (Controlla!) al contrario…”, rimugino a voce bassa.
Io non ho la magia di Giacomo. Né quella di Linda, che ha tramutato l’anima di un rotolo da cucina in un cannocchiale; e il mondo lo guarda da lì. E ride.
Nonostante il diploma di fine corso - che pare mi dia il diritto di lavorare con gli apprendisti stregoni - mi sento strano.
Da quando in qua un babbano ha il diritto d’insegnare a chi ha la bacchetta magica?
Ma Giacomo sembra non curarsene, recita la formula (“Ga ga ohi ohi ohi”) e il colore blu per fare le nuvole sul foglio diventa crema per il viso, mio e suo.
Io sorrido, fingendo di rimproverarlo.
E i suoi occhi azzurri ritrovano le nuvole là dove le avevano lasciate. Fuori dalla finestra.


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