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Ancor oggi, lAfrica
è il continente del mondo più dilaniato dalle guerre. Da circa 15 anni si assiste ad una
sorta di somalizzazione di diverse entità statali post-coloniali: la
dissoluzione delle istituzioni, causata dalla fine del sostegno strumentale ottenuto dalle
grandi potenze durante quasi cinquantanni di guerra fredda, ha concorso
al riemergere di identità precoloniali, al crollo delleconomia legale, al
dispiegarsi della corruzione e alla deflagrazione di piccoli e grandi conflitti bellici.
Ma di quali conflitti si tratta? Laiuto militare o finanziario internazionale da
parte di Usa e Urss aveva assicurato ai vari gruppi armati, statali e non, una certa
coesione politica ed entrate regolari. Tuttavia la perdita di tutto ciò, con la
dissoluzione del blocco orientale, ha permesso in primo luogo la circolazione di una
grande quantità di armi provenienti sia dai paesi dellEst che dal mercato libero
americano. Questo, in concomitanza con la crisi della versione africana degli Stati
nazionali, ha facilitato lesplosione di conflitti armati complessi e multiformi, di
bassa intensità militare anche se di altissima intensità di vittime, scatenati da gruppi
armati quasi sempre non statali, da signori della guerra, da eserciti o da bande
allinterno di uneconomia dove prevalgono le attività predatrici e criminali
dei vari gruppi belligeranti.
Come è stato scritto: Dellaureola eroica dei partigiani, ribelli e
guerriglieri non è rimasta alcuna traccia. Una volta sostenute ideologicamente e
spalleggiate da alleati stranieri, guerriglia e antiguerriglia si sono rese autonome. Quel
che rimane è la teppaglia armata. A tenerli uniti non vi è nessuno scopo, progetto o
ideologia, bensì una pseudostrategia il cui vero nome è rapina, assassinio,
saccheggio. (Hans M. Enzensberger, Prospettive sulla guerra civile).
IL CONTROLLO DELLE
MATERIE PRIME
La maggior parte dei confitti armati in atto in Africa, hanno come obiettivo il controllo
del territorio, che permette il saccheggio delle risorse per proprio tornaconto o per
assecondare gli interessi di potenze esterne allarea.
Se infatti andiamo a vedere più a fondo quali risorse si celano in questi paesi, capiremo
perché le maggiori forze economiche e finanziarie attualmente presenti nella scena
internazionale, auspichino in modo sfacciato, una sorta di colonialismo di terza
generazione (dopo il colonialismo tradizionale e il neocolonialismo), caratterizzato da
unesplicita ideologia neorazzista che imputa ai popoli africani, per ragioni non
solo o tanto politiche, ma dichiaratamente antropologiche, i loro insuccessi sociali,
lincapacità di uscire dallo stato di sottosviluppo in cui si trovano immersi, e
quindi la necessità di metterli in amministrazione controllata da parte delle
potenze del Nord.
Ricordiamo, a titolo di esempio, solo alcuni dati: la produzione di cobalto
dellAfrica copre attualmente circa il 40% del fabbisogno mondiale, mentre oltre il
50% delle riserve mondiali conosciute sono concentrate nel Congo e nello Zambia; il cromo
(Sudafrica e Zimbabwe) rappresenta il 61%; i diamanti (Congo, Botswana, Sudafrica) il 42%;
la produzione di uranio (Niger e Namibia) il 16 %; quella delloro (Sudafrica) il
24%. Sempre il Sudafrica produce l80% di platino, ma vaste riserve di metalli
appartenenti a questa famiglia di minerali si trovano anche nello Zimbabwe, Burundi,
Etiopia, Sierra Leone e Kenya. Sempre le viscere del Sudafrica trattengono il 18% della
produzione mondiale di titanio e il 14% di manganese.
Come si può capire, questo tesoro che madre natura ho regalato al continente nero, non
può lasciare indifferenti le vecchie potenze industrializzate né quelle emergenti, le
quali cercano alleati o complici nei vari governi della zona o in chi può garantire i
loro lucrosi affari, anche se in dispregio dei diritti umani. Una delle ragioni dei
conflitti, in atto in questa regione, è quindi da attribuirsi proprio alla deliberata
volontà di controllo di materie prime strategiche, che interessano alcune potenze
industriali (in modo particolare gli Usa, la Francia e lInghilterra) e varie
multinazionali, che con la fine del regime di apartheid in Sudafrica, hanno visto
pregiudicato il loro indiscusso dominio sulle risorse in questa parte del mondo. Non
potendo più appoggiarsi al regime segregazionista di Pretoria, sono state obbligate a
stringere alleanze più o meno esplicite, con altri governi della regione e in particolare
con lUganda e lex Zaire, dopo averli prima ripuliti di personaggi
politicamente impresentabili, ma per lungo tempo loro buoni alleati e soci in affari, come
Amin e Mobutu.
Grazie proprio al traffico di diamanti di cui controllava il contrabbando, le vie di
transito, i posti di blocco, ecc., il movimento angolano di guerriglia antigovernativa
(Unita) guidato da Savimbi uomo protetto e armato dallOccidente, ucciso in
circostanze oscure circa due anni fa, poco prima che le fazioni in lotta arrivassero a
intavolare lennesima trattativa di pace era riuscito a rifornirsi di armi
pesanti e proseguire la guerra civile combattuta solo per mettere le mani su vaste zone
del paese ricche di minerali, e trarne a proprio vantaggio (e a quello dei suoi amici) i
maggiori benefici economici. La Commissione incaricata dalle Nazioni Unite di indagare
sulle violazioni delle sanzioni imposte a questo movimento armato, dovette lamentare che
la capacità dellUnita di vendere i suoi diamanti si fondava su tre fattori:
accesso alle zone minerarie, ai luoghi di commercializzazione, e facilità di vendita
sulle principali piazze che, guarda caso, sono tutte collocate nei paesi ricchi.
Un altro esempio: lex presidente liberiano Taylor ha offerto asilo, formazione e
armi ai ribelli della Sierra Leone, che lo ricompensavano in diamanti. Gli stessi ribelli
pagavano sempre con tale pietra i rifornimenti di materiale bellico ottenuti da mercanti
occidentali e provenienti dal Burkina Faso, Costa dAvorio, Slovacchia e Ucraina.
Ciò ci fa capire come le esportazioni diamantifere della Liberia verso il Belgio,
potevano superare di ben 16 volte, in termini di carati, le sue capacità di estrazione.
LORO NERO CHE
PIACE AGLI USA
Tra le materie prime che fanno gola, cè anche il petrolio. Le riserve africane
delloro nero interessano attualmente gli Usa, impegnato da tempo a diversificare i
propri approvvigionamenti: il petrolio africano è considerato una priorità per la loro
sicurezza nazionale, tanto da prevedere che nellarco di alcuni anni, un buon 25% del
suo fabbisogno verrà proprio da questo continente. Qui entrano in campo paesi come il
Sudan, la Nigeria (primo esportatore africano di greggio), lAngola (secondo grande
produttore continentale), la Guinea equatoriale, il Congo e il Gabon. Già due grandi
produttori di petrolio americani, come la Exxon-Mobil e la Chevron-Texaco, si stanno
muovendo con il proposito di investire laggiù oltre dieci miliardi di dollari. Un
campanello dallarme è venuto però dallAssociazione delle conferenze
episcopali della regione dellAfrica centrale, che ha messo in evidenza la
complicità esistente tra le compagnie petrolifere e i politici della regione,
aggiungendo inoltre che i proventi del petrolio sono utilizzati per mantenere al
potere alcuni regimi che non rispettano i diritti umani.
In Angola, ad esempio, dove la Chevron controlla già il 75% della produzione locale, una
cricca di affaristi vicini al governo, ha stornato circa il 30% dei profitti provenienti
dal petrolio a proprio esclusivo vantaggio. Intanto gli Stati Uniti hanno provveduto a
escludere la Guinea equatoriale, soprannominata il Kuwait africano, dalla
lista dei 14 paesi africani accusati di violare i diritti civili e politici delle loro
popolazioni. Si tratta di uno Stato, in cui i due terzi delle concessioni petrolifere sono
state assegnate a operatori americani fortemente legati allamministrazione Bush, e
descritto dal rapporto annuale della Cia come un paese gestito da dirigenti senza
legge che hanno saccheggiato leconomia nazionale.
Roberto Cucchini
Congo: i diamanti di sangue
Sempre il controllo delle materie prime, ha
rappresentato la causa principale delle guerre in Angola, Liberia, Sierra Leone e nella
Repubblica democratica del Congo (RdC). Qui, dal 1998, è iniziata tra la fazione
dellex dittatore Mobutu e quella di Kabila (padre), ciò che alcuni commentatori
hanno definito la prima guerra mondiale del continente, in cui sono stati
coinvolti gli eserciti di ben nove Stati africani: Congo, Zimbabwe, Namibia, Angola,
Rwanda, Burundi, Uganda, Sudan e Ciad.
Oggetto del contendere: il controllo sullestrazione e la vendita di pietre preziose
(la RdC possiede un terzo dei giacimenti diamantiferi del mondo), ma anche di legname,
oro, manganese, uranio, rame e del coltan (una miscela di cobalto e wolframio, utile
allindustria bellica e spaziale, ma anche a quella dei cellulari e microprocessori),
di cui questo paese dispone i due terzi delle risorse mondiali.
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