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Per non dimenticare la memoria

di Massimo Tanzillo

Il mese scorso si è celebrato in Italia il “giorno della memoria”. Leggendo alcuni quotidiani e guardando i programmi televisivi sull’argomento, mi è tornato alla mente un testo letto alcuni anni fa: “L’industria dell’Olocausto” di Norman G. Finkelstein, questo per le due tesi proposte e riproposte dai media e dagli studiosi dell’Olocausto: l’Olocausto come evento unico nella storia, quasi al di là della Storia e gli ebrei visti come uniche vittime o perlomeno le prime e le più perseguitate.
La prima tesi, per qualsiasi studioso “serio” dell’Olocausto non ha nessun fondamento storico; è un falso storico. Basti pensare ai gulag sovietici, le stragi indocinesi a Timor Est finanziate dal governo americano, lo sterminio perpetrato dai Khmer rossi alla popolazione cambogiana, le stragi in Cile, Nicaragua, Guatemala messe in atto dal governo americano, le stragi dei Tutsi da parte degli Hutu, ma si può andare più in là nella storia e citare le Crociate, la “caccia alle streghe” e l’elenco non finirebbe mai…
Ma c’è da porsi una domanda; se l’Olocausto è un evento unico, perché i media e il premio Nobel per la pace Elie Wiesel (il quale sostiene a spada tratta la prima tesi) ha paragonato lo sterminio ebraico da parte della Germania nazista all’attuale sofferenza del popolo africano? Com’è possibile fare paragoni? Non è contraddittorio? E perché proprio con l’Africa? All’improvviso sembra che un continente ignorato per il resto dell’anno dai media, diventi il punto cardine della presa in carico delle attuali responsabilità Occidentali. Potremmo anche ipotizzare che è proprio perché di questo continente non se ne parla mai, che si è scelto proprio questo giorno -dedicato alla sofferenza- per ricordare la tragedia africana. Ma sarebbe troppo bello. Infatti il giorno dopo l’Africa è ritornato il continente oscuro e ignorato di sempre.
Lo stesso vale per la seconda tesi che vuole gli ebrei come le principali vittime dell’Olocausto, se non le uniche, quando ci si dimentica di citare –en passant- le altre.
Gli ebrei non sono stati né gli unici, né i primi, né i più perseguitati; i primi crimini nazisti furono sperimentati sulla pelle degli stessi tedeschi; migliaia di portatori di handicap e dissidenti politici furono eliminati, in quanto ai più perseguitati “i nazisti uccisero sistematicamente non meno di mezzo milione di zingari, una cifra, in proporzione, pari a quella del genocidio degli ebrei”. (Sibyl Milton, autrice di molte pubblicazioni sulla storia degli zingari ed ex direttrice della sezione storia dello United States Holocaust Museum).
Quello che il nazismo ha fatto alle comunità ebraiche è orribile. Ma dove risiede l’unicità di questo evento storico?
E’ interessante analizzare, al riguardo, lo studio di Finkelstein sulla genesi dell’ideal-tipo di Olocausto che ci viene offerto quotidianamente e che è diventato sapere collettivo, accettato e riconosciuto senza obiezioni.
Finkelstein sostiene che “l’Olocausto è una rappresentazione ideologica [dell’evento storico] dell’Olocausto nazista […] L’Olocausto non è un concetto arbitrario si tratta piuttosto di una costruzione intrinsecamente coerente, i cui dogmi-cardine sono alla base di rilevanti interessi di classe [esso] ha dimostrato di essere un’arma ideologica indispensabile grazie alla quale una delle più formidabili potenze militari del mondo, con una fedina terrificante quanto a rispetto dei diritti umani, ha acquistato lo status di vittima, e lo stesso ha fatto il gruppo etnico di maggior successo degli Stati Uniti. Da questo specioso status di vittima derivano dividendi considerevoli, in particolare l’immunità alle critiche per quanto fondate esse siano”. (N.G. Finkelstein; L’Industria dell’Olocausto. Ed. Rizzoli, 2002. Pp. 9-10).
Nel suo saggio, Finkelstein divide la memoria dell’Olocausto in due periodi prima e dopo il ’67 (la guerra dei sei giorni). Prima di questo periodo l’Olocausto era un argomento tabù anche per le èlite ebraico-americane; pochi libri furono scritti sull’argomento e “non era un silenzio dettato dal rispetto, era semplice indifferenza”. (op. cit. pag. 13). Il motivo era semplice : dopo la seconda guerra mondiale e con l’inizio della Guerra Fredda, americani ed ebrei americani “dimenticarono” la Germania nazista poiché “la nuova Germania” –per niente denazificata- divenne un alleato fondamentale degli Stati Uniti nella lotta all’Unione Sovietica. Inoltre, la Soluzione Finale era tabù anche per il fatto che il semplice ricordare l’Olocausto nazista fu considerato atteggiamento comunista. Ciò spiega anche perché prima del ’67 non ci furono, in sostanza, sostenitori dello Stato d’Israele; provenendo dall’Est, gli ebrei sionisti erano considerati filo-sovietici; basti citare un esempio fra tutti. Nel 1956 quando gli Israeliani invasero la penisola del Sinai, il presidente Eisenhower costrinse gli ebrei a ritirarsi, nonostante gli israeliani, già all’epoca, dimostrarono al mondo il loro potenziale strategico; erano comunque considerati non più di una pedina tra le tante nello scacchiere Medio-Orientale; inoltre in più di un conflitto arabo-israeliano Eisenhower “alternò l’appoggio ad Israele con quello delle nazioni arabe, favorendo comunque queste ultime”. (op. cit. pag. 29).
La situazione mutò radicalmente dopo la guerra dei sei giorni. Gli Stati Uniti furono colpiti dall’impressionante potenza israeliana e si mossero militarmente ed economicamente per farne una loro risorsa strategica. Dal canto suo, Israele si trasformò in un procuratore del potere americano in Medio Oriente.
Da questo momento in poi è quasi impossibile catalogare la vastità degli scritti, dei saggi, degli articoli, dei musei dedicati alla memoria dell’Olocausto. In realtà, si è trattato di una vera e propria “propaganda politica dell’Olocausto”. Nessun paragone con alcun evento storico fu più possibile, nessuna critica al criminoso governo israeliano fu più possibile, pena l’essere tacciati di antisemitismo, di voler nuovamente perseguitare un popolo da sempre “vittima” (detto di sfuggita, non penso siano esistite nella storia altre “vittime” che vivono nell’agiatezza come gli ebrei americani o armati fino ai denti come il governo israeliano); gli ebrei devono essere eletti anche nella sofferenza.
Con l’industria dell’Olocausto gli ebrei americani, da un lato e, lo Stato d’Israele, dall’altro, si sono macchiati dei peggiori crimini e delle più vergognose speculazioni.
Per quanto riguarda le speculazioni, prendiamo due casi su tutti: la mole impressionante di falsi letterari sull’argomento acclamati dalle élite ebraiche e le estorsioni di denaro in Svizzera.
Tra i falsi letterari, merita un accenno Fragment di B. Wilkomirski; salutato da tutti come un classico della letteratura sull’Olocausto, questo testo fu tradotto in una dozzina di lingue, vinse il Jewish National Book Award, il premio di Jewish Quarterly e il Prix de la Mémoire de la Shoah. “Wilkomirski divenne in breve tempo un uomo-immagine dell’Olocausto (pag. 83). Quando si scoprì che Wilkomirski aveva trascorso la sua infanzia in Svizzera (e non in un campo di sterminio, come afferma nel suo libro) e non era nemmeno ebreo, Israel Gutman che è un dirigente dello Yad Vashem, non considerò Wilkomirski un impostore poiché se la storia raccontata nel libro non era vera, era comunque vero il suo dolore.
Alcuni studi stimano i sopravvissuti dell’Olocausto nell’ordine delle centomila persone, di queste oggi, non ne restano più di venticinquemila. Nel momento in cui la Germania post-bellica pagò un risarcimento agli ebrei, molti di essi che avevano passato altrove il periodo della guerra si presentarono come sopravvissuti, inoltre, essendo come abbiamo già detto, la Germania post-bellica schieratasi al fianco del governo americano, le élite ebraiche non avevano mai preteso un risarcimento da essa e comunque la stragrande maggioranza dei risarcimenti furono gestiti dall’associazione ebraica Claims Conference per la riabilitazione delle comunità ebraiche e non delle singole vittime, anzi il principio guida della Claims Conference proibiva l’uso di denaro “a beneficio diretto delle singole persone”. Tranne per i rabbini e per i leader di primo piano.
Le cose non andarono nello stesso modo per la neutrale Svizzera. La vicenda delle vere e proprie estorsioni perpetrate dalla comunità ebraica nei confronti di questa nazione è stata giustamente battezzata “l’ultimo capitolo dell’Olocausto”; nel 1995 le comunità ebraiche accusarono la Svizzera di essere in possesso dei depositi dei beni degli ebrei sui conti elvetici per un valore di diversi miliardi di dollari. Le banche Svizzere dichiararono di essere riuscite ad individuare conti risalenti solo a trentadue milioni di dollari e di essere disposti a risarcire le comunità. L’epilogo della vicenda si svolse sempre secondo lo stesso copione; la Svizzera fu accusata di antisemitismo, di aver sfruttato l’evento più vergognoso della storia, di aver rifiutato l’ospitalità ai rifugiati ebrei (in realtà, la Svizzera molto più piccola degli Stati Uniti, ha ospitato lo stesso numero di rifugiati di questi ultimi). Alla fine la Svizzera per evitare lo screditamento della sua immagine sullo scenario mondiale, ha risarcito le comunità ebraiche per un ammontare di un miliardo e duecento milioni di dollari (il governo americano non ha trovato opportuno e nemmeno ha trovato nessuna comunità ebraica che gli abbia chiesto un risarcimento per i numerosi rifugiati ebrei ai quali non ha dato ospitalità).
L’industria dell’Olocausto se da un lato ha permesso le peggiori speculazioni, dall’altro lato ha garantito un arbitrio totale dello Stato d’Israele in Medio Oriente; oggi è impossibile denunciare il genocidio perpetrato dagli israeliani nei confronti dei palestinesi, è impossibile denunciare come razzista e criminale la politica reazionaria dell’ultra destra di Sharon, senza essere tacciati di antisemitismo e (cosa peggiore, poiché abbiamo oramai assimilato questa logica) senza sentire “un inconscio senso di colpa”; non è assolutamente possibile (non ci si spiega il perché e nessuno ha la minima intenzione di spiegarcelo) paragonare lo sterminio razzista alla politica israeliana, del resto Elie Wiesel il più consacrato tra i fautori “dell’ideologia dell’Olocausto” liquida il conflitto arabo-israeliano come un’altra faccenda, ci spiega che chi si schiera dalla parte dei palestinesi (gli oppressi) continua a perpetrare l’odio irrazionale che da millenni i gentili nutrono nei confronti degli ebrei il quale è culminato con lo sterminio nazista, evento razionalmente inspiegabile, anzi qualunque tentativo di spiegare l’Olocausto equivale a negarlo; si, per un onorario di venticiquemila dollari Wiesel tiene convegni dove ci dice che il segreto della “verità” di Auschwitz giace nel silenzio.
Già molto tempo prima John Stuart Mill comprese che “le verità se non sottoposte a continua revisione, cessano di essere verità. E’ attraverso le esagerazioni, diventano falsità”.
Ritengo oggi di fondamentale importanza una seria analisi sull’Olocausto, una seria riflessione sui regimi totalitari in generale e sulle responsabilità dei governi; tale analisi potrebbe essere volta a smascherare le vergognose falsità del presente; perché evitare appositamente, nel giorno della memoria, la questione palestinese? Cosa hanno a che fare i milioni di morti nei campi di sterminio –ebrei e non- con la “legittimazione a tutti i costi” dell’attuale politica israeliana?
Vorrei concludere citando un passo di Finkelstein che ritengo significativo: “La sfida di oggi è di ristabilire l’Olocausto nazista come un oggetto di indagine razionale. Soltanto allora potremo davvero trarre lezione da esso. La sua anormalità non nasce dall’evento in sé, ma dallo sfruttamento industriale che ne è stato fatto. L’industria dell’Olocausto è sempre stata fallimentare. Resta solo da ammetterlo apertamente. Ed è da molto tempo ormai che va liquidata. Il gesto più nobile nei confronti di coloro che sono morti è serbarne il ricordo, imparare dalla loro sofferenza e, finalmente, lasciarli riposare in pace.


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