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Caro Piero
Fassino,
voglio esprimerti la piu' sincera solidarieta' per il brutto
episodio di ieri nella grande manifestazione per la pace. Quei
pochi che si sono comportati male, fino a spingerti fuori dalla
marcia, non rappresentavano assolutamente il clima e lo spirito
della grande massa dei partecipanti.
Era uno spirito impegnato, volitivo, ma sereno, senza toni
violenti. Te lo posso dire perche' ho percorso il corteo dalla
testa, che era arrivata al Circo Massimo prima delle 16, fino
alla coda che scorreva ancora a piazza Venezia dopo le 18,30. La
critica politica al tuo partito non e' istigazione
all'aggressione, come sembri dire nel tuo comunicato di ieri
sera.
Peraltro, e' impossibile escludere ogni facinoroso, falso
pacifista, da una massa cosi' grande.
Anch'io, come forse sai, critico come insufficienti le linee e
le scelte politiche del tuo partito sulla questione pace-guerra,
ma vi voglio ascoltare (ero anche domenica 14 al teatro Nuovo
per sentirti direttamente), cerco di discutere apertamente sui
fatti e sui valori in gioco, e soprattutto affermo e voglio che
la discussione non degeneri mai in rifiuto delle persone, come
hanno fatto ieri nei tuoi confronti pochi singoli. Diversi
giornali oggi sbagliano nel fare di quell'episodio un'immagine
riassuntiva, ma falsa, di tutta la manifestazione.
Ho visto sui muri di Roma il manifesto dei DS, e ho notato con
disappunto che non c'era l'espressione "NO alla guerra", parola
d'ordine della manifestazione alla pari del "NO al terrorismo".
Il tentativo di aggiungere a questa un'altra manifestazione,
senza partecipazione popolare, giovedi' 18, come se la nostra di
ieri avesse bisogno di essere completata nella condanna del
terrorismo, e' stato un errore bello e buono, e' stata una grave
incomprensione dell'obiettivo intero del movimento per la pace,
che condanna il terrorismo tanto quanto la guerra e la guerra
tanto quanto il terrorismo. L'aver omesso il rifiuto della
guerra dal vostro manifesto e' stato un altro errore. Pesa in
questi giorni la vostra astensione dal voto sulla presenza
militare italiana in Iraq, sotto il comando degli invasori.
Se aveste ribaltato sul governo il ricatto con cui esso
associava nel voto questa missione militare alle altre, sareste
stati piu' chiari.
Ieri, io portavo sul petto un cartello "Guerra = terrorismo".
L'ho mostrato anche ad uno che marciava con la bandiera
dell'Ulivo, lui lo ha condiviso e mi ha risposto che convincere
tutti, nell'Ulivo, di questa verita', rappresenta "una strada
ancora lunga". L'importante non e' la lunghezza delle strade, ma
imboccarle per il verso giusto.
L'idea piu' seria e qualificata della cultura politica di pace
non e' "molta pace e poca guerra", ma "tutta pace e niente
guerra". Nulla di meno. Mi spiego: o la politica espelle la
guerra dall'insieme dei propri mezzi d'azione, o non c'e' alcuna
politica. La guerra, infatti, sospende ed elimina la politica,
ben lungi dall'esserne una continuazione, e pone a regnare la
violenza assoluta.
"Fuori la guerra dalla politica" perche' possa essere messa
"fuori dalla storia", e' l'obiettivo non di alcuni ingenui
idealisti, ma di chi comprende l'estremo totale pericolo che l'umanita'
corre, pericolo mai prima d'ora presentatosi, e di chi, in un
tempo di grandi violenze, ascolta crescere nella coscienza umana
il ripudio di ogni violenza.
"Finche' la guerra sara' tra le opzioni possibili, la guerra ci
sara'", ha detto giustamente Teresa Sarti, di Emergency. E se
vogliamo fare politica, che e' la scienza e l'arte della
convivenza, della vita insieme, dobbiamo espellere dalla
politica la guerra, arte nera del dare la morte.
Saper decidere anche la guerra e' necessario per dimostrarsi
forza di governo, voi avete detto nel 1999 (vedi oggi i
risultati...) e anche dopo.
Questo e' un pesante errore storico. Il mondo di oggi si puo'
governare responsabilmente solo se si impara e si decide di
eliminare la guerra dai mezzi della politica. Altrimenti la
guerra puo' eliminare politica, politici, popoli, civilta' e
umanita'. Siamo o no consapevoli di questo?
Quando Prodi ha ripetuto, nell'intervista a Nigrizia, il falso
disastroso arcaico principio "Si vis pacem para bellum", ha
dato, a tutti noi che lo stimiamo, una grossa delusione. Le sue
precisazioni successive sono giuste, ma non e' giusto aver
richiamato quel detto come se avesse qualcosa di valido. Titola
bene l'Unita' di oggi: "Ci vuole pace per fare la pace".
Guerra ed eserciti non ottengono mai la pace. Se vuoi la pace
prepara solo la pace.
Naturalmente si deve capire ogni gradualita', purche' obiettivo
e direzione siano chiari e voluti. A voi politici deputati nei
luoghi delle decisioni istituzionali, tocca il faticoso lavoro,
che comprendo e rispetto, di vedere, decidere e compiere i passi
possibili sul terreno accidentato della storia. A noi comuni
cittadini attivi, non meno politici di voi, tocca il lavoro
altrettanto responsabile e faticoso di interpretare i bisogni e
i diritti umani, e di indicare orientamenti necessari verso
realizzazioni di umanita' piu' piena nella storia. La
collaborazione tra i nostri due ambiti di pensiero e di azione
e' necessaria. Ognuno puo' aiutare l'altro, perche' ognuno ha
bisogno dell'altro. Possiamo reciprocamente insegnarci qualcosa,
se ci parliamo senza affanno ne' fretta ne' partito preso ne'
impossibile pensiero collettivo. Teoria e prassi non sono
separate, ma in sinergia, come l'occhio e la mano, come lo
sguardo e il cammino.
Ogni mente seria e libera da interessi osceni (industria e
commercio di armi; volonta' di dominio; profitto sulla vita
altrui; difesa armata dell'ingiustizia mondiale; uso politico
della morte) vede che l'enorme violenza bellica, anche solo
potenziale, frutto delle piu' gravi e profonde violenze
strutturali e culturali, e' oggi il pericolo per la vita
dell'umanita', non meno del terrorismo. Chi vede questo deve
premere e insistere con forza sulla vostra azione politica, fino
a ottenere il bando della guerra, e la sua sostituzione,
possibile e realistica, con altri mezzi.
Come ha detto Luciano Violante domenica 14, al terrorismo si fa
lotta, ma non guerra. La guerra, infatti, lo imita, lo
riproduce, lo alimenta, perche' e' la sua copia speculare,
suddita della cultura di morte. Guerra = terrorismo.
Altri mezzi ci sono. La polizia internazionale e
l'intermediazione civile possono e devono soppiantare del tutto
sia la guerra, sia la sua preparazione negli eserciti
permanenti, che sottraggono enormi risorse vitali alla grande
maggioranza degli esseri umani, e uccidono ogni giorno, con la
guerra della fame, un numero di vittime molte e molte volte piu'
alto delle vittime del terrorismo. Il quale non e' affatto
giustificato da cio', sia chiaro, perche' non puo' fare nessuna
giustizia con la violenza, e perche' c'e' da temere che usi il
bisogno di giustizia per stabilire un dominio
violento.
Oggi la priorita' non e' del solo terrorismo, come hai detto tu
il 14, ma e' tanto della guerra quanto del terrorismo.
Come all'interno di una societa' politica sufficientemente
civile, l'azione di polizia controlla e contiene le violenze,
senza far guerra, cosi' puo' e deve essere nella comunita'
internazionale. Polizia e guerra sono qualitativamente diverse:
la differenza e' di sostanza, non e' il gioco di parole che fece
Andreotti nel 1991. La polizia, quando e' corretta e legale (non
come a Genova nel 2001!) riduce la violenza, invece la guerra
accresce la violenza, perche' premia il piu' violento. La
polizia e' forza, la guerra e' violenza. Forza e violenza sono
differenti e opposte. La forza e' una qualita' umana, la
violenza e' vergogna, e negazione di umanita'. La forza puo'
anche costringere, ma non distruggere, la violenza offende e
distrugge. La politica ha anche la forza tra i suoi mezzi
necessari, ma non puo' avere la violenza, contro la definizione
weberiana dello Stato, dimostratasi erronea e fallimentare (vedi
la migliore filosofia politica, da Hannah Arendt all'ultimo
Marco Revelli).
Alle crisi internazionali potrebbe rispondere una vera polizia
internazionale, sotto l'autorita' dell'Onu, se la politica degli
Stati rispettasse e desse i mezzi necessari alla legge
internazionale vigente di pace, che e' la Carta dell'Onu. Per
arrivare a questo, dobbiamo avere da subito, forti del diritto
della comunita' mondiale dei popoli, una cultura e
dei programmi precisi di totale messa al bando della guerra, di
smontaggio della sua strumentazione che gia' dissangua prima di
sparare, di conoscenza e sviluppo delle alternative possibili e
realistiche, di rifiuto tranquillo
del monopolarismo imperiale.
Tu dicevi domenica 14: prevenire il terrorismo, scoprire
finanziatori, reti, coperture; a questo fine gli strumenti
militari classici sono inadeguati; nessuna ingiustizia
giustifica il terrorismo (condivido pienamente), ma ridurre
l'ingiustizia economica mondiale e' una prima azione necessaria.
Poi confessavi con encomiabile sincerita' un grave ritardo (ho
preso appunti precisi) , dicendo: "Unico modo contro una
dittatura e' la guerra? Questo problema non ce lo siamo posti".
Ora, da almeno 50 anni, la moderna cultura di pace e
nonviolenza, ricca di tradizioni antiche, questo problema se lo
e' posto bene: ha svolto indagini storiche, ha elaborato
riflessioni teoriche, ha accumulato esperienze nei
conflitti acuti, ha impostato metodi d'azione che non sono
ricette magiche, ma sono ricerche positive di alternative reali
praticabili, in luogo della guerra e della rivoluzione violenta.
In questi decenni, con i metodi nonviolenti sono state
abbattute, senza spargere sangue, dure dittature.
Voi politici non potete ulteriormente ignorare questo patrimonio
di esperienze e di cultura, questa ampia letteratura seria
(ancora snobbata dalla editoria commerciale e accademica), non
potete restare vincolati al mito rovinoso della guerra "extrema
ratio". La guerra non e' una estrema ragione, ma e' "fuori da
ogni ragione", alienum a ratione, e' pazzesco pensarla capace di
ristabilire la giustizia, come dimostro' Papa Giovanni gia' nel
1963.
Alla tua sincera domanda ci sono risposte, certo non esaustive,
ma valide per vedere una linea di politica senza guerra, libera
dalla guerra. Perche' non cercate di conoscere e di scegliere
questa linea? Perche' non
considerate la proposta seria e realistica, tutt'altro che
rinunciataria, che abbiamo presentato a Prodi (ottenendo una
risposta evasiva), di un'Europa militarmente neutrale, impegnata
nel "transarmo" (passaggio dagli armamenti strutturalmente
aggressivi, quali sono tutti oggi, ad armamenti esclusivamente
difensivi), col programma di spostare ogni anno il 5% dei
finanziamenti dalla difesa militare alla difesa civile
nonviolenta? Il 18 febbraio, un provvedimento positivo di questo
governo negativo ha istituito un comitato di consulenza per la
difesa civile e non armata, secondo l'art. 8 della legge 230 del
1998. Vedremo gli sviluppi. Non fatevi superare dalla destra su
questa linea.
La lotta al terrorismo si svolge anche su piani culturali e
spirituali (lo hai detto bene anche tu), e proprio qui e' lotta
alla guerra, sostituzione della guerra con la politica concreta
e positiva di pace. O la politica e' pace, o non e' politica. La
pace non e' la fortuna di un tempo senza conflitti, ma e' l'arte
e la scienza della soluzione non distruttiva dei naturali
conflitti umani.
La nonviolenza e' ignorata quasi del tutto dalla politica, ma e'
necessaria alla politica di giustizia. Il dibattito sulla
nonviolenza in Rifondazione sembra proprio una cosa seria, va
seguito e sospinto da tutti con attenzione. La nonviolenza non
e' inerzia e astensionismo, ma e' forza, e' attivita' intensa,
e' gestione positiva della forza umana, e' inibizione della
nostra violenza che ci rovina, e' indipendenza dall'imitazione e
riproduzione della violenza altrui, e' testimonianza che un modo
giusto di vivere i rapporti umani, nelle piccole e nelle grandi
dimensioni, e'
possibile, anzi e' necessario per sopravvivere. La nonviolenza
e' la necessaria politica di oggi e di domani. Diceva Capitini:
"La nonviolenza e' il varco attuale della storia". Senza la
nonviolenza politica, se si resta nella vecchia illusione di
poter usare qualche dose di violenza a buon fine, cioe' un mezzo
ingiusto per un fine giusto, allora la storia non ha varchi, non
ha futuro, e la politica e' tradimento.
Ma la coscienza popolare cresce, matura, e, sia pure con le
lentezze e contraddizioni dei mutamenti storici di civilta',
tutte queste cose le comprende sempre un po' meglio. Ieri lo ha
dimostrato di nuovo, in tutto il
mondo. Anche la vostra politica deve capire questo, se vuole
essere servizio al cammino di dolori e di speranze dell'umanita'.
Ti dico tutto questo con i piu' sinceri auguri di buon lavoro.
Torino, 21 marzo 2004
Fonte:
Peacelink |
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