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Dopo il
funerale portano fuori dalla chiesa. la bara del soldatino Melis
Valery, classe 1978, e ci si accorge che è nuda. Nessun
tricolore, così come nessun picchetto d'onore, nessuno squillo
di tromba. Quasi con rabbia gli amici gettano sulla cassa la
bandiera di una squadra di calcio: il clan riconosce e onora il
suo compagno, ma la Patria è assente: quella dei presidenti, dei
ministri, dei generali, e magari del cardinale Ruini, questa
volta. non c'è. Il soldatino Melis Valery ha avuto il torto di
non essere stato ucciso in Iraq per un "vile attentato": si
potrebbe dire che, in qualche modo, è morto per "fuoco amico",
o, meglio, per un veleno "amico": quello dei proiettili
all'uranio usati dagli americani nel Kosovo (e poi in Iraq).
Quei proiettili non distruggono e non uccidono soltanto al
momento in cui esplodono; i loro resti sono radioattivi,
inquinano il suolo su cui cadono, gli esseri umani che li
avvicinano.
Sono 24 i soldati italiani che, mandati nei Balcani per una
guerra "umanitaria" ormai dimenticata, sono morti del morbo di
Hodgkin, un cancro che lascia poche speranze. Altri 260 "nostri
ragazzi", per usare una terminologia che piace tanto alle destre
patriottiche, soffrono dello stesso male. Uno di essi in queste
ore. è in agonia Il governo non
riconosce la loro devastazione come "causa di servizio. "E'
necessario approfondire" dice il ministro della Difesa, ma certo
è che il contingente italiano è, fra i gruppi di militari
stranieri nei Balcani, quello più colpito dal morbo. Il ministro
Martino si domanda perché. Penso che una risposta potrebbe
essere che i nostri soldati, secondo una gloriosa tradizione
della nostra burocrazia militare, non erano adeguatamente
equipaggiati come i colleghi; un'altra risposta è che forse
qualcuno del comando alleato ha scelto per gli italiani l'area
di intervento maggiormente inquinata.
LETTERA. Febbraio,
2004.
Fonte: mailing list
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