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Chiunque si sia inoltrato in quell’intricato ginepraio che è la pena di
morte americana sa bene che occorrono anni di lavoro per raggiungerne
una conoscenza appena passabile. Così la normale prudenza accademica
consiglia, a chi si vuole cimentare nel difficile compito di scrivere un
saggio sulla pena capitale USA, di far leggere i propri scritti a
qualcuno che sia competente in materia. Questa pratica di intelligente
umiltà, assolutamente normale all’estero e adottata anche dagli studiosi
più famosi, è quasi sconosciuta in Italia e Marchesi non fa eccezione.
Così, per merito suo, Laterza è andata ad aggiungersi alla lista di
editori che non sono stati in grado di evitare i patetici strafalcioni
dei loro autori.
Dopo Antonio Gambino (L’imperialismo dei diritti umani) e gli Editori
Riuniti, dopo i radicali di Nessuno tocchi Caino (vari Rapporti) e
Marsilio, dopo Aldo Forbice (I signori della morte) e Sperling & Kupfer,
dopo Massimo Fini (Il vizio oscuro dell’Occidente) e ancora Marsilio,
ora abbiamo le sciocchezze scritte da Antonio Marchesi e pubblicate da
Laterza.
Gli
svarioni di Marchesi.
Tengo a precisare che non ho letto tutto il libro di Marchesi ma che mi
sono limitato a sfogliarlo.
UNO
Conoscenza
della materia ottenuta con informazioni di seconda mano.
A pagina 63 Marchesi scrive che nel 1972, con la sentenza Furman, la
pena di morte venne dichiarata incostituzionale. Se avesse ragione i
nostri attuali problemi non esisterebbero: invece la Corte Suprema non
dichiarò contraria alla costituzione la pena capitale in quanto tale, ma
solo il modo con cui essa era amministrata.
cfr.
ROBERT M. BOHM “Deathquest II” Cincinnati, Anderson pub. 2003, pagina 27
BARRY LATZER ed “Death Penalty Cases” 2nd ed. New York, Butterworth
Heineman, 2002, pagina 54
DUE
Scarsa coerenza interna del testo.
A pagina 69 leggiamo che “i giurati devono, a maggioranza, decidere la
pena”. Questo non solo è falso, visto che occorre l’unanimità, ma è
anche in contraddizione con l’affermazione, questa volta vera, di pagina
66 secondo cui la presenza di anche un solo giurato nero raddoppia le
possibilità che l’imputato ottenga una condanna all’ergastolo. La
decisione a maggioranza non giustificherebbe poi l’accanimento, di cui
parla lo stesso Marchesi, con cui la Procura cerca di non avere giurati
di colore.
cfr.
VICTOR STREIB “Death Penalty” St Paul MN, West Group, 2003, pagina 173
TRE
Estrema confusione.
Secondo Marchesi (p. 59) la sentenza Penry stabilisce che “non
costituisce violazione dell’Ottavo emendamento l’esecuzione di una
persona malata di mente” e gli USA (p. 62) “sono giunti in tempi recenti
(…) alla esclusione della pena di morte per i malati di mente”. In
realtà le due sentenze Penry riguardano i ritardati mentali, mentre sono
secoli che la giurisprudenza anglosassone non consente la condanna a
morte di un malato di mente (questo però non significa che non ci siano
stati pazzi giustiziati).
cfr
BARRY LATZER op. cit. pagina 255
ROBERT M. BOHM op. cit. pagina 50
QUATTRO
Scarso aggiornamento.
Marchesi ignora che Roger Hood ha pubblicato, nel 2002, la terza
edizione del suo rapporto alle Nazioni Unite. Peccato! la lettura di
questo libro avrebbe evitato a Marchesi e Laterza parecchie brutte
figure.
CINQUE
Inutilità del libro.
Marchesi non si è reso conto dell’importantissima novità contenuta nella
sentenza Atkins, su cui pure si dilunga. Non ha capito che quello che ha
fatto andare su tutte le furie il giudice reazionario Scalia non è tanto
la “strana matematica” che ha portato sei giudici a decidere che esiste
un consenso nazionale contro l’esecuzione dei minorati mentali. La vera
novità è quella che la rivista Find Law chiama “effetto Strasburgo”,
cioè che, per la prima volta da molto tempo, la Corte Suprema ha fatto
un esplicito riferimento all’opinione del resto del mondo e in
particolare a quella dei giuristi europei.
cfr.
ROGER HOOD “The Death Penalty. A World wide Perspective” 3rd edition,
Oxford, Oxford U.P. 2002, pagina 73
Si sta quindi preparando lo scenario per la prossima sentenza della
Corte Suprema: quella che (spero) dichiarerà incostituzionale la pena di
morte per i minori. C’è un trend verso un consenso nazionale ben più
evidente di quello trovato in Atkins (proprio in questi giorni due stati
hanno abolito la pena capitale per i minori) e c’è un’opinione
assolutamente contraria da parte del mondo occidentale.
L’esatta comprensione di tutto questo è fondamentale per agire sui
prossimi avvenimenti, che saranno il tema della mia (credo) ultima
campagna sulla pena di morte.
In conclusione.
Spiace vedere che, per l’ennesima volta, si sia persa l’occasione di
pubblicare un buon libro sulla pena di morte. Spero che prima o poi
qualche casa editrice affronti seriamente il problema.
Claudio Giusti
Comitato 3 luglio 1849
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