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“Chiacchiere e distintivo” non sono sufficienti a produrre un libro: occorre conoscere la materia di cui si scrive.
Ovvero: cinque note sul libro di

Antonio Marchesi (ex Presidente della Sezione Italiana di Amnesty International)
La pena di morte

Laterza, 2004.

 
 

Chiunque si sia inoltrato in quell’intricato ginepraio che è la pena di morte americana sa bene che occorrono anni di lavoro per raggiungerne una conoscenza appena passabile. Così la normale prudenza accademica consiglia, a chi si vuole cimentare nel difficile compito di scrivere un saggio sulla pena capitale USA, di far leggere i propri scritti a qualcuno che sia competente in materia. Questa pratica di intelligente umiltà, assolutamente normale all’estero e adottata anche dagli studiosi più famosi, è quasi sconosciuta in Italia e Marchesi non fa eccezione. Così, per merito suo, Laterza è andata ad aggiungersi alla lista di editori che non sono stati in grado di evitare i patetici strafalcioni dei loro autori.
Dopo Antonio Gambino (L’imperialismo dei diritti umani) e gli Editori Riuniti, dopo i radicali di Nessuno tocchi Caino (vari Rapporti) e Marsilio, dopo Aldo Forbice (I signori della morte) e Sperling & Kupfer, dopo Massimo Fini (Il vizio oscuro dell’Occidente) e ancora Marsilio, ora abbiamo le sciocchezze scritte da Antonio Marchesi e pubblicate da Laterza.

Gli svarioni di Marchesi.
Tengo a precisare che non ho letto tutto il libro di Marchesi ma che mi sono limitato a sfogliarlo.

UNO
Conoscenza della materia ottenuta con informazioni di seconda mano.
A pagina 63 Marchesi scrive che nel 1972, con la sentenza Furman, la pena di morte venne dichiarata incostituzionale. Se avesse ragione i nostri attuali problemi non esisterebbero: invece la Corte Suprema non dichiarò contraria alla costituzione la pena capitale in quanto tale, ma solo il modo con cui essa era amministrata.
cfr.
ROBERT M. BOHM “Deathquest II” Cincinnati, Anderson pub. 2003, pagina 27
BARRY LATZER ed “Death Penalty Cases” 2nd ed. New York, Butterworth Heineman, 2002, pagina 54


DUE
Scarsa coerenza interna del testo.
A pagina 69 leggiamo che “i giurati devono, a maggioranza, decidere la pena”. Questo non solo è falso, visto che occorre l’unanimità, ma è anche in contraddizione con l’affermazione, questa volta vera, di pagina 66 secondo cui la presenza di anche un solo giurato nero raddoppia le possibilità che l’imputato ottenga una condanna all’ergastolo. La decisione a maggioranza non giustificherebbe poi l’accanimento, di cui parla lo stesso Marchesi, con cui la Procura cerca di non avere giurati di colore.
cfr.
VICTOR STREIB “Death Penalty” St Paul MN, West Group, 2003, pagina 173


TRE
Estrema confusione.
Secondo Marchesi (p. 59) la sentenza Penry stabilisce che “non costituisce violazione dell’Ottavo emendamento l’esecuzione di una persona malata di mente” e gli USA (p. 62) “sono giunti in tempi recenti (…) alla esclusione della pena di morte per i malati di mente”. In realtà le due sentenze Penry riguardano i ritardati mentali, mentre sono secoli che la giurisprudenza anglosassone non consente la condanna a morte di un malato di mente (questo però non significa che non ci siano stati pazzi giustiziati).
cfr
BARRY LATZER op. cit. pagina 255
ROBERT M. BOHM op. cit. pagina 50


QUATTRO
Scarso aggiornamento.

Marchesi ignora che Roger Hood ha pubblicato, nel 2002, la terza edizione del suo rapporto alle Nazioni Unite. Peccato! la lettura di questo libro avrebbe evitato a Marchesi e Laterza parecchie brutte figure.

CINQUE
Inutilità del libro.

Marchesi non si è reso conto dell’importantissima novità contenuta nella sentenza Atkins, su cui pure si dilunga. Non ha capito che quello che ha fatto andare su tutte le furie il giudice reazionario Scalia non è tanto la “strana matematica” che ha portato sei giudici a decidere che esiste un consenso nazionale contro l’esecuzione dei minorati mentali. La vera novità è quella che la rivista Find Law chiama “effetto Strasburgo”, cioè che, per la prima volta da molto tempo, la Corte Suprema ha fatto un esplicito riferimento all’opinione del resto del mondo e in particolare a quella dei giuristi europei.
cfr.
ROGER HOOD “The Death Penalty. A World wide Perspective” 3rd edition, Oxford, Oxford U.P. 2002, pagina 73

Si sta quindi preparando lo scenario per la prossima sentenza della Corte Suprema: quella che (spero) dichiarerà incostituzionale la pena di morte per i minori. C’è un trend verso un consenso nazionale ben più evidente di quello trovato in Atkins (proprio in questi giorni due stati hanno abolito la pena capitale per i minori) e c’è un’opinione assolutamente contraria da parte del mondo occidentale.

L’esatta comprensione di tutto questo è fondamentale per agire sui prossimi avvenimenti, che saranno il tema della mia (credo) ultima campagna sulla pena di morte.

In conclusione.
Spiace vedere che, per l’ennesima volta, si sia persa l’occasione di pubblicare un buon libro sulla pena di morte. Spero che prima o poi qualche casa editrice affronti seriamente il problema.

Claudio Giusti
Comitato 3 luglio 1849

 

 
 
 
 

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