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Nel 1400, al tempo in
cui in Italia, il Rinascimento si affacciava alla ribalta, nelle Fiandre
imperava, l’arte Fiamminga.
Ben diversa quest’ultima, da quella rinascimentale italiana, per molti
aspetti.
Gli italiani, sceglievano temi con rappresentazioni sacre, i fiamminghi
non sempre.
Gli italiani preferivano concentrare l’attenzione su una composizione in
cui, ciò che contava, era soprattutto la rappresentazione di uno spazio
complessivo, basato secondo regole geometrico-matematiche, che daranno
vita alla invenzione della prospettiva, il mondo poteva essere osservato
da un punto di vista molto simile al modo di vedere dell’occhio umano.
Per gli artisti fiamminghi, più importante della prospettiva (di cui non
tenevano gran conto) era la descrizione dei particolari e della fedele
descrizione della realtà (prolungando così, quella grande tradizione che
li aveva visti protagonisti, nella produzione delle “miniature”).
Gli Italiani del Rinascimento non conoscevano affatto agli esordi, la
tecnica della pittura ad olio che i fiamminghi avevano inventato (molto
probabilmente saranno i fratelli Jan ed Hubert Van Eyck, gli artefici di
tale invenzione) e che Antonello da Messina farà conoscere nella seconda
metà del ‘400 agli artisti italiani.
Gli italiani inoltre amavano lasciare la testimonianza della loro arte,
attraverso testi scritti.
Gli artisti fiamminghi, non hanno lasciato alcuna testimonianza se non
attraverso le loro opere.
Anche per questo, la loro arte che è soprattutto pittorica, ci appare
enigmatica come lo straordinario capolavoro di Jan Van Eyck, conservato
alla National Gallery di Londra: “I coniugi Arnolfini”.
L’artista, nacque verso il 1390 probabilmente nel Limburgo (forse a
Maastricht), una zona dei Paesi Bassi orientali che nel medioevo era un
famoso centro artistico.
Dopo aver lavorato presso la corte olandese, nel 1425 l’artista si
trasferirà a Bruges, nelle Fiandre.
Qui entrerà al servizio di Filippo il buono, duca di Borgogna.
Nominato “pittore di corte” assolvendo a diversi incarichi anche di tipo
diplomatico, resterà a Bruges sino alla morte avvenuta il 9 luglio 1441.
Ma torniamo al dipinto; un olio su tela, le cui dimensioni sono 81,8
x59,5 cm.
La scena rappresenta molto probabilmente la cerimonia di nozze (secondo
la tradizione dell’epoca, non ci si sposava in Chiesa o in Comune,
bastava che gli sposi unissero le mani davanti a due testimoni) o di
fidanzamento, tra Giovanni Arnolfini, un mercante di Lucca che si era
trasferito a Bruges, e Giovanna Cerami, anche lei di origine lucchese e
figlia di un ricco mercante che viveva a Parigi.
Molti degli oggetti qui raffigurati fanno riferimento all’avvenimento
rappresentato: il letto e la candela accesa sul lampadario sono simboli
del matrimonio, il cane è un simbolo della fedeltà coniugale, lo
specchio della purezza dell’unione e gli zoccoli della sacralità del
giuramento.
Ad accentuare la simbologia dell’unione coniugale sono le mani dei
coniugi che definiscono il centro del quadro mentre lo specchio posto
sul fondo ci lascia intravedere i testimoni dell’evento tra cui il
pittore (in abito azzurro).
Il dipinto così assume quasi la funzione di un documento legale.
Lo specchio, sopra al quale, con caratteri grafici che ricordano le
miniature medievali , è riportata la scritta: “Johannes De Eyck Fuit
Hic” (Jan Van Eyck fu qui) rappresenta anche la geniale trovata di un
artista che oltre ad eseguire una “doppia firma”, rappresenta attraverso
la “trovata” dello specchio (contemporaneamente, alla determinazione
della veridicità dell’opera e dell’evento) in maniera assolutamente
innovativa, la quarta dimensione, superando dunque la tridimensionalità
rinascimentale (il quadro, successivamente finito in Spagna, trovarà nel
‘600 l’interesse di Velàsquez, il quale citerà la soluzione dello
specchio nel celebre dipinto Las Meninas).
Ho parlato, all’inizio del mio articolo dell’importanza da parte degli
artisti fiamminghi di concentrarsi nella cura dettagliata dei
particolari.
Ebbene, osservate con quanta meticolosità Van Eyck calibra la luce,
protagonista qui nell’esaltare la qualità ad esempio della stoffa rossa
che ricopre il letto a baldacchino, la vivacità decorativa del tappeto,
il pavimento di legno di rovere.
Si osservi l’arredamento (la cristallina convessità dello specchio, la
lucentezza metallica del lampadario, l’acconciatura di Giovanna, coperta
da un velo bianco bordato di pizzo.
L’abbigliamento dei coniugi (lo strano cappello indossato da Giovanni o
la particolare impalcatura che si cela sotto la manica di pelliccia
chiara che sembra una cornice sospesa, intorno alle braccia di Giovanna.
L’abbondante cappa verde, profilata, indossata dalla donna a copertura
dell’abito azzurro e del “pancione”(simbolo di maternità?), che la
cintura rossa stretta sopra la vita evidenzia, conclude questa sequenza
di particolari che per paradosso aggiungono alla realtà un velo di
irrivelabile mistero.
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