un paese in guerra un paese in guerra un paese in guerra un paese in guerra

 

 

Grande Spirito,
dammi la forza di accettare
ciò che non si può cambiare,
il coraggio di cambiare
ciò che si può cambiare,
la saggezza per capire la differenza

(preghiera Cherokee)
 

Un paese in guerra: Iraq

 

 
 

Iraq: armi proibite
o le solite triangolazioni?

di Giorgio Beretta

 
 

Alla fine anche Bush e Blair hanno dovuto arrendersi all’evidenza. Ad oltre un anno dall’occupazione armata in Iraq, le armi di distruzione di massa di cui Saddam sarebbe stato in possesso non si trovano. Nel tentativo di rispondere alle pressioni dell’opposizione e dei loro stessi partiti, i due leader non hanno potuto far altro che nominare una commissione indipendente che indaghi sulle informazioni loro fornite dai rispettivi servizi segreti. Il potenziale danno politico dei risultati dell’indagine è vasto: per ridurlo al minimo Bush ha stabilito che la commissione avrà tempo fino al marzo del 2005 per presentare il proprio rapporto, mentre Blair – che dovrebbe spiegare le ragioni della guerra ad un elettorato in gran parte contrario – intende limitare il raggio d’indagine della commissione ai dossier dei servizi segreti, senza entrare in merito alla decisione politica dell’intervento armato.
Il tutto è nato dalle dichiarazioni di fine gennaio al Congresso americano del capo degli ispettori Usa in Iraq, David Kay. Prima di rassegnare le dimissioni il funzionario statunitense ha affermato che Saddam si era sbarazzato delle armi proibite ben prima dell’intervento armato anglo-americano e che, nonostante il rais abbia avuto un programma nucleare durante la Guerra del Golfo del 1991, quel programma era sfumato negli anni per la combinazione delle ispezioni Onu, delle sanzioni internazionali e per la decisione di Saddam di liberarsi di quelle armi. Il fatto stesso che la pattuglia di 1.400 ispettori Usa diretta da Kay non sia riuscita a trovare traccia delle armi nucleari, chimiche e batteriologiche sta a dimostrare – come nota il New York Times – che “il Rapporto ‘National Intelligence Estimate’ prodotto dalla Cia nel 2002 sovrastimava le capacità belliche dell’Iraq”. Una constatazione, quest’ultima, che in altri frangenti sarebbe stata accolta con gioia. Se non che, proprio quel Rapporto aveva fornito all’amministrazione Bush la documentazione necessaria per giustificare l’intervento armato in Iraq: la famosa smoking gun.

I DOCUMENTI DI PAUL O’NEILL
Nei mesi scorsi, dopo le rivelazioni del libro di Ron Suskind “The Price of Loyalty” basato sulle dichiarazioni e sui circa 30mila documenti presentati da Paul O’Neill, l’ex segretario di Stato americano al Tesoro “licenziato” da Bush alla fine del 2002, la questione delle armi di Saddam è tornata alla ribalta negli Usa. Secondo la documentazione fornita da Paul O’Neill, infatti, nei primi tre mesi del 2001 – cioè due anni prima dell’inizio della guerra – l’amministrazione Bush stava studiando le opzioni militari per rimuovere Saddam Hussein dal governo e andava già pianificando il dopo-Saddam: l’organizzazione delle truppe per il mantenimento della pace, i tribunali per i crimini di guerra e il futuro del petrolio iracheno. Un documento del Pentagono titolato “Foreign Suitors For Iraqi Oilfields Contracts” (Compagnie straniere interessate ai contratti dei pozzi petroliferi iracheni) parla di possibili contraenti in 30 o 40 paesi tutti con vari interessi nel petrolio iracheno.
Non hanno stupito perciò più di tanto le conclusioni di un altro Rapporto pubblicato recentemente negli Stati Uniti secondo cui “non vi erano prove convincenti che l’Iraq stesse avviando un programma nucleare”, “né che armi chimiche o biologiche stessero per essere consegnate a membri di Al Qaeda, un fatto anzi escluso da diverse prove”. Si tratta del Rapporto “WMD in Iraq: Evidence and Implication” (Armi di distruzioni di massa: evidenze e implicazioni) del Carnegie Endowment for International Peace, un Istituto di ricerca fondato negli Usa nel 1910 per favorire la cooperazione internazionale.
Ciò che stupisce, invece, è che nessun clamore abbia suscitato l’indagine pubblicata dal quotidiano americano Los Angeles Times. Il giornale è venuto in possesso di documenti che mostrano come, nonostante le sanzioni internazionali, alla vigilia della guerra in Iraq, la Siria rifornisse di armi Saddam Hussein. E la faccenda ha una certa rilevanza anche per l’Italia.
L’inchiesta di fine anno del Los Angeles Times dimostra un traffico di armi tra Siria e Iraq diretto da una società di proprietà di Bashar Assad, cugino di Saddam. La società Ses International Corporation, guidata da Assad e controllata da altri importanti esponenti del partito Baath siriano, avrebbe regolarmente trasferito armi all’Iraq nel periodo tra il 2000 e il 2003. Nel traffico sono direttamente coinvolti diversi personaggi di punta del regime di Damasco e gli ultimi 50 contratti, per un valore di decine di milioni di dollari, sarebbero stati firmati tra la fine di febbraio e gli inizi di marzo 2003 a pochi giorni dall’inizio dei bombardamenti Usa su Baghdad.
In particolare, l’inchiesta mostra come nei mesi precedenti l’intervento Usa vi sia stata da parte di Saddam una “disperata ricerca in almeno una dozzina di nazioni di missili balistici, missili contraerei, artiglieria, pezzi di ricambio per aerei da combattimento MIG, carro armati, sistemi radar e esplosivi”. E soprattutto ricorda una cosa interessante per noi italiani: nel marzo scorso l’amministrazione Bush aveva accusato la Siria di aver inviato “visori notturni e altro materiale bellico” all’Iraq, ma che gli stessi ufficiali statunitensi “non erano a conoscenza delle dimensioni del traffico illecito di armi tra i due paesi”.

ARMI ITALIANE ALL’IRAQ VIA SIRIA?
Ciò che il giornale statunitense non ha investigato è se tra quei “visori notturni ad uso bellico” passati a Saddam dalla Siria, non vi siano anche i sofisticati sistemi di visori notturni di puntamento per carri armati T72 che lo scorso anno l’Italia ha venduto alla Siria. Come abbiamo documentato nel numero di giugno dello scorso anno (Missione Oggi 6/2003), la Relazione 2003 della Presidenza del Consiglio sull’export di armi italiane, riporta infatti che nel 2002 sono state autorizzate dal governo italiano vendite di armamenti alla Siria per un totale di oltre 18 milioni di euro. Si tratta di 17 esportazioni che fanno parte di una mega commessa da 266.379.656 euro (515 miliardi di lire) firmata nel 1998 e mai interrotta nonostante le continue accuse di violazioni al governo siriano. E tra queste appunto vi sono i sistemi di visori notturni di puntamento e di controllo del tiro per carri armati T72 di fabbricazione sovietica, prodotti oltretutto da un’azienda controllata dallo Stato: le Officine Galileo della Finmeccanica. Si tratta di forniture per lo meno sospette di triangolazioni, delle quali però nessuno parla. E si dovrebbe anche verificare come mai, nonostante nel dicembre scorso il Parlamento Europeo abbia votato per mantenere l’embargo di armi alla Cina, il governo Berlusconi continui ad autorizzarne la vendita: si tratta di 7 esportazioni per un valore complessivo di ben oltre 22,8 milioni di euro nel 2002 e, se non bastasse, di 127 milioni di euro di autorizzazioni lo scorso anno che fanno della Cina il terzo paese per totale di esportazioni d’armi italiane.

Missione Oggi

 
 
 
 

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