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Alla fine anche Bush
e Blair hanno dovuto arrendersi all’evidenza. Ad oltre un anno
dall’occupazione armata in Iraq, le armi di distruzione di massa di cui
Saddam sarebbe stato in possesso non si trovano. Nel tentativo di
rispondere alle pressioni dell’opposizione e dei loro stessi partiti, i
due leader non hanno potuto far altro che nominare una commissione
indipendente che indaghi sulle informazioni loro fornite dai rispettivi
servizi segreti. Il potenziale danno politico dei risultati
dell’indagine è vasto: per ridurlo al minimo Bush ha stabilito che la
commissione avrà tempo fino al marzo del 2005 per presentare il proprio
rapporto, mentre Blair – che dovrebbe spiegare le ragioni della guerra
ad un elettorato in gran parte contrario – intende limitare il raggio
d’indagine della commissione ai dossier dei servizi segreti, senza
entrare in merito alla decisione politica dell’intervento armato.
Il tutto è nato dalle dichiarazioni di fine gennaio al Congresso
americano del capo degli ispettori Usa in Iraq, David Kay. Prima di
rassegnare le dimissioni il funzionario statunitense ha affermato che
Saddam si era sbarazzato delle armi proibite ben prima dell’intervento
armato anglo-americano e che, nonostante il rais abbia avuto un
programma nucleare durante la Guerra del Golfo del 1991, quel programma
era sfumato negli anni per la combinazione delle ispezioni Onu, delle
sanzioni internazionali e per la decisione di Saddam di liberarsi di
quelle armi. Il fatto stesso che la pattuglia di 1.400 ispettori Usa
diretta da Kay non sia riuscita a trovare traccia delle armi nucleari,
chimiche e batteriologiche sta a dimostrare – come nota il New York
Times – che “il Rapporto ‘National Intelligence Estimate’ prodotto dalla
Cia nel 2002 sovrastimava le capacità belliche dell’Iraq”. Una
constatazione, quest’ultima, che in altri frangenti sarebbe stata
accolta con gioia. Se non che, proprio quel Rapporto aveva fornito
all’amministrazione Bush la documentazione necessaria per giustificare
l’intervento armato in Iraq: la famosa smoking gun.
I DOCUMENTI DI PAUL
O’NEILL
Nei mesi scorsi, dopo le rivelazioni del libro di Ron Suskind “The Price
of Loyalty” basato sulle dichiarazioni e sui circa 30mila documenti
presentati da Paul O’Neill, l’ex segretario di Stato americano al Tesoro
“licenziato” da Bush alla fine del 2002, la questione delle armi di
Saddam è tornata alla ribalta negli Usa. Secondo la documentazione
fornita da Paul O’Neill, infatti, nei primi tre mesi del 2001 – cioè due
anni prima dell’inizio della guerra – l’amministrazione Bush stava
studiando le opzioni militari per rimuovere Saddam Hussein dal governo e
andava già pianificando il dopo-Saddam: l’organizzazione delle truppe
per il mantenimento della pace, i tribunali per i crimini di guerra e il
futuro del petrolio iracheno. Un documento del Pentagono titolato
“Foreign Suitors For Iraqi Oilfields Contracts” (Compagnie straniere
interessate ai contratti dei pozzi petroliferi iracheni) parla di
possibili contraenti in 30 o 40 paesi tutti con vari interessi nel
petrolio iracheno.
Non hanno stupito perciò più di tanto le conclusioni di un altro
Rapporto pubblicato recentemente negli Stati Uniti secondo cui “non vi
erano prove convincenti che l’Iraq stesse avviando un programma
nucleare”, “né che armi chimiche o biologiche stessero per essere
consegnate a membri di Al Qaeda, un fatto anzi escluso da diverse
prove”. Si tratta del Rapporto “WMD in Iraq: Evidence and Implication”
(Armi di distruzioni di massa: evidenze e implicazioni) del Carnegie
Endowment for International Peace, un Istituto di ricerca fondato negli
Usa nel 1910 per favorire la cooperazione internazionale.
Ciò che stupisce, invece, è che nessun clamore abbia suscitato
l’indagine pubblicata dal quotidiano americano Los Angeles Times. Il
giornale è venuto in possesso di documenti che mostrano come, nonostante
le sanzioni internazionali, alla vigilia della guerra in Iraq, la Siria
rifornisse di armi Saddam Hussein. E la faccenda ha una certa rilevanza
anche per l’Italia.
L’inchiesta di fine anno del Los Angeles Times dimostra un traffico di
armi tra Siria e Iraq diretto da una società di proprietà di Bashar
Assad, cugino di Saddam. La società Ses International Corporation,
guidata da Assad e controllata da altri importanti esponenti del partito
Baath siriano, avrebbe regolarmente trasferito armi all’Iraq nel periodo
tra il 2000 e il 2003. Nel traffico sono direttamente coinvolti diversi
personaggi di punta del regime di Damasco e gli ultimi 50 contratti, per
un valore di decine di milioni di dollari, sarebbero stati firmati tra
la fine di febbraio e gli inizi di marzo 2003 a pochi giorni dall’inizio
dei bombardamenti Usa su Baghdad.
In particolare, l’inchiesta mostra come nei mesi precedenti l’intervento
Usa vi sia stata da parte di Saddam una “disperata ricerca in almeno una
dozzina di nazioni di missili balistici, missili contraerei,
artiglieria, pezzi di ricambio per aerei da combattimento MIG, carro
armati, sistemi radar e esplosivi”. E soprattutto ricorda una cosa
interessante per noi italiani: nel marzo scorso l’amministrazione Bush
aveva accusato la Siria di aver inviato “visori notturni e altro
materiale bellico” all’Iraq, ma che gli stessi ufficiali statunitensi
“non erano a conoscenza delle dimensioni del traffico illecito di armi
tra i due paesi”.
ARMI ITALIANE ALL’IRAQ
VIA SIRIA?
Ciò che il giornale statunitense non ha investigato è se tra quei
“visori notturni ad uso bellico” passati a Saddam dalla Siria, non vi
siano anche i sofisticati sistemi di visori notturni di puntamento per
carri armati T72 che lo scorso anno l’Italia ha venduto alla Siria. Come
abbiamo documentato nel numero di giugno dello scorso anno (Missione
Oggi 6/2003), la Relazione 2003 della Presidenza del Consiglio
sull’export di armi italiane, riporta infatti che nel 2002 sono state
autorizzate dal governo italiano vendite di armamenti alla Siria per un
totale di oltre 18 milioni di euro. Si tratta di 17 esportazioni che
fanno parte di una mega commessa da 266.379.656 euro (515 miliardi di
lire) firmata nel 1998 e mai interrotta nonostante le continue accuse di
violazioni al governo siriano. E tra queste appunto vi sono i sistemi di
visori notturni di puntamento e di controllo del tiro per carri armati
T72 di fabbricazione sovietica, prodotti oltretutto da un’azienda
controllata dallo Stato: le Officine Galileo della Finmeccanica. Si
tratta di forniture per lo meno sospette di triangolazioni, delle quali
però nessuno parla. E si dovrebbe anche verificare come mai, nonostante
nel dicembre scorso il Parlamento Europeo abbia votato per mantenere
l’embargo di armi alla Cina, il governo Berlusconi continui ad
autorizzarne la vendita: si tratta di 7 esportazioni per un valore
complessivo di ben oltre 22,8 milioni di euro nel 2002 e, se non
bastasse, di 127 milioni di euro di autorizzazioni lo scorso anno che
fanno della Cina il terzo paese per totale di esportazioni d’armi
italiane.
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