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Introduzione
Il 7 marzo
2004, le autorità di sicurezza dell’aeroporto di Harare, in
Zimbabwe, hanno sequestrato
un Boeing 727. L’aereo trasportava, oltre a diverso materiale
bellico, 65 mercenari di varia provenienza, che avrebbe dovuto
raggiungere un altro commando già presente in Guinea
Equatoriale, per prendere possesso del palazzo presidenziale di
Malabo (la capitale del Paese) e spodestare il presidente
guineano Theodore Obiang Nguema, sostituendogli il leader
dell’opposizione in esilio. Responsabile dell’operazione Nick
Dutoit, un sudafricano di 48 anni, trafficante di armi e di
diamanti. Lo stesso giorno, le autorità dello Zimbabwe hanno
arrestato Simon Mann, un ex membro delle forze speciali inglesi
Sas, è uno dei massimi dirigenti della Executive Outcomes (Eo),
la più importante società di mercenari conosciuta al mondo anche
se non più attiva da anni, nonché fondatore assieme a Anthony
Buckingham di Sandline International, società britannica sorta
dalle ceneri di Eo, e famosa per il suo intervento nella guerra
civile in Sierra Leone, a fianco delle truppe governative, nel
1997.
Il 31 marzo, nella città irachena di Fallujah, 4 operatori di
sicurezza della società statunitense Blackwater Security
Consulting (BSC) sono stati trucidati dalla folla mentre a bordo
dei loro fuoristrada percorrevano il famigerato “triangolo
sunnita”.
Questi due episodi ravvicinati hanno portato nuovamente alla
ribalta una questione spesso sottovalutata o addirittura
sconosciuta: la presenza privata nei conflitti contemporanei.
Da un lato, infatti, sebbene apparentemente appartenenti ad un
passato che la maggior parte dell’opinione pubblica considera
remoto, i mercenari sono invece una costante in molte delle
recenti guerre, in Africa come nel resto del mondo. Dall’altro,
essi, non rappresentano che un aspetto, benché importante e
peculiare, di un fenomeno molto più complesso delle odierne
relazioni internazionali: la privatizzazione della guerra e
della sicurezza, che vede nel conflitto iracheno il suo massimo
esempio. L’orribile massacro di Fallujah ha così attirato
l'attenzione sulla componente privata presente in Iraq, dove i
"consulenti di sicurezza" sostituiscono i militari regolari in
molti dei loro compiti.
Mentre l’attenzione generale è attratta dai cosiddetti conflitti
asimmetrici (come quello iracheno) e dal fallimento del sistema
collettivo di tutela della pace e della sicurezza internazionale
delle Nazioni Unite, dietro le quinte si assiste alla lenta ma
incessante espansione dell’intervento privato nella gestione
della sicurezza e dei conflitti a livello globale (del quale i
mercenari tout court garantiscono il continuum, costituendone
allo stesso tempo la genesi e le espressioni più estreme ed
incontrollate!).
Questo intervento è sempre più ramificato e tentacolare e
interessa quasi ogni aspetto collegato con le attività collegate
alla sicurezza di Stati, multinazionali, Istituzioni
Internazionali ed Organizzazioni non Governative. Lo studio
dell’attività mercenaria, passata e presente, mette in evidenza
non solo l’evoluzione di questo fenomeno, ma ne fa emergere i
principali attori. Così, al fianco dei mercenari tradizionali, a
livello internazionale operano società private e vere e proprie
multinazionali della sicurezza, che sono destinate, nel giro di
pochi anni a detenere un vero e proprio monopolio nella
fornitura di alcuni servizi militari e di sicurezza, un tempo di
esclusiva competenza degli Stati.
Si tratta delle Società Private Militari e di Sicurezza, meglio
conosciute come Private Military and Security Companies
(comunemente definite PMC) e dei Military and Security
Contractors (MSC, più generalmente chiamati Contractors),
giganti economici statunitensi che assistono la grande macchina
bellica di Washington fornendogli ogni tipo di servizio di
supporto: logistica, Intelligence, manutenzione dell’arsenale
bellico, etc... Questi soggetti, spesso collegati tra loro,
sebbene con origini diverse, sfuggono ai numerosi tentativi di
classificazione ed è difficile delimitare i confini delle loro
attività, definendone le caratteristiche peculiari che li
distinguono. Tuttavia, rappresentano ciò che potrebbe
tranquillamente venire definita come una “rivoluzione nella
gestione della sicurezza internazionale”.
In un mondo che fatica a rispondere alle molteplici sfide e
minacce alla pace ed alla stabilità, mercenari, PMC e
Contractors si candidano, ognuno a suo modo e con scopi spesso
assai differenti, a gestire la sicurezza a livello
internazionale.
I
mercenari
L’attività mercenaria trova le sue radici in un passato assai
remoto. Fin dai tempi antichi, infatti, nella storia dei
conflitti militari civili ed internazionali, si è fatto ricorso
a truppe non regolari, assoldate per rispondere a necessità
contingenti e dissolte una volta terminata l’esigenza bellica.
Dagli eroi delle Guerre del Peloponneso, rese famose dagli
scritti di Tucidide e Senofonte, agli italici soldati di
ventura, ai violenti Lanzichenecchi e, infine, ai più nobili
Samurai, vi sono infiniti esempi di come individui, gruppi o
armate di combattenti siano stati assoldati per scopi bellici o
di sicurezza nel corso dei millenni.
Sebbene manchi una definizione unica e onnicomprensiva delle
varie realtà mercenarie, essi hanno rappresentato una costante
in quasi tutti i conflitti combattuti nel passato. Da questo
punto di vista pertanto, il mercenariato non è assolutamente da
considerare un fenomeno marginale della storia militare. Anzi,
l’analisi storica delle relazioni militari, porta ad evidenziare
che l’elemento “privato” è di gran lunga superiore a quello
“istituzionale”, ed è con l’avvento dello Stato nazionale e
degli eserciti di leva che la gestione di guerra e sicurezza
diventa “pubblica”.
Anche nel ventesimo secolo, comunque, in un mondo caratterizzato
dai grandi eserciti nazionali, i mercenari hanno svolto un ruolo
fondamentale per le sorti di molte guerre. In entrambi i
conflitti mondiali, ad esempio, la loro presenza è stata più
volte rilevante e molti sono gli episodi che li videro
protagonisti di cui è riportata testimonianza (si pensi ad
esempio ai piloti aerei di unità come la “Squadriglia Lafayette”).
Ma è soprattutto durante il periodo della decolonizzazione e con
particolare riguardo al continente africano che il fenomeno
mercenario ha avuto la sua apoteosi, assurgendo a vera e propria
epopea, con tanto di personaggi eroici entrati nel mito.
L’Africa ha rappresentato il luogo dove l’attività mercenaria si
è maggiormente affermata, trovando nei molti e lunghi conflitti
che dagli anni Cinquanta ad oggi ne hanno infiammato la storia
un vero e proprio “terreno di coltura”.
La vicende dei mercenari in Africa subsahariana, hanno inoltre
largamente contribuito a dare una connotazione fortemente
negativa al fenomeno mercenario, soprattutto a causa della
crudeltà ed efferatezza di molti personaggi e ancor più del loro
aperto razzismo nei confronti delle popolazioni indigene.
Dall’ex Congo belga, passando per le isole Comore e Seychelles,
fino ai recenti e tristemente famosi episodi in Angola e Sierra
Leone, i mercenari sono stati spesso elementi decisivi nel
decidere le sorti di un conflitto.
Personaggi come Mike "Mad Max" Hoare, Christian Tavernier e Bob
Denard hanno cavalcato l’epopea della decolonizzazione e hanno
rappresentato quel continuum tra passato e presente che ancora
oggi fa parlare di mercenari.
Bob Denard, ad esempio, è considerato il “grande vecchio”
dell’attività mercenaria. Dal tentativo di appoggiare i ribelli
congolesi contro il presidente Mobutu, nel 1967, al fallimento
dei preparativi dell’ennesimo golpe alle isole Comore, l’ormai
ultrasettantenne militare francese ha segnato la storia di molti
conflitti, attività di guerriglia e colpi di Stato africani.
Il nome di Bob Denard è legato ha uno degli ultimi episodi di
intervento mercenario “vecchio stile”. Nel dicembre 2002 alcune
inchieste svolte presso i tribunali di Verona e di Torre
Annunziata portarono a smascherare e bloccare sul nascere un
tentativo di colpo di Stato per rovesciare il presidente delle
Comore, Azali Assoumani. Bob Denard venne accusato di aver
reclutato, organizzato ed armato una forza mercenaria (tra
l’altro formata da ex personale militare e dei Servizi di Italia
e Francia), in violazione della legge 205 del 1995, che vieta
l’attività mercenaria. Inoltre, il vecchio mercenario francese è
stato accusato di traffico internazionale di armi e di altri
reati ad esso connessi.
Lo stesso episodio, citato all’inizio, dell’aereo fermato in
Zimbabwe è emblematico per descrivere come attualmente si
manifesta l’attività mercenaria tout court, e di come essa
mantenga le proprie peculiari caratteristiche rispetto
all’evoluzione avvenuta negli ultimi decenni della
privatizzazione della sicurezza e della guerra.
Quanto accaduto rappresenta solo uno dei tanti episodi di
attività mercenaria che sfuggono al controllo delle autorità
statali e di quelle internazionali e che tutt’oggi trovano
spazio e ragion d’essere nelle numerose situazioni d’instabilità
politico-militare di molte regioni del globo.
L’attività di questi “soldati di ventura”, tuttavia, è quasi
sempre stata caratterizzata da una sostanziale anarchia, sia
nell’organizzazione della struttura utilizzata, sia dal punto di
vista relazionale.
Un mercato limitato e frammentato, e l’assoluta peculiarità
degli interventi richiesti facevano si che l’attività primaria
svolta dai soggetti operanti nel settore fosse limitata al
reclutamento del personale necessario, al suo addestramento ed
al suo utilizzo nelle operazioni di volta in volta richieste.
Da questo punto di vista, l’offerta privata di servizi militari
ha subito una radicale trasformazione: essa è passata da un
modello ben conosciuto a livello internazionale, che si potrebbe
definire tradizionale, rappresentato dalla figura del soldato
mercenario, al più moderno esempio delle società militari
private, i cui leader non sono più i temerari ed affascinanti
“capitani di ventura” che hanno proliferato durante gli anni
Sessanta e Settanta (anche se alcuni di questi personaggi
calcano ancora la scena internazionale), ma vestono i panni di
veri e propri businessmen, attori di un mercato, quello della
sicurezza, sempre più globalizzato ed integrato.
Le
Private Military Companies
Tale evoluzione ed il coinvolgimento massiccio di alcune PMC in
alcuni conflitti degli ultimi anni, hanno fatto emergere
l’esigenza, di approfondire la conoscenza del settore in
questione e, soprattutto, di definire i soggetti che lo
compongono. In particolar modo, da parte di alcuni governi
occidentali (e specificamente l’iniziativa del governo
britannico, del febbraio 2002, un Green Paper dal titolo “PMC:
Option for Regulations”), si è avvertito il bisogno di procedere
ad una classificazione delle varie tipologie di soggetti ed
attori coinvolti.
Oggi si tende ad inserire gli attori operanti nel settore
privato dei servizi militari in un unico grande contenitore
definito dal termine Compagnie Private di Sicurezza e Militari
(Private Security and Military Companies, PMC).
In teoria vi sono diversi modi di classificare l’attività
mercenaria e, più in generale, la privatizzazione della
sicurezza. Alcuni di questi prendono in considerazione la natura
dei soggetti operanti, altri le funzioni da essi svolte, altri
ancora il settore in cui essi operano, altri, infine, i fruitori
finali dei servizi. La maggior parte degli esperti del settore
ha cercato di effettuare una combinazione dei criteri sopra
esposti. Il più comune è quello che individua tre categorie
fondamentali:
1. i mercenari tout court, ossia individui che combattono per
puro profitto economico, assoldati da governi legittimi ma, più
spesso, da movimenti ribelli armati (Rientrano tra questi non
solo i tradizionali gruppi mercenari guidati da leader come
Christian Tavernier, Mike Hoare, ed il francese Bob Denard, ma
anche la “Legione Bianca”, formata da combattenti serbi e
assoldata dal dittatore zairese Mobutu nel 1996-97 per
combattere i ribelli di Laurent Kabila);
2. le Private Security Companies (PSC), società impegnate nella
fornitura di servizi di sicurezza al mondo pubblico e privato,
ma che non intervengono direttamente nei conflitti armati;
3. le Private Military Companies (PMC), caratterizzate da un
ampia gamma di attività, le più estreme delle quali comportano
il supporto alle operazioni militari sul campo o, addirittura,
l’intervento diretto.
Questa suddivisione, comprende anche la fattispecie dei
mercenari, lasciando intendere che le altre due categorie non
comprendano al loro interno individui o gruppi mercenari. Alcune
realtà maggiormente vicine al mondo delle PMC, invece,
propongono una classificazione che, escludendo a priori la
categoria mercenaria, divide il settore della sicurezza privata
in tre soggetti a seconda del grado di utilizzo della forza
armata nell’ambito delle loro attività. E’ il caso del
International Peace Operations Association (IPOA), un istituto
statunitense che opera da vero e proprio Think Tank del settore
dei servizi militari. Nel suo commento ufficiale al Green Paper
britannico, l’IPOA proponeva la seguente distinzione:
Military Service Providers (MSPs)
NSPsNonlethal Service Providers PSCsPrivate Security Companies
PMCs Private Military Companies
Mine ClearanceLogistics & SupplyRisk consulting Industrial Site
ProtectionHumanitarian Aid ProtectionEmbassy Protection Military
TrainingMilitary IntelligenceOffensive Combat
PA&EBrown & RootICI of Oregon ArmorGroupWackenhutGurkha Security
Guards Executive Outcomes (Active)Sandline International (Active)MPRI
(Passive)
Lo stesso Green Paper britannico individua 5 categorie: i
mercenari, i volontari, il personale straniero incorporato nelle
forze armate regolari, le società che si occupano della
sicurezza delle imprese industriali, ed infine, le PMC vere e
proprie.
Va evidenziato, che queste ed altre classificazioni, pur
garantendo un discreto grado di chiarezza, presentano
consistenti limiti. Infatti, una ripartizione rigida dei vari
soggetti implicati nelle attività mercenarie, come la maggior
parte di quelle proposte, rischia di imbrigliarne la
descrizione. Ciò va a tutto svantaggio della comprensione di un
settore caratterizzato da un altissimo livello di duttilità e
flessibilità ed i cui contorni tendono a sfumare in realtà che
trascendono l’ambito puramente militare e quello della sicurezza
tout court. Questa complessità contribuisce a generare numerose
perplessità in merito alla natura del fenomeno stesso. Per
citarne solo alcune:
quali sono i confini tra una PSC ed una PMC, ossia, quando si
può parlare di partecipazione attiva in un conflitto armato e
quando, invece, di semplice assistenza logistica alle forze in
campo?;
è possibile che una società nata come fornitrice di servizi di
sicurezza, quali la protezione di impianti industriali, soddisfi
nel tempo richieste più specificatamente connesse con attività
militari?;
ed oltre, che caratteristiche devono possedere le PMC ed i loro
dipendenti per non essere considerati dei meri mercenari?
Vista la difficoltà di fornire una risposta esauriente a tali
interrogativi, appare preferibile accedere ad una visione più
fluida del fenomeno, che consenta di delineare, non tanto delle
caratteristiche specifiche, ma un terreno di coltura entro il
quale il mondo della sicurezza privata si può sviluppare,
soprattutto in considerazione del fatto che i soggetti e le
realtà con le quali le PMC vengono in contatto non sempre
rientrano nelle varie classificazioni citate e, soprattutto, che
molti dei personaggi che in passato svolgevano attività di tipo
mercenario, formano la struttura portante dei consigli
d’amministrazione delle varie PMC.
Per quanto riguarda le attività più direttamente connesse con
l’uso della forza, uno spazio particolare merita la distinzione
riguardante i fruitori dei servizi delle PMC. Spesso, per
distinguere le attività di una PMC da quelle di natura
espressamente mercenaria, si è soliti puntare l’attenzione sul
cliente finale. Per molti esperti del settore, una PMC
rivolgerebbe i propri servizi solo a governi legittimi,
organizzazioni internazionali quali le Nazioni Unite, movimenti
di liberazione internazionalmente riconosciuti ed appoggiati.
Questo genere di approccio dovrebbe poter evitare, con ogni
probabilità, situazioni, già accadute in passato, in cui società
private siano state implicate in tentativi di colpi di Stato, o
in contravvenzioni a disposizioni internazionali, quali gli
embarghi sulla fornitura di armi o altri materiali, oppure,
infine, nella violazione dei diritti umani. Gli esempi più noti
sono quelli delle PMC Sandline ed Executive Outcomes, le cui
attività sono legate principalmente ai conflitti in Sierra Leone
ed Angola. I loro interventi hanno sollevato numerose critiche a
livello internazionale e sono stati oggetto di studio e di
indagine da parte sia delle Nazioni Unite, sia degli organismi
preposti alla tutela dei diritti umani ed al rispetto del
diritto internazionale, in generale.
Tuttavia, anche questo tipo di classificazione potrebbe
risultare del tutto priva d’effetto qualora una PMC accettasse
nel proprio statuto di rispettare tali principi per poi agire in
violazione degli stessi attraverso altre società ad essa
collegate (com’è accaduto in più di un’occasione in Sierra
Leone, Angola e Repubblica Democratica del Congo ed in altri
Paesi). La presenza di Simon Mann (fondatore della britannica
Sandline) tra gli organizzatori del fallito golpe in Guinea
Equatoriale conferma questa tendenza ed accresce timori e
perplessità.
Anche in questo caso, quindi, appare più opportuno guardare
all’ambiente in cui nascono, crescono e si riproducono tali
soggetti, e alle attività che le vedono impegnate.
Le moderne PMC sono realtà strutturate ed articolate, la maggior
parte delle quali assume le sembianze di ordinarie società di
servizi, con i propri manager, i propri consulenti ed il proprio
personale dipendente.
Le loro competenze coprono un’ampia gamma di esigenze. Esse
vanno da quelle più direttamente legate al settore della
sicurezza, a quelle espressamente concepite per supportare
azioni militari sul campo.
Riassumendo, i servizi offerti dalle PMC riguardano
principalmente:
Consulenza (pianificazione operativa e ristrutturazione degli
organici delle Forze Armate);
Addestramento militare (rivolto agli addetti alla sicurezza,
alle truppe regolari, e in alcuni casi, ai corpi militari d’élite);
Supporto logistico (ad esempio nel caso di servizi di natura non
esclusivamente militare o operativa, ai quali sempre più spesso
ricorrono i comandi militari, i governi, le Organizzazioni
Internazionali e non Governative).
Inoltre, esse possono riguardare attività di tipo
prevalentemente bellico (rifornimento di armi, attività di
Intelligence, attività di Polizia militare, trasporto di
personale militare e materiale bellico, sostegno diretto alle
operazioni militari.)
Non vanno dimenticate, infine, le attività tipiche di situazioni
post-belliche (il monitoraggio post-conflitto ed elettorale; lo
sminamento; la bonifica NBC, etc...). Fino ad oggi, le uniche
PMC direttamente coinvolte in operazioni militari sul campo sono
state le britanniche Sandline e Gurkha Security Group, e la
sudafricana Executive Outcomes. Tuttavia, un numero non
quantificabile di PMC ha svolto attività strettamente connesse
con l’uso della forza armata in contesti di guerre civili e di
conflitti internazionali.
La fine della Guerra Fredda e la riduzione degli organici degli
eserciti nazionali hanno messo a disposizione del mercato della
sicurezza privata un numero consistente di professionisti nel
settore militare. Ciò ha contribuito ad innalzare notevolmente
la qualità dei servizi proposti; il personale oggi alle
dipendenze della maggior parte delle PMC è dotato di un alto
livello di professionalità, di una grande esperienza sul campo,
nonché delle conoscenze necessarie per poter utilizzare le
tecnologie e le apparecchiature più sofisticate. Grazie
all’enorme potenziale che possono dispiegare in termini di
strutture, competenze e know-how, le PMC stanno soppiantando,
poco a poco, la responsabilità primaria dello Stato nel
provvedere sia alla sicurezza in generale, sia a determinati
servizi riguardanti la protezione delle attività commerciali
all’estero ed altre forme di interessi nazionali, di natura
economica e non.
Il business internazionale della privatizzazione della sicurezza
L’aumento della domanda di sicurezza a livello internazionale
costituisce un’opportunità economica a cui le PMC difficilmente
possono rinunciare.
Si è così assistito all’interazione di queste realtà con sempre
nuovi soggetti. Non sono più gli Stati istituzionalmente deboli
ad essere i principali clienti delle PMC, ma anche i governi dei
Paesi occidentali, le Istituzioni Internazionali, il mondo della
cooperazione non governativa e delle organizzazioni umanitarie.
Le PMC, inoltre, operando su scala globale grazie ad un mercato
in continua espansione, entrano spesso in contatto con
multinazionali attive nel settore petrolifero e minerario e che,
a causa delle situazioni di instabilità politico-militare in cui
solitamente operano, necessitano di strumenti di sicurezza a
protezione dell’incolumità dei propri dipendenti e a garanzia e
tutela degli impianti.
Ma non solo: la privatizzazione della sicurezza si è dimostrata
anche un ottimo investimento dal punto di vista finanziario.
Negli ultimi anni, infatti, l’attività internazionale delle PMC
è stata principalmente rivolta alla creazione di veri e propri
network economici internazionali, con stretti collegamenti con
vari settori del mondo dell’economia, soprattutto della
Information Tecnology, e dell’alta finanza. (Molte sono,
infatti, le PMC affiliate a società quotate in borsa). Negli
Stati Uniti, ad esempio, si sta assistendo ad una rapida
espansione di tale fenomeno, con l’acquisizione di PMC da parte
di grandi aziende del settore IT. Quasi sempre, queste
operazioni riguardano società con stabili rapporti con
l’amministrazione statunitense, caratterizzati dalla fornitura
di servizi e consulenze in svariati settori, quali quello
informatico, dell’Intelligence economica e militare, quello
aerospaziale e, con un sensibile incremento dall’11 settembre ad
oggi, della sicurezza militare. Proprio la minaccia del
terrorismo internazionale e la difficoltà dei vari sistemi
statali (Stati Uniti in primis) a rispondere alle sfide da esso
provenienti in ambito di sicurezza civile e militare, hanno
contribuito ad imprimere una spinta robusta alla crescita di
quello che sempre più esperti chiamano il settore delle
multinazionali della sicurezza.
Un esempio su tutti è quello rappresentato dalla società Dyncorp.
La Dyncorp è una delle più vecchie PMC statunitensi (negli Stati
Uniti si preferisce usare il termine più generico di contractors):
con più di 23.000 dipendenti e tecnici dislocati in 550 sedi e
uffici nel mondo, la DynCorp è un colosso finanziario che solo
nel 2002 ha fatturato 1.359 milioni di dollari.
Buona parte dei suoi contratti riguardano forniture di servizi e
know how al governo degli Stati Uniti e alle varie agenzie
nazionali (Cia, Fbi, Dia) nonché alle Forze Armate. Ha un giro
di affari di 2.3 miliardi di dollari, cifra che ha attirato gli
appetiti di molte grandi corporations internazionali. Nel
febbraio 2003, infatti, la Dyncorp è stata acquisita dalla
Computer Sciences Corporation, Csc, una delle compagnie leader
mondiali dei servizi IT.
I
Military and Security Contractors
Gli Stati Uniti sono il principale esempio di come la
responsabilità di provvedere alla tutela di persone, capitali e
infrastrutture, in patria come all’estero, stia rapidamente
passando nelle mani del settore privato. Ad un numero sempre
maggiore di società, infatti, vengono affidati compiti di
primaria importanza nella gestione della sicurezza, non solo da
parte di grandi aziende e multinazionali, ma anche a livello
governativo ed istituzionale in generale.
Anche le Forze Armate statunitensi fanno sempre più affidamento
ai servizi di PMC e Private Military and Security Contractors (MSC).
Dal 1994 al 2002, il Dipartimento della Difesa statunitense ha
stipulato più di 3.000 contratti con società militari private
statunitensi. Presenti in oltre 50paesi, producono un fatturato
globale di circa 100 miliardi di dollari l'anno. Veri e propri
giganti dell’economia, come la Halliburton attraverso la sua
affiliata Kellogg Brown & Root, forniscono il supporto logistico
a quasi tutte le missioni militari statunitensi. Altre società
hanno assunto la responsabilità di gran parte delle attività di
reclutamento e addestramento delle Forze Armate USA, inclusi i
programmi di addestramento dei corpi della Riserva.
Durante la recente guerra in Iraq, ad esempio, il rapporto tra i
dipendenti di società appaltatrici private e personale militare
impiegati nel Golfo è stato, approssimativamente, di 1 a 10 (da
5 a 10 volte il rapporto esistente durante la guerra del 1991).
In pratica, i combattenti privati sono il contingente più
numeroso in Iraq dopo quello statunitense. Sono circa 15.000 e
guadagnano in media 1.000 dollari al giorno. Provvedono ai
compiti più delicati, come nel caso della scorta di Paul Bremer,
il governatore americano.
Hanno organizzato e gestito i war-games ed i campi
d'addestramento prima dell'invasione, mentre durante il
conflitto i dipendenti di numerosi MSC si sono occupati sia
della logistica che del supporto tecnologico necessari alle
forze della coalizione anti-Saddam. Tra i vari compiti, ad
esempio: la revisione e la manutenzione di armi ed
equipaggiamenti, compresi quelli più sofisticati, come i B-2
Stealth, i cacciabombardieri F-117 Night Hawk e gli aerei da
ricognizione U-2. Inoltre personale privato ha contribuito alla
gestione delle missioni in cui sono stati impiegati i velivoli
UAV (Unmanned Aerial Vehicle) Global Hawk .
Non va dimenticato, infine, il ruolo che queste società private
stanno giocando tuttora in Iraq, occupandosi della formazione e
dell'addestramento delle milizie, della polizia e delle Forze
Armate post-Saddam (ci si riferisce in primo luogo a gruppi
quali Dyncorp, Kroll, Vinnell e Blackwater/BSC).
I quattro “civili” trucidati a Fallujah facevano parte di un
gruppo di circa 400 “consulenti” dipendenti della BSC, società
statunitense con sede nella Carolina del Nord, in una tenuta che
è una vera e propria area militare, con poligoni di tiro per
ogni genere di armamenti. La stessa società, nel 2002, ha
stipulato un contratto con il Pentagono per 35 milioni di
dollari per addestrare i corpi scelti della marina statunitense.
Infine, i dipendenti di alcuni MSC stanno sostituendo il
personale militare statunitense nella formazione e
nell’addestramento delle Forze Armate di paesi stranieri, come
nel caso dei programmi ACRI e ACOTA, sviluppati dal Dipartimento
di Stato USA per migliorare le capacità militari degli Stati
africani, in particolare per quanto riguarda la creazione di
forze di reazione rapida e unità, a livello di battaglione, per
missioni di peacekeeping (attività che vedono impegnata la
società MPRI), oppure per garantire il controllo delle frontiere
in attività di lotta al terrorismo (come la Pan Sahel Initiative,
che vede attive in Niger e Ciad la società Pacific Architects &
Engineers, PA&E, di Los Angeles)
PMC
e Peacekeeping
L’espandersi del campo di azione delle PMC è arrivato
addirittura ad interessare anche un settore da sempre di
competenza esclusiva dello Stato e delle Istituzioni
Internazionali: quello del mantenimento della pace. Da questo
punto di vista sta sempre più emergendo la prospettiva di
sfruttare i servizi delle PMC in attività di peacekeeping, per
sopperire alle carenze manifestate in questo settore dalle
Istituzioni Internazionali e Regionali e, soprattutto, per
svincolare gli Stati dai relativi obblighi e dalle conseguenti
responsabilità.
Pertanto, in concomitanza con lo sviluppo della privatizzazione
della sicurezza, negli ultimi anni si è andata sempre più
diffondendo l’idea di utilizzare personale e strutture delle PMC
nelle missioni di peacekeeping. In particolare, le maggiori
società statunitensi ed internazionali, stanno conducendo
un’opera capillare di pressione politica ad alto livello,
sfociata nella creazione di una vera e propria lobby facente
capo all'Associazione per le Operazioni di Pace Internazionali
(la già citata International Peace Operations Association - IPOA).
L'IPOA è un’organizzazione che ha sede negli USA, sovvenzionata
dalle società militari private, il cui scopo dichiarato è quello
di aumentare il ruolo del settore privato nel campo del
mantenimento della pace. Secondo i sostenitori di tale
iniziativa, le PMC potrebbero costituire uno strumento
fondamentale per quanto riguarda il mantenimento della pace in
diversi ambiti.
A) Innazitutto, esse potrebbero realizzare operazioni di
supporto generico. Alcune PMC forniscono già i propri servizi
per quanto riguarda il trasporto, le comunicazioni, e la
logistica per le operazioni militari di molti Stati, primi tra
tutti gli USA. Anche nel Regno Unito si sta assistendo allo
stesso fenomeno, con 1.100 dipendenti della società Control
Risks Group che hanno preso parte alla recente guerra in Iraq a
fianco delle truppe regolari britanniche.
Queste funzioni, inoltre, sono quelle dove emergono maggiormente
le carenze delle strutture militari dei Paesi meno sviluppati.
Assegnando questi servizi a collaboratori esterni e creando una
standardizzazione dell’intero sistema di peacekeeping delle
Nazioni Unite, si potrebbe ottenere una sinergia tra l’azione
dei contingenti ufficiali e l’opera fornita dal settore privato.
Un primo passo in questa direzione è rappresentato dai stipulati
tra le stesse Nazioni Unite e le società PA&E e International
Charter Incorporated of Oregon per la fornitura di supporto
logistico e aereo alle forze di peacekeeping in Liberia e Sierra
Leone.
B) PMC e MSC potrebbero addirittura fornire una “Forza di
reazione rapida”. Unità “noleggiate” ad hoc potrebbero servire
da “Truppe d’élite” all’interno dei contingenti ONU in
operazioni di pace regolarmente autorizzate dal Consiglio di
Sicurezza. Di fronte a situazioni di grave instabilità
politico-militare, nelle quali i “Caschi Blu” non si dimostrino
all’altezza dei compiti e l’inattività degli Stati impedisca
l’invio di nuove forze, le PMC potrebbero fornire una struttura
flessibile e facilmente impiegabile. L'IPOA ha sostenuto diverse
proposte di questo tipo, ad esempio nel caso delle operazioni
dell’ONU in Burundi e nella Repubblica Democratica del Congo.
C) Affidando le operazioni di peacekeeping a strutture private.
L'opzione più controversa e foriera di polemiche è quella che
prevede di assegnare completamente lo svolgimento delle varie
operazioni alle PMC. Il caso a cui si fa più spesso riferimento
per giustificare tale visione è quello del genocidio ruandese
del 1994. Lo stesso Kofi Annan, allora a capo dell’Ufficio per
le Operazioni di Peacekeeping (PKO) delle Nazioni Unite, prese
in considerazione l’opportunità di assoldare truppe mercenarie
per fronteggiare la grave crisi militare ed umanitaria in atto
(nella fattispecie rappresentate dai dipendenti della
sudafricana Executive Outcomes, che secondo quanto riportato da
diverse fonti, avrebbe offerto una forza d’intervento pronta in
due settimane ad un costo di circa 30 milioni di dollari al
mese). Tuttavia, l’attuale Segretario Generale dell’ONU ammise
la necessità di rinunciare a tale ipotesi, ritenendo i tempi non
ancora maturi per tale scelta (e l’opinione pubblica
internazionale non pronta ad accoglierne favorevolmente impiego
e conseguenze).
E’ indubbio che l’affidamento di una missione di mantenimento
della pace a strutture appartenenti al settore privato
significherebbe trasformare radicalmente la natura e gli
strumenti dell’intero settore del peacekeeping. Ciò
comporterebbe una serie di variabili il cui impatto sulla realtà
interessata nonché sull’intero sistema delle relazioni
internazionali sarebbero difficili da calcolare a priori.
Tuttavia, è altrettanto vero che tragedie come quella ruandese
costituiscono delle ferite ancora aperte, tanto più che la
Regione dei Grandi Laghi è tuttora piagata da conflitti armati e
guerre civili, che gli interventi delle Nazioni Unite faticano a
risolvere e ad arginare.
Queste prospettive, mostrano che il tema della privatizzazione
delle funzioni militari abbia ormai raggiunto una diffusione
capillare a livello globale che giustifica tutta una serie di
approfondimenti e studi. Due aspetti in particolare, oltre a
quelli già affrontati, meritano un approfondimento ulteriore: le
connessioni di compagnie private della sicurezza con il mondo
dei traffici internazionali illeciti (in particolare quello
delle armi) e la regolamentazione dell’attività mercenaria e
della privatizzazione della sicurezza a livello internazionale.
Attività mercenaria, PMC e traffico internazionali illeciti
Il reperimento delle armi, e la loro diffusione è uno degli
aspetti salienti delle attività illecite alle quali possono
partecipare mercenari e società private militari.
La connessione fra mercenari e traffici illeciti è molto
stretta, così come ha più volte sottolineato il peruviano
Enrique Bernales Ballesteros, Incaricato Speciale del Segretario
Generale delle Nazioni Unite per indagare sull’utilizzo dei
mercenari nei vari conflitti armati. Secondo quanto riportato
nei suoi rapporti all’Assemblea Generale dell’ONU, sono molte e
varie le forme di associazione criminale che coinvolgono i
mercenari e le loro attività e principalmente il traffico
illecito di armi. Mercenari sono infatti spesso presenti nelle
operazioni di traffico illecito. Inoltre essi vengono ingaggiati
come piloti o ingegneri di volo per il trasporto di armi, come
intermediari nella vendita di armi o come istruttori nell’uso
delle armi e del materiale bellico venduti, e nell’addestramento
di truppe e gruppi paramilitari.
Le occasioni di contatto fra i trafficanti di armi e i mercenari
si sono accresciute negli ultimi anni, soprattutto in relazione
alla crescente tendenza di queste ultimi a svolgere un ruolo
cruciale negli esiti dei conflitti interni in Paesi come la
repubblica Democratica del Congo ed altre realtà africane e non.
L’importanza “strategica” di queste connessioni è tale che i
network della criminalità internazionale e i maggiori operatori
illeciti del settore degli armamenti hanno sviluppato, e tendono
ad approfondire, rapporti stabili ed organici con i soggetti
connessi all’attività mercenaria.
I punti di convergenza fra il commercio delle armi e il business
dei mercenari si sono, quindi, moltiplicati favorendo non
soltanto la contiguità fra i mercati leciti ed illeciti, ma
anche l’ingresso di soggetti economici ed imprenditoriali
operanti in settori apparentemente lontani sia da quello della
produzione e vendita degli armamenti, sia da quello militare e
della sicurezza. Questa sovrapposizione di interessi economici è
sfruttata e stimolata ampiamente dai grandi network criminali
internazionali, che attraverso i legami con i mercenari (ed
anche con alcune società militari private) ottengono una serie
di reti relazionali nei paesi di sbocco del traffico di armi,
comprendenti membri delle istituzioni politiche ed
amministrative e delle Forze Armate ed esponenti delle élites
economiche. Ciò è tanto più vero se si pensa che l’universo
mercenario annovera sempre più spesso ex membri dei servizi di
Informazione e Sicurezza, provenienti soprattutto dalle fila
dell’ex KGB, ma anche dal Mossad e da analoghe strutture di
Paesi occidentali.
Nel recente passato, un esempio evidente ed allarmante di come
operi questo sistema di alimentazione del traffico
internazionale di armi è stato offerto dai rapporti intercorsi
tra alcuni personaggi implicati nelle vicende dell’Angola. In
particolare, il traffico di armi in Angola si sarebbe svolto
sulla base di un connubio fra esponenti di spicco della
criminalità organizzata russa, ex membri dei servizi segreti e
di Intelligence, principalmente israeliani, e personaggi
politici occidentali. Il caso dell’Angola è stato svelato dalle
indagini effettuate dai giudici francesi, che hanno portato alla
scoperta di una serie di insospettate connessioni fra gli
ambienti politici francesi e soggetti della criminalità
internazionale coinvolti nei traffici di armi e diamanti. Lo
scandalo maggiore è quello noto come “Angolagate”, che ha
portato all’arresto del figlio dell’ex Presidente francese
François Mitterand.
Il caso dell’Angola ha mostrato la presenza di connessioni
sempre più strette fra il traffico di armi, il circuito delle
materie prime da offrire in contropartita
dell’approvvigionamento e l’attività mercenaria. Tali legami non
sono più basati, oggi, soltanto sul semplice incontro fra
domanda ed offerta e, quindi, sullo schema classico del mercato,
sia pure funzionante con modalità talvolta complesse e
sfuggenti. Attualmente, si può dire che si sia verificata una
sorta di sovrapposizione tra i mercati, leciti ed illeciti,
delle armi, delle materie prime e della sicurezza. Tale
sovrapposizione è visibile soprattutto con riferimento a molte
realtà interne di Paesi africani, ma non sarebbe limitato solo a
tale contesto. Tale commistione di interessi ha addirittura
favorito, in diversi casi, quelle cellule del terrorismo
internazionale che, soprattutto dopo l’11 settembre, hanno
dovuto diversificare le proprie fonti di accesso alle risorse e
ed all’approvvigionamento delle armi. Il mondo dell’Intelligence
di tutti i Paesi occidentali, sulle tracce di Bin Laden e dei
componenti di al Qaeda, è sempre più attenta al traffico
illecito di armi, la cui mappatura è ritenuta uno strumento
utile ad individuare i canali di rifornimento utilizzati, in
modo da ricostruirne, con un buon margine di approssimazione, le
reti terroristiche. Un esempio di quanto stretti siano tali
connessioni è dato dall’opera di personaggi come Viktor Bout,
Leonid Minim, Sanjivan Ruprah e Arkadji Gaydamak, tra i
principali esponenti del traffico internazionale di armi e dello
sfruttamento delle risorse minerarie, molto legati ad alcuni
gruppi del mondo della privatizzazione della sicurezza.
Un esempio su tutti di come alcuni di questi personaggi operino
è dato dalle dinamiche sviluppatesi nel conflitto nella
Repubblica democratica del Congo. Nelle regioni orientali di
questo vasto Paese il legame tra a) sfruttamento delle risorse
economiche a fini speculativi; b) traffico internazionale di
armi; c) permanere dell’instabilità militare; d) presenza di Pmc,
ha dato vita ad un sistema autoalimentante, in cui mercenari e
PMC giocano un ruolo primario. Le numerose prove emerse da studi
condotti dalle Nazioni Unite, da enti di ricerca governativi
locali e da organizzazioni internazionali indipendenti, fanno
emergere in maniera evidente l’esistenza di un vero e proprio
“mercato di guerra”. Si parla in questi casi di commercial war,
dove lo sfruttamento delle risorse economiche di un paese è solo
lo strumento attraverso il quale si costruiscono veri e propri
network, dotati in un elevato grado di complessità, in cui a
traffici leciti si sovrappongono attività illecite, quasi sempre
su scala internazionale, spesso in violazione di norme di
diritto internazionale, come gli embarghi sul commercio di
determinate risorse minerarie o, ancora peggio, sul traffico di
armamenti. Le attività organizzate per sfruttare le risorse
economiche del paese in conflitto sono solamente il primo
livello di una struttura più ampia e articolata. Esse servono
non solo a finanziare i belligeranti e ad arricchire i vari
operatori, bensì, a mantenere e sviluppare tutta una serie di
altre realtà che contribuiscono a mantenere attivo un network di
illegalità nel quale possono proliferare ed arricchirsi anche
soggetti legati al settore della privatizzazione della
sicurezza.
Mercenari, PMC e regolamentazione internazionale
Questi aspetti e la presenza massiccia di forze armate private
nella maggior parte dei conflitti militari scoppiati dall’inizio
degli anni Novanta ai giorni nostri, ha sollevato numerosi dubbi
per quanto riguarda le implicazioni politiche, economiche ed
umanitarie dell’utilizzo di truppe mercenarie in situazioni di
crisi politico-militare. In particolare, l’attenzione
internazionale si è incentrata sul ruolo, spesso cruciale,
svolto dai mercenari nell’influire sulle sorti di un Paese in
conflitto, e sui numerosi spillovers derivanti dalle loro
attività. Tali conseguenze riguarderebbero, in particolar modo,
la minaccia alla sovranità di uno Stato, lo sfruttamento delle
sue risorse economiche e naturali e la violazione dei diritti
umani, soprattutto nel caso, assai frequente, di un conflitto
interno.
L’evoluzione vissuta dalle PMC negli ultimi anni ed i continui
mutamenti nel contesto della sicurezza internazionale, hanno
reso necessario rivedere la disciplina normativa riguardante
l’attività mercenaria nelle sue varie forme e manifestazioni. La
regolamentazione delle PMC, delle loro attività e delle società
ad esse collegate suscita particolare interesse nella Comunità
Internazionale anche e soprattutto per la prospettiva ampiamente
discussa, come visto in precedenza, di un possibile utilizzo
delle PMC in azioni di prevenzione dei conflitti e mantenimento
della pace.
La trattazione dell’attività mercenaria nel diritto
internazionale ha origini antiche, soprattutto per le strette
connessioni con le materie del diritto dei conflitti armati e
del diritto umanitario. Essa però ha ricevuto un significativo
impulso solo durante il Ventesimo secolo ed, in particolare,
dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. Tuttavia, nonostante
i notevoli sforzi prodotti per individuare una definizione
universale dei mercenari e delimitarne gli ambiti di azione, la
loro posizione giuridica, sia a livello nazionale che
internazionale rimane tuttora ambigua. In particolar modo, essa
è ancora largamente ispirata allo stereotipo del mercenario
quale soldato professionista prestatore di attività militari in
territorio straniero.
Attualmente, a livello internazionale vi sono tre strumenti
principali atti a regolare l’attività mercenaria:
L’art. 47 del I Protocollo aggiuntivo delle Convenzioni di
Ginevra del 12 agosto 1977;
La Convenzione dell’Organizzazione per l’Unita Africana per
l’Eliminazione dell’Attività Mercenaria in Africa (CEMA), del
1977;
La Convenzione Internazionale delle Nazioni Unite contro il
Reclutamento, l’Utilizzo, il Finanziamento e l’Addestramento dei
Mercenari, del 1989.
In particolare, la Convenzione del 1989 è l’unico strumento
applicabile universalmente nei confronti delle attività
mercenarie e delle PMC. Essa è stata elaborata come riposta
all’espansione delle attività mercenarie ed all’evoluzione dei
soggetti ad essa connessi. Ha come principale obbiettivo quello
di richiamare il divieto, presente nella Carta delle Nazioni
Unite, all’utilizzo e la minaccia della forza contro l’integrità
politica e territoriale degli Stati. La sua maggiore utilità è
quella di fornire un punto di riferimento internazionalmente
accettato, per l’opera legislativa interna degli Stati che
l’hanno firmata. Tale documento è entrato in vigore solo il 20
ottobre 2001. Esso soffre di numerosi limiti, soprattutto per
quanto riguarda il problema della definizione di attività
mercenaria e non prende in considerazione la categoria delle PMC
e, tantomeno, può essere utilizzata nel regolare l’attività del
settore della sicurezza privata, così come esso si è evoluto.
Anche per quanto riguarda la legislazione interna dei singoli
Stati si riscontrano gravi lacune. Pochissimi Stati (in
particolare il Sudafrica) hanno prodotto documenti normativi ad
hoc ed innovativi, mentre nella maggior parte dei casi
continuano a permanere strumenti vetusti o addirittura normative
adattate successivamente alla materia in questione pur essendo
state concepite per ambiti diversi (esempio gli USA)
Per questi motivi è avvertita da molti la necessità, a livello
nazionale ed internazionale, di ridefinire giuridicamente
l’intero settore della privatizzazione della sicurezza, tenendo
in considerazione non solo le trasformazioni sin qui avvenute,
ma creando un alveo giuridico ed interpretativo più ampio e
duttile, in modo da poterne comprendere evoluzione e sviluppi
futuri.
In quest’ottica era stata intesa sia l’opera del Relatore
Speciale delle Nazioni Unite Ballesteros (si pensi al rapporto
del 2002 “The Use of Mercenaries as a Means of violating Human
Rights and impending the Exercise of the Right of People to
Self-determination”) e l’iniziativa del Green Paper del governo
britannico del febbraio 2002 (“PMC’s: Options for Regulation”).
Entrambi questi esempi, tuttavia, non sono stati ulteriormente
sviluppati non venendo trasformati né concrete iniziziative
politico-diplomatiche, né in opere di codificazione giuridica.
Conclusioni
Il settore della privatizzazione della sicurezza è un ambito
delle relazioni internazionali in continuo progresso e
trasformazione, che sarà senz’ombra di dubbio uno dei principali
argomenti di interessi negli anni a venire.
Appare importante studiare ed analizzare i vari aspetti che lo
caratterizzano (attività mercenaria, PMC e peacekeeping,
regolamentazione internazionale, etc…), riuscendo a distinguerne
le caratteristiche costanti e le linee evolutive. Da questo
punto di vista è opportuno affrontare l’intero settore con un
approccio globale, scevro da luoghi comuni o da preconcetti che
sicuramente non ne aiutano la comprensione e la definizione.
La comunità internazionale deve tener conto del mutamento
avvenuto nei modelli della sicurezza internazionale, soprattutto
alla luce della natura delle minacce che deve affrontare, la
maggior parte dei quali riguardano realtà interne agli Stati, e
del crescente problema del terrorismo internazionale e
riflettere questo nei meccanismi di risoluzione dei conflitti
che pone in essere.
Considerando PMC e MSC, quello che appare mancare è una loro
legittimazione formale, una regolarizzazione normativa delle
loro attività e il controllo della loro forza militare.
In particolare, la probabilità che attori privati diventino uno
strumento nella risoluzione dei conflitti, sembra oggi
un’opportunità remota, ma cresce la percezione che in futuro ne
venga previsto l’utilizzo, anche e soprattutto nel settore del
mantenimento della pace.
Infine, non va sottovalutata la costante sostituzione dei
“consulenti della sicurezza” ai militari regolari nella
preparazione, nella gestione e, talvolta, nello svolgimento
stesso dei conflitti. Quello dell’Iraq è un esempio da prendere
in considerazione con grande attenzione e senso critico,
soprattutto per le implicazioni future di tale fenomeno.
Equilibri.net - 8 aprile 2004
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