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Storie di questo mondo

Sulle tracce di Ida Fink

di Silvia Golfera

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“Nella vita di ogni giorno conservavamo ancora le abitudini e le usanze di un tempo – come spogliarci per andare a letto, consumare insieme i pasti a tavola – limitandoci ad aggiungere ad esse quelle nuove…Per fare l’esempio più semplice, si rinunciava ai saluti convenzionali…: come stai? Che mi dici di bello?...e ci servivamo invece di locuzioni del tipo: a T. c’è stata un’azione, in città è tranquillo? Oppure: nel campo di Reckmann hanno ammazzato due ragazzi. Dopodichè offrivamo agli ospiti tè fatto coi petali delle rose del giardino…”
Siamo nella Polonia occupata dai nazisti, in quel tempo che “gli ingenui erano soliti chiamare tempo di guerra”, ma che è qualcosa di più e di diverso: un progetto di distruzione e ricostruzione dell’umanità su basi del tutto nuove. Il progetto del trionfo di un popolo e di un’ideologia, ritenuti salvifici, su tutti gli altri, come mai si era cercato di realizzare nella storia, almeno in questi termini e con tale scientifica sistemacità. Producendo un evento così traumatico, la Shoà, che spezzerà per sempre il Tempo in un prima e un dopo. Fra un mondo che può ancora vantare una seppur relativa innocenza e uno che quella ha perduto irrimediabilmente.
Ingenui coloro che pensano la Shoà come un affare degli ebrei, affare oltretutto sepolto di cui si tiene in vita artificialmente una memoria abusata.
La Shoà ha spezzato la coscienza di tutti, rendendo ciascuno di noi l’oggetto ingombrante, e quindi eliminabile, di una nuova risistemazione mondiale, o l’artefice, più o meno consapevole, di tale operazione. Ruoli entrambi estremamente difficili e ingombranti e proprio la storia dell’Olocausto ci ha insegnato che a volte è del tutto casuale trovarsi a interpretare l’uno o l’altro ruolo e quanto sia stata esigua la schiera di coloro che a tale recita si sono sottratti. Tanto è che la foresta ad essi dedicata occupa solo un piccolo lembo di quel piccolissimo paese che si chiama Israele.
Shoà è un evento difficile da sistemare in una visione compiuta, cui poter dare il respiro vasto e conchiuso del romanzo. Ha cercato di farlo Primo Levi, ed in quel tentativo forse ha smarrito sé stesso. La maggiore approssimazione possibile all’orrore ci è fornito, oggi, dai diari di coloro che facevano parte dei sonderkommando, cioè di quei prigionieri addetti alla preparazione delle vittime e poi allo smaltimento dei cadaveri che ingombravano le camere a gas. Pezzi di carta strappati chissà da dove e sepolti dentro scatole di latta e vetro, trovati spesso nelle vicinanze dei forni crematori. Autentica forma di epica contemporanea, dove il respiro delle vittime sembra ancora alitare e lo stupore angoscioso, di fronte ad una morte inimmaginabile, diffondersi dalle pagine. Questi Diari, editi dalla Marsilio, sono a disposizione dei lettori nella Biblioteca Comunale di Lugo.
Ida Fink, scrittrice israeliana di lingua polacca, con il libro di racconti “Tracce”, scritto nel 1996, ma uscito in Italia solo nel 2003, ha scelto invece il frammento, l’accenno, l’incompiuto, per raccontare un evento cui ci si può accostare, ma non comprendere e possedere, senza esserne inghiottiti.
Tracce della Tragedia che lei rintraccia appunto nei piccoli mutamenti quotidiani, nelle abitudini che si trasformano, nel linguaggio che ha bisogno d’inventare parole nuove, nelle biografie che procedono attraverso percorsi inaspettati.
Dopo una retata, per esempio, la gente si interroga sulla destinazione di quei vecchi e di quei malati che non si capisce a cosa possano servire: “L’indomani filtrarono le prime notizie. Venivano dai ferrovieri polacchi, parlavano di un treno di vagoni merci imbiancati di calce spenta, e dissero il nome di una località: Belzec. Non l’avevamo mai sentita nominare. Faceva venire in mente una popolare canzone che cominciava con le parole: “Mia amata Belz,…”, ma risultò che si trattava di due posti diversi”.
Anche la vita della gente diventa cosa del tutto diversa, imprevista, anche se subito ci si adatta ad una sorte di orrore quotidiano. Perchè tutto deve pure essere ricondotto ad una qualche ‘normalità’, se si vuole garantire una almeno provvisoria sopravvivenza.
Così Sabina, donna sola che ha cresciuto la figlia nella casa dei genitori, in una piccola cittadina polacca, cui improvvisamente viene a mancare la vecchia madre: “Le sorelle di Vienna non vennero al funerale della madre. A quel tempo pulivano, sotto il controllo della Gestapo, i marciapiedi e le latrine della città dei teatri e dell’opera… Nelle lettere scrivevano:<<Scappa, vai in Palestina. Ci ritroveremo là>>…Quando scoppiò la guerra…entrarono i tedeschi e Sabine fu presa dal panico e da un terrore impotente. Lei e la figlia sopravvissero alla prima e alla seconda Aktion in un nascondiglio. Alla terza non sopravvissero”.
O Julia, “andatura leggera, belle gambe” che nella persecuzione perde entrambi i figli, poi il marito e una bambina sola che ha preso con sé: “David morì due mesi dopo l’entrata dei tedeschi, fucilato in un bosco dei paraggi. Julia andò nel bosco dopo la guerra…ritrovò il luogo dell’esecuzione…I contadini le avevano fatto notare l’eccezionale bellezza dell’erba in quel punto.
Qualche mese più tardi portarono via Tulek…rimasero due biglietti, che riuscì a far uscire dal lager di Janow. Nel primo chiedeva un maglione caldo, nel secondo del veleno”.
Unica sopravvissuta fra tutti coloro che ha amato, Julia imprime sul suo passato il sigillo del silenzio. Approda in Israele alla vigilia della Guerra dei sei giorni e allora, le minacce di ieri e quelle del presente si fondono in un unico insostenibile dramma: “Carriarmati sulla sabbia del Negev. Difficili giorni di attesa. Julia sgobbava sull’atlante, respirava pesantemente. –Il ghetto- diceva –il ghetto prima dell’Aktion. Salvate i bambini…
Voleva che sintonizzassero la radio sul Cairo e le traducessero i comunicati emessi in lingua ebraica.
-Come fai a sapere che sono balle- si arrabbiava. –Anche allora nessuno ci credeva…Guarda,- apriva l’atlante – da’ un’occhiata alla cartina. Siamo una goccia, un puntino.."
In un’intervista rilasciata presso l’Istituto polacco a Roma, nel novembre del 2002, Ida Fink spiega che le si rimprovera di scrivere sottovoce, come se schiudesse una finestra e guardasse con un occhio solo.
Ma è possibile accostarsi diversamente a quell’inesprimibile disastro che ha macchiato indelebilmente il secolo appena concluso, disvelando il vero volto delle ideologie: quello sanguinario, antiumano, che pur di ridurre l’esistenza ad un ordine ritenuto ‘sacro’ è capace di annullarla?

Ida Fink - Tracce - Giuntina

golferasi@yahoo.it

 
 
 
 

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