|
Assai
pericolosa in Italia si potrebbe rivelare l'idea avanzata a fine
aprile di scoraggiare i crimini violenti dotando un gran numero
di cittadini di armi di difesa personale. Purtroppo non ci
troviamo di fronte alla richiesta estemporanea di una persona
qualunque esasperata da una disavventura personale, ma ad una
proposta avanzata da uomini di governo!
Può sembrare una mossa lapalissiana per diminuire il senso di
insicurezza della popolazione spaventata dai crimini, consentire
a tutti di armarsi. Tuttavia occorre osservare in primo luogo
che il senso di insicurezza dipende da molti fattori e non
soltanto del tasso di criminalità. Più dei dati oggettivi sulla
criminalità, può generare forti emozioni nel pubblico il modo in
cui i crimini vengono riportati dai media.
Le stesse promesse fatte dei politici (da Rutelli a Berlusconi)
di garantire "città più sicure", suonando come una conferma
dell'esistenza di un elevato pericolo criminale, aumentano il
senso di insicurezza.
Anche il maggior grado di benessere della classe media produce
ansia per la possibile perdita dei beni posseduti.
Se agire sul sistema sociale con azioni che tendano a diminuire
per quanto possibile la probabilità dei reati è un dovere dei
governanti, perniciosa si può rivelare la doppia strategia che
da una parte rafforza il senso di insicurezza e dall'altra
conquista il favore del pubblico con l'emanazione di norme
repressive e violente nei riguardi della criminalità.
Ci inorridisce che uomini di governo si rapportino ai problemi
di pubblica sicurezza in termini sempre più emotivi anziché
razionali, per esempio con l'imbarbarimento del codice penale
minorile, con l'occhio ai sondaggi di opinione più che ai dati
relativi alla criminalità.
Dobbiamo opporci finché siamo in tempo allo scivolamento verso
una risposta sempre più ottusa e violenta della società italiana
nei riguardi del crimine, una società peraltro sempre meno
disposta ad approfondire e contrastare le cause reali della
devianza.
Già da una prima riflessione emergono con evidenza le cause
sociali che influiscono sul tasso reale di criminalità: i
delinquenti appartengono in gran parte alle fasce di popolazione
emarginata in una società sempre più competitiva e orientata al
"successo". Una condizione effettiva di emarginazione - ma anche
la percezione soggettiva di una sconfitta nella corsa al
successo - è la molla principale che spinge settori delle
giovani generazioni dei paesi ad economia liberista verso la
delinquenza.
Senza allargare troppo il discorso, per valutare l'impatto che
può avere una risposta emotiva e demagogica alla delinquenza e
la larga diffusione delle piccole armi da fuoco, possiamo
riflettere su alcuni dati che riguardano gli Stati Uniti
d'America.
Non tutti sanno che gli Stati Uniti avevano in pratica abolito
la pena di morte tra gli anni sessanta e settanta e che nei
decenni successivi la ripresa esponenziale delle esecuzioni
capitali è avvenuta di pari passo con l'elezione alle cariche
politiche, amministrative e giudiziarie di personaggi che in
campagna elettorale fomentavano il senso di insicurezza della
gente promettendo risposte sempre più dure al crimine, a
cominciare dalle esecuzioni capitali. L'elevato "rendimento
elettorale" della pena di morte indusse anche i democratici,
dopo la sconfitta dell'abolizionista Dukakis, a cominciare da
Clinton, a imitare i repubblicani rinunciando alla loro
consolidata opposizione al patibolo.
E' nota la grande diffusione delle armi personali negli Stati
Uniti, dalle pistole ai fucili mitragliatori da guerra: vi è
quasi un'arma personale per ogni cittadino, uomo o donna,
lattanti compresi. Si tratta di armi cariche che finiscono con
lo sparare, ferire od uccidere. In confronto con le centinaia di
omicidi che avvengono annualmente in Italia, vi
sono quindicimila omicidi l'anno negli USA (e negli anni scorsi
si è arrivati ad oltre ventiduemila). Si uccide con grande
leggerezza: giovanissimi sparano a sangue freddo per
impossessarsi di un'automobile, di un portafogli o di un po' di
droga. Coloro che entrano negli appartamenti per rubare sono
armati e non esitano a far fuoco non solo ad un minimo cenno di
resistenza degli occupanti ma anche in modo preventivo. Come non
vedere nel disprezzo per la vita umana mostrato dai piccoli
delinquenti il riflesso dei sentimenti di una popolazione
violenta e armata? Il ricco che spara e uccide "per legittima
difesa" se la passa senza nessuna conseguenza, ma molto spesso
spara per primo il poveraccio, il piccolo delinquente che sa di
rischiare comunque la vita.
Pur essendoci negli Stati Uniti un numero di reati contro la
proprietà non superiore al dato europeo, lì sono molto più
frequenti le rapine. Il tasso di omicidi è addirittura dieci
volte maggiore. Rispetto agli altri paesi occidentali, negli USA
le armi da fuoco sono molto più usate dai criminali. Ad esempio
negli Stati Uniti queste ultime vengono impiegate nel 41% delle
rapine e nel 68% degli omicidi, in Inghilterra le corrispondenti
percentuali sono del 5% e del 7%.
E' evidente che in Italia una maggiore diffusione delle armi da
fuoco farebbe fare un "salto di qualità" ai criminali comuni,
quelli che attualmente attentano soltanto ai beni del prossimo e
che non si sognerebbero di uccidere. Non ne guadagnerebbe la
nostra sicurezza e la nostra civiltà ma soltanto i fabbricanti e
i mercanti di armi. Quale
sarebbe il passo successivo? Forse adottare la pena di morte per
adulti e minorenni come avviene negli USA? Forse costruire nuove
prigioni per tenere 'dentro' un numero sempre più alto di
detenuti?
Negli Stati Uniti una diminuzione del (sempre elevatissimo)
tasso di criminalità si è potuto ottenere negli ultimi anni
costruendo velocemente enormi prigioni e incarcerando un'elevata
percentuale della popolazione (costituita soprattutto da neri ed
ispanici). A partire dai 380 mila detenuti degli anni settanta
si è superata nel 2000 la soglia dei due milioni di detenuti
(senza contare i minorenni imprigionati) che possiamo
confrontare con i 56 mila detenuti italiani. Se si aggiungono
coloro che sono fuori sulla parola o sotto sorveglianza
arriviamo a quasi sei milioni di cittadini in regime penale su
275 milioni di persone.
Il problema delle carceri americane è arrivato ad un punto
critico. Ogni detenuto costa in media 20 mila dollari l'anno. Le
prigioni costano troppo (molto più di quanto sarebbero costati
interventi nel sociale diretti alla prevenzione del crimine).
Alcuni stati spendono di più per incarcerare i giovani che per
la loro istruzione nei college. Il Washington Post si domanda
con grande preoccupazione che cosa succederà quando verranno
liberati gli attuali detenuti, esacerbati da condizioni di
detenzione durissime e formati alla scuola del crimine dai
peggiori compagni di prigionia.
Si sarebbe in tempo per prevenire una nuova crescita degli
omicidi con una limitazione del possesso delle armi da fuoco?
Alcuni saggi ma timidi tentativi di ridurre la circolazione
delle armi personali sono stati fatti recentemente specie sotto
l'amministrazione Clinton, tutti stroncati sul nascere dalla
lobby delle aziende armiere che non hanno avuto pudore nel
tratteggiare positivamente lo stereotipo storico del cittadino
americano armato. Simili iniziative non verranno ripetute
dall'amministrazione Bush.
Anche se qualcuno ci provasse si troverebbe davanti ad enormi
difficoltà: tanto è facile armare così è difficile disarmare.
Fonte:
Giuseppe Lodoli -
Comitato Paul Rougeau. |
|