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Dopo anni di attività culturale, si è radicata in me la convinzione che
a interessarsi di letteratura sia un numero piuttosto ristretto di
persone, destinato a rimanere tale. Chi promuove incontri letterari, se
non vuole passare per ingenuo, deve accettare l’idea di riuscire a
suscitare la curiosità soltanto di una esigua cerchia di iniziati, come
più o meno accade ai club di filatelici, numismatici, cultori
dell’uncinetto o del canto gregoriano. Pure, si continua, nella caparbia
volontà di garantire a se stessi e ad altri potenziali fruitori una
migliore qualità dell’offerta culturale, indispensabile in provincia
ancora più che in città. Inoltre, una primavera così umida e stentata
forse convincerà qualcuno in più a frequentare il ciclo d’incontri
letterari, Bastian Contrari, che per il terzo anno consecutivo viene
proposto da “Centomila” e dall’associazione “il bradipo”. Gli incontri
si terranno alla libreria Alfabeta di Lugo, in via Lumagni 25, nei
giorni di venerdì 21 e 28 maggio, e sabato 12 giugno, alle ore 18.00.
Quest’anno gli appuntamenti sono dedicati ad alcune Voci Resistenti
della letteratura italiana contemporanea:
1) innanzitutto a Manlio Cancogni, uno dei più interessanti scrittori
italiani della sua generazione (è nato nel 1916), col suo ultimo libro
Gli scervellati. La seconda guerra mondiale nei ricordi di uno di loro.
Purtroppo, data l’età, non potrà essere presente personalmente, ma
parlerà in sua vece il poeta Roberto Amato (vincitore del Premio
Viareggio 2003) e l’editore che ha fortemente voluto e reso possibile la
pubblicazione di questo libro, Alessandro Scansani delle edizioni
Diabasis di Reggio Emilia. E’ un vivace e mai retorico libro di memoria,
in cui l’autore narra autobiograficamente le vicende del secondo
conflitto mondiale, cui partecipò come ufficiale dell’esercito, con la
sofferta contraddizione di sentirsi disobbediente nella coscienza
nonché, in quelle circostanze, veemente antipatriota. Il titolo richiama
alla memoria, infatti, quei fuoriusciti francesi, nemici della
rivoluzione del 1789, che invocarono la sconfitta della loro patria in
guerra contro le monarchie assolute europee e furono perciò chiamati
écervelés (scervellati): similmente, il giovane Cancogni e molti suoi
amici, odiando il fascismo, si auguravano la sconfitta dell’Italia in
guerra. L’autore, comunque, non dimostra nessuna indulgenza nei
confronti del giovane che è stato, e scrive pagine severe e lucidamente
obiettive su quelle esperienze: «Ero un egoista. Senza ideali, senza
patria, senza religione; e senza nessuna traccia di quella che un laico
chiamerebbe la religione del servizio pubblico. Con poco cervello: ero
completamente abbandonato agli istinti e all’emozione» (p. 159). Con
estremo rigore, riconosce a se stesso la fedeltà ad unico ideale, valido
ieri come oggi nella sua lunga esistenza: «La sincerità davanti a se
stessi». Poco incline alla politica, anche se in quella temperie della
storia italiana era convinto antifascista, alla morte di Mussolini,
verso il quale aveva sempre provato decisa avversione, sente cadere la
tensione che lo aveva fino allora sorretto, con un senso di sollievo e
di liberazione, come da un incubo: «Su di me la notizia agì in maniera
anestetica. Ogni passione relativa a quell’uomo, il Duce, si spense
d’incanto. Si spensero antipatia, tensione, odio. Forse era stata solo
una passione epidermica, duratura come certe infezioni cutanee,
un’allergia, che non prende possesso dell’intero organismo. Forse era
stata così per tutti gli Italiani, a parte quelli, pochissimi,
avvelenati di politica e di ideologia, che vedono anche i minuti fatti
della vita quotidiana in quell’ottica. Per quello che mi riguardava io
ero guarito. Potevo pensare ad altro» (p. 260). In una bella recensione
(l’antipatico) Sergio Romano definisce «romanzo di formazione» questo
intenso racconto politico, e anche «romanzo di una generazione dove
entrano ed escono di scena, con le loro fobie e i loro tic, quasi tutti
i maggiori intellettuali di quegli anni (…). Ed è un libro di storia
contemporanea in cui gli eventi di quegli anni sono spesso descritti con
efficacia e acume. Tre libri, uno più bello dell’altro» («Corriere della
Sera» 18 agosto 2003).
2) Il secondo incontro vede la partecipazione di due nuovi scrittori
parmensi, Guido Cavalli (1974) e Lorenzo Lasagna (1971), che si firmano
con lo pseudonimo Errico Malò e sono autori di due romanzi pubblicati
dalla casa editrice faentina Mobydick, per la cura di Guido Leotta, che
sulla ricerca del nuovo ha impostato caparbiamente la sua ricerca
editoriale: Cielo di paese (2001) e Scaramuccia (2004). Questo secondo
volume, che porta come sottotitolo «Un racconto partigiano», tratta per
l’appunto di una vicenda di guerra civile, immersa però in una
particolare atmosfera metafisica e onirica, che conferisce alla
narrazione un’aura di particolare originalità. L’interesse del lettore è
inizialmente mosso dalla curiosità di vedere come una materia quale la
Resistenza può essere percepita da scrittori nati a distanza da quegli
eventi, con quale diversa sensibilità e motivazione viene trattata
rispetto agli autori coevi e partecipi di quell’esperienza. E in
effetti, il racconto cattura a sé l’attenzione in modo vischioso, senza
lasciare respiro, e ci si lascia condurre ipnoticamente nel viaggio che
i personaggi (un drappello di cinque partigiani che scortano un
inquietante prigioniero, forse un traditore, al Comando dove sono
attesi) conducono, interminabile e faticoso, irto di incognite e di
pericoli, giù da una montagna fino alla città. E’ una vera anabasi, dove
questi uomini, provati dalle fatiche e dall’inclemenza della natura,
paiono muoversi immersi in un limbo, in uno stato malsano di sospensione
temporale che mette a dura prova le loro forze e potrebbe perderli,
consegnarli ad un infausto destino. Il prigioniero è un essere
all’apparenza rassegnato, spezzato, malato, che assume a tratti la
sacralità di un simbolo, di un segno di quei tempi calamitosi e
disumani. Si chiedono,ad un certo punto, se sono loro a condurlo o è il
contrario, in un attraversamento in cui il sogno si mescola alla realtà,
in cui l’uomo sembra divenire, da vittima, una guida pietosa per i
votati al trapasso. La Natura svolge un ruolo fondamentale: il luogo
fisico, il martoriato territorio, gli agenti atmosferici e stagionali
sono espressione viva di continue prove in cui le persone vengono spinte
a riflettere sulle ragioni ultime delle loro azioni, in una
esasperazione dei sensi, sottoposti alle fatiche dell’impresa in cui
sono coinvolti. Le uniche pause della marcia aprono squarci inattesi di
vita civile, di un tempo precedente di serenità e normalità che sembra
preludere ad un futuro di pace.
3) Autore tra i più significativi dell’ultima generazione italiana,
Vitaliano Trevisan (1960), è anche sceneggiatore e attore protagonista
del film Primo amore di Matteo Garrone (che sarà proiettato la sera
stessa del 12 giugno al Parco delle Capuccine di Bagnacavallo). Come
scrittore esordisce nel 1997 con il romanzo Un mondo meraviglioso
(ristampato da Einaudi, nel 2003). Il personaggio ha la stessa età
anagrafica dell’autore, abita conflittualmente in una città del
nord-est, Vicenza, fin troppo produttiva per lui che trascorre il suo
tempo vagabondando, con un libro in tasca, una penna e un taccuino su
cui annotare ogni cosa che per qualche motivo viene a colpire la sua
attenzione: ad esempio, una frase raccolta per caso per strada,
pronunciata da un passante in una conversazione privata, gli impone di
seguire quell’uomo per saperne di più, per carpirgli lo spunto per una
storia. Perché il nostro uomo è uno scrittore in attesa di
pubblicazione, che prende molto sul serio la sua vocazione, almeno
quanto l’atto di respirare. Nella sua testa imbastisce situazioni, ne
intuisce gli sviluppi, ogni frammento di vissuto annotato e registrato
nel taccuino è preservato dalla dispersione del mondo e tenuto in serbo
per un’occasione futura, uno sviluppo ulteriore. Lui guarda quel mondo
(che gli pare sempre più ostile, pericoloso, corrotto e corrompente) ed
esso lo ricambia scrutandolo con sospetto: la vita non è altro, in
definitiva, che una guerra di sguardi. Pur immerso nel flusso dei suoi
pensieri, di regola è vigile e si accorge se qualcuno lo fa oggetto di
ingiustificate attenzioni; in questo caso, cerca una via di fuga, un
esorcismo contro occhi invasivi. Ha imparato a stare in guardia, a non
abbassare le difese. Quando accade, per momentanea imprudenza, ha sempre
da pentirsene. Con sensibilità da rabdomante, incrocia sul suo cammino
personaggi subdoli e poco rassicuranti, nei quali sa individuare con
allenata sicurezza ciò che altri sembrano non notare: la nota stonata,
il particolare fuori posto, una deformità in agguato. Di una seducente
ragazza la cui patetica vicenda riesce a muovergli commozione e
solidarietà, perduto nei suoi ingannevoli occhi neri profondissimi, si
salva appena in tempo quando nota un difetto nelle dita, nei
polpastrelli più corti del normale, a tamburo. Di un pescatore in
prossimità dell’inquinato fiume cittadino lo colpisce con disagio
l’innaturale assenza di peli, l’essere del tutto glabro ma con le
sopracciglia disegnate a matita; di un individuo incrociato in ospedale
lo imbarazza il volto asimmetrico, monocolo, sicuramente in attesa di
sottoporsi ad un intervento chirurgico maxillo-facciale; di un
mendicante mutilato che offre santini in cambio dell’elemosina, lo turba
l’inaspettata energia delle braccia, allenate a manovrare una
carrozzella per muoversi nelle strade. E’ vittima di un complotto ordito
ai suoi danni da un mondo che lo percepisce come estraneo, oppure ciò
che vede, o esperisce, è solamente un inganno dei sensi, frutto di
un’immaginazione sovraeccitata? La sua solitudine è cominciata dalla
perdita di quella felicità che ha conosciuto soltanto in un tempo
lontano, in un momento dell’infanzia in cui ancora non sentiva suo padre
come un estraneo. Il suo ricordo del passato è ormai deturpato,
avvelenato, e questa sensazione si riverbera nel presente, inquinandolo.
Rimane un’unica certezza: deve scrivere tutto ciò che gli accade, e
anche ciò che gli accade di pensare, per testimoniarlo, almeno, a se
stesso.
Questa sintesi dovrebbe far capire il tono dell’opera di Trevisan, di
cui Einaudi ha pubblicato anche un secondo romanzo, I quindicimila passi
(2002) e una raccolta di racconti, Shorts (2004).
Marco Sangiorgi |
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