La
sera del 24 Luglio 1907 Vitaliano Brancati nacque a
Pachino; il destino mostrò di aver ben compreso lo
spirito dell’artista scegliendo un luogo che certamente
contribuì a sviluppare l’ispirazione dell’opera sua.
Vincenzo Epifanio, nella voce dell’Enciclopedia Treccani,
così descrive Pachino: “..domina da una prominenza –65
metri sul livello del mare- la regione ondulata con cui
termina la parte sudorientale della Sicilia e prende il
nome da quello stesso capo che ora più comunemente si
chiama Passero”. Gli abitanti erano nel 1931 19.784; lo
stesso numero che ritroviamo nell’edizione 1968 della
Guida d’Italia edita dal Touring, dopo la morte di
Brancati dunque. E lo stesso numero, all’incirca, che
abitava il Comune nel momento in cui lo scrittore vedeva
la luce. Nulla sembra mutare in quel natio borgo
selvaggio (si veda la prefazione all’opera del Leopardi
pubblicata nel 1941 presso Bompiani) e l’immobilità di
uomini o cose sono una caratteristica della poetica
brancatiana.
Una città vasta e chiusa ad un tempo; fondata dal
feudatario Gaetano Starabba Alagona nel 1758 nei propri
personali possedimenti, ricca di vino e di commerci, con
una grande Piazza quadrata, un castello e un alto faro
in fronte.
Brancati trascorre una prima giovinezza isolata e
serena; scriverà nel 1934 (la novella è Il nonno):
“..quando si vive in un modo simile non si ha bisogno,
per riempire la propria vita, né di poesia, né di
ricchezza e nemmeno - ho un po’ di esitazione a dirlo -
di religione”.
Nel 1920 Brancati si trasferisce a Catania, al seguito
del padre, Rosario, un funzionario della regia
prefettura che aveva ottenuto la posizione desiderata in
città. Frequentando il Ginnasio Spedalieri finalmente si
scuote; l’incontro con il geniale professore di latino e
greco, Francesco Guglielmino, provoca la svolta: i due
rimarranno amici per tutta la vita.
Il dottor Rosario Brancati era uomo di lettere e
collaborava con pseudonimo (Il Ghirlandaio) al
quotidiano catanese Giornale dell’Isola: e l’esordio
dello scrittore avviene su quelle colonne, il 9 Luglio
1922. Si trattava fra l’altro di due sonetti
(Acquarelli); il giovane li invierà al Vate per
antonomasia, Gabriele D’annunzio insieme ad altri
scritti ancor oggi conservati al Vittoriale e scampati
così al ripudio dell’età matura. Meno male.
Brancati è precoce; collabora a vari periodici e nel
1924, a 17 anni, fonda la rivista Ebe di cui usciranno
peraltro solo tre fascicoli, ovviamente assai rari. I
tempi sono ormai maturi per il primo volume, dopo tanto
purgatorio di articoli e poesie; fra il 1924 e il 1926
lavora alacremente al suo poema drammatico, opera
intrisa di nazionalismo dannunziano e di entusiasmo per
il Duce (si era iscritto al PNF fin dal 1924 e, come lui
stesso scrisse, autocriticandosi, era fascista fino alla
radice dei capelli).
“Fedor” esce nel 1928 per i tipi di Studio Editoriale
Moderno, stampato in Catania dal tipografo Di Benedetto
all’epoca ubicato in Via Madonna delle Grazie 10. E’ una
brossura piuttosto elegante, attenta al gusto
dell’epoca, di mm. 192x129. La copertina porta al verso
il prezzo (L. 10) e il logo dell’editore; al recto una
graziosa xilografia firmata “Luci” di mm. 100x110. Sono
208 pagine, compresi occhietto e fronte. La dedica
editoriale, quasi una affettuosa prefazione, è per
Giuseppe Antonio Borgese; si tratta dell’ennesima
dimostrazione del carattere contraddittorio del Brancati
ove si tenga conto che il destinatario non solo si era
ben guardato dal sollecitarla, ma di li a poco nel 1931,
si sarebbe stabilito negli USA per sottrarsi alla
dittatura italiana.
L’opera prima di Brancati è assai difficile a reperirsi,
per la bassa tiratura e a causa del rifiuto di tutti i
primi testi giovanili da parte dello scrittore, divenuto
antifascista.
Per le stesse ragioni è una rarità bibliografica
Everest, il secondo testo, pubblicato nuovamente presso
Studio Editoriale Moderno, nel 1931. Cambia lo
stampatore (che è l’Officina Grafica Moderna Impegnoso &
Pulvirenti) e cambia anche il formato (mm. 225x165). La
copertina in cartoncino leggero della brossura è
reperibile in almeno due colorazioni sempre sfumate; il
sottotitolo è “mito in un atto”. La xilografia di
copertina (mm. 65x90) non è firmata; è ripetuta al
fronte. Al recto della quarta carta vi è una miniatura
xilografica con paesaggio; le altre sono a pagina 17,
25, 33, 41, 49, 62 (nel testo), 65, 73. A pagina 81, con
piccolo logo, compare l’indicazione che attribuisce i
legni a Beppe Assenza; sono 84 pagine complessive.
L’opera presenta una prefazione di Telesio Interlandi,
il giornalista che legherà il suo nome a periodici
esplicitamente razzisti. E in un tal preambolo si legge:
“..Everest è il primo felice tentativo di rendere
drammaticamente il senso eroico dell’azione mussoliniana….è
un mito orgoglioso, che soltanto un giovane di questa
nostra età satura di certezza poteva scrivere”. Il pezzo
teatrale era stato rappresentato, prima della stampa,
dalla Compagnia del Teatro dei Giovani al Margherita di
Roma il 5 Giugno 1930; e la compagnia era diretta dal
figlio di Pirandello, Stefano, con il cognome d’arte
Landi. Il successo dell’opera encomiastica apre al
Brancati nuove porte e nuove collaborazioni; nel 1932
escono ben tre libri, due dei quali rivestono, per
ragioni diverse, notevole importanza.
Presso la Casa Editrice Ceschina usci nel maggio del
1932 il primo romanzo di Vitaliano Brancati, L’amico del
vincitore; per quanto rifiutato si trattò pur sempre del
primo tentativo di un genere che poi darà la fama allo
scrittore siciliano. L’opera è dedicata editorialmente a
Telesio Interlandi, con il quale Brancati continuava la
collaborazione nei periodici; la stampa fu affidata allo
stabilimento tipografico “Littorio”. Si tratta di un
volume di 536 pagine che misura mm 186x125. Meno raro
dei due precedenti (anche per la maggior tiratura) è pur
tuttavia difficile a reperirsi in quanto ritirato e
disconosciuto,senza nuove pubblicazioni e senza richiami
da parte dell’autore. L’azione si svolge fra Modica e
Catania, modificate quasi scherzosamente in Moduca e
Cantana; vi compaiono gli amici isolani dello scrittore,
stravolti nel gioco della memoria, e in alcune pagine
(per quanto si tratti di opera prolissa) si forgia
l’arte del Brancati maturo. Nel dodicesimo capitolo,
solo per fare un esempio, vi è un bozzetto delizioso:
“al crepuscolo, nella terrazza dei Dellini, cominciava
il rumore di sedie smosse, di parlare a bassa voce e
rado; come in chiesa, durante la messa. Poi, a sera,
venivano anche i vecchi; veniva la signora Corda con
Giovanni e la conversazione si animava”.
L’altra importante pubblicazione è di nuovo un’opera
teatrale; non si tratta di un volume del tutto autonomo
ma di un numero monografico de “Il
Convegno”, anno XIII,
n.5-6 del 25 giugno 1932. Il dramma è in tre atti,
contrassegnato da un titolo quanto meno curioso: Il
viaggiatore dello sleeping n. 7 era forse Dio?. La
rivista è in 8° con numerazione che corre da pagina 197
a pag. 276. Brancati non considerò, nelle sue inquiete
rielaborazioni, il pezzo come fascista ed in effetti
esso si distanzia non poco dalla precedente produzione e
dal quasi contemporaneo Piave. I tre atti costituiscono
certamente il punto di svolta nella prosa di Brancati.
Piave è caratterizzato invece dai difetti delle prime
due opere teatrali senza neppure averne i pregi di
dannunziana ingenuità: fu rappresentato (dopo la
vittoria nel concorso dedicato alla memoria di Fausto
Maria Martini) al teatro Valle di Roma con gli attori
della compagnia Ricci-Bagni e con la prestigiosa regia
di AntonGiulio Bragaglia. Nonostante la notorietà della
compagnia e del regista l’esito della rappresentazione
fu infelice; né ebbe miglior sorte commerciale la stampa
dell’opera affidata alla Casa editrice Mondadori. Il
testo, come ricorda la scheda editoriale, era contenuto
in un volume di cm 19x13, in 16°, pag. 168, al prezzo di
L. 5 nella “Collezione teatrale Mondadori”. Fu stampato
a Verona il 5 novembre 1932; per volere dell’autore non
ci sono state da allora più ristampe. Il titolo
originario dell’opera era Caporetto, ma fu modificato in
Piave per diretto ordine di Mussolini. E’ interessante
invece rilevare dalla scheda editoriale, l’annuncio di
un volume in corso di pubblicazione, con titolo “Vile
nell’amore”: una tal opera in realtà non uscì mai.
Nel 1934 Mondadori pubblica invece Singolare avventura
di viaggio, con dedica editoriale al fratello Corrado,
critico cinematografico ed autore di un interessante
volumetto pubblicato nel 1995 dal Greco in Catania
(Vitaliano mio fratello). E’ il primo testo importante,
fu composto nella primavera dell’anno precedente, ormai
del tutto estraneo alla retorica di regime, tanto da
meritare una dura recensione stroncante di Luigi
Chiarini su “Quadrivio”. E dopo la stroncatura venne il
ritiro dalle libreria del romanzo, giudicato immorale
dai censori dell’epoca. La scheda editoriale indica
quale data di stampa il 20 dicembre 1933 (ma la
copertina e il fronte portano la data 1934). Il volume
in 16° misura cm 19x16 ed ha 184 pagine cui deve però
aggiungersi una carta bianca finale.
Con il ritiro dell’opera iniziò il distacco del Brancati
dall’ambiente fascista romano: il 24 giugno 1934
Quadrivio pubblicò la sua lettera di dimissioni da
redattore. Nel 1935 lo scrittore lasciò Roma e fece
ritorno nella natia Sicilia; ma fra il febbraio e il
marzo del 1936 uscirono ancora su Quadrivio Gli studi
per un romanzo in sei puntate, mentre Il Convegno diede
alle stampe Eraclio dramma in versi mai rappresentato.
Fra il 1935 e il 1938 Brancati prosegue l’attività di
pubblicista, e in particolare conosce Leo Longanesi:
l’incontro ha una particolare importanza nello sviluppo
delle opere successive.
Nel 1938 esce, fra giugno e agosto, in 11 puntate, il
romanzo breve Sogno di un valzer su Quadrivio; e su
Omnibus di Longanesi vengono pubblicate le nove puntate
della versione abbreviata de Gli anni perduti. Lo
scrittore siciliano si avvia deciso verso i grandi
romanzi della maturità; e il ritorno in Sicilia sembra
giovargli, consentendo di saldare l’esperienza romana
con i ricordi dell’infanzia a Pachino o della gioventù a
Catania.
Studio Editoriale Moderno pubblica nella tipografia di
Alfio Amantia la raccolta
In cerca di un sì con
sottotitolo Racconti Le novelle non sono inedite; la
prima edizione in volume è di pagine 176 con una
piacevole copertina illustrata a colori. Il formato 16°
misura mm 127x190: Il volume è di una certa rarità.
L’edizione originale
completa de
Gli anni perduti fu stampata a Firenze da Parenti nella
propria stamperia, con data 15 ottobre 1941. Come di consueto si tratta
di edizione a tiratura limitata, 355 copie numerate su carta doppio guinea, oltre a 50 esemplari su carta comune fuori commercio riservate
al servizio stampa. E’ il 39° volume della Collezione di “Letteratura”,
si compone di 208 pagine, con un ritratto dell’autore a piena pagina
fuori testo a firma di Maccari. Il volume, ovviamente raro, misura mm
155x205, non ha sovracoperta. Sempre nel 1941 venne pubblicato
dall’editore Rizzoli il celebre
Don Giovanni in Sicilia. La brossura è
quasi muta con la sola indicazione del titolo al recto e sul dorso anche
il nome dell’autore. Tutte le edizioni successive (ben sei fra il 42 e
il 52) furono pubblicate poi da Bompiani; questa mondadoriana è davvero
rara e ancor di più se completa della bella sovracoperta illustrata da
Leo Longanesi che reca sul risvolto il ritratto fotografico di Brancati.
Il volume uscì nella collana “Il sofà delle muse”, ideata e diretta da
Longanesi, come volume 9. E’ una brossura in 16°, di mm 185x120 di 284
pagine. Il romanzo è seguito da 5 racconti; nelle successive edizioni
diventeranno 7. Sempre nel 1941 Brancati pubblica l’innovativa antologia
di scritti leopardiani, Società, lingua e letteratura d’Italia
(1816-1832), che segna l'inizio del suo rapporto con l’editore Valentino
Bompiani; e durante le prove della commedia Le trombe di Eustachio,
pubblicata sulla rivista Scenario, avviene l’incontro con Anna Proclemer.
Nel 1942 appare per i tipi di Rizzoli un’antologia delle memorie
d’oltretomba di Chateaubriand, con traduzione e prefazione di Brancati,
l’edizione di un certo successo avrà ben 4 ristampe.
Nel 1943 escono presso Bompiani, stampati a Firenze da Giannini e
Giovannelli, I piaceri, con sottotitolo Parole all’orecchio. E’ una
brossura illustrata in 16° di mm 202x118, di 156 pagine compresa la
pubblicità editoriale stesura parzialmente originale seguita poi da una
ristampa nel 1944.
Nel 1945, nella collezione di narratori moderni “La giarrettiera”, esce
presso L’Acquario Editore di Roma la raccolta
Il vecchio con gli
stivali. Singolare avventura di Francesco Maria. La dedica editoriale è
per Luigi Russo; l’edizione originale numerata (con il consenso di
Valentino Bompiani) è di 2000 esemplari. Si tratta di una piccola
brossura che misura mm 107x158 con una sovracoperta tricolore. Il
volumetto contiene una tavola di Mino Maccari; segue in data 7 marzo
1946, sempre con sovraccoperta, l’edizione Bompiani, in 16° di pagine
192 con l’aggiunta di altri 8 racconti. Due ulteriori edizioni, nel 1947
e nel 1949 contengono nuove giunte.
Nel 1946 escono poi 7 racconti nel volume I fascisti invecchiano; Li
pubblica come quarto volume de “La Fronda” la casa editrice Longanesi e
C. dell’amico Leo; La stampa è della tipografia Rizzoli. Si tratta di un
volumetto in formato 16° composto di 104 pagine. Nel dopoguerra Brancati
si dedica con passione alle collaborazioni, pubblicando articoli,
racconti e saggi sulle colonne di quotidiani e riviste, senza
dimenticare l’attività teatrale sempre rimastagli cara ed anzi
integrandola con la scrittura di soggetti e sceneggiature
cinematografiche; ricorderemo soltanto, anche per i problemi di censura
che ebbe, la commedia Raffaele, apparsa su Botteghe Oscure (1948) ed il
film Anni difficili che il regista Luigi Zampa portò ad un notevole
successo.
Nel 1949 Mario Pannunzio diede vita al settimanale “Il Mondo”; nei primi
15 numeri compaiono, fra febbraio e maggio, le puntate del romanzo “Il Bell’Antonio”, sia pure in una versione espurgata di riferimenti alla
religione e al sesso. La vicenda relativa al testo de Il Bell’Antonio
non è ancora stata oggetto di indagine risolutiva, ma par certo ormai
che il Brancati avesse sostanzialmente dato corso ad una sorta di doppia
stesura, l’una per il settimanale e l’altra per il volume, continuando a
correggere in contemporanea entrambi i testi, sempre furiosamente
limandoli in cerca di una definitiva versione. In effetti le variazioni
fra il testo del settimanale e quello del volume non sono di poco conto;
il dattiloscritto inviato a “Il Mondo” con le correzioni autografe di
Brancati potrebbe essere comunque un contributo assai utile per giungere
ad una ricostruzione delle vicende relative al testo. La prima edizione
in volume de Il bell’Antonio porta in ultima pagina la data del 25
maggio 1949, con stampa presso l’Archetipografia di Milano; è un libro
di 332 pagine, di mm 118x205, con una sovracoperta illustrata con
l’immagine a colori tratta da Picasso e raffigurante un gallo.
L’illustrazione rievoca l’originario titolo del romanzo, ovvero “Il
gallo non ha cantato”. Il titolo definitivo de Il bell’Antonio fu invece
suggerito da Leo Longanesi e la decisione finale presa in prossimità
della pubblicazione tanto che la dizione tralasciata compare ancora
nella bozza dattiloscritta inviata dal Brancati per la impaginazione del
primo numero de Il Mondo.
Il bell’Antonio ottenne subito un successo straordinario, suscitò
violente polemiche e fu tradotto in numerose lingue; al romanzo fu
assegnato il premio Bagutta nel febbraio del 1950 a scapito di Cesare
Pavese che concorreva con La bella estate. Curiosamente è assai
difficile reperire una raccolta completa delle prime 5 edizioni de Il
Bell’Antonio tanto che neppure il volume curato da Giulio Ferroni e
Marco Dondero per i Meridiani della casa Mondadori (Vitaliano Brancati.
Romanzi e Saggi. Milano, 2003) ha potuto confrontare contestualmente le
varie ristampe, non disponibili neppure presso le biblioteche nazionali.
Nel 1952 fu vietata dalla censura La governante, ovvero il provocatorio
pezzo teatrale che Brancati voleva affidare ad Anna Proclemer. Bompiani
ed Einaudi rifiutarono la pubblicazione e lo scrittore siciliano si
rivolse allora, con successo, a Laterza. Nell’aprile del 1952 fu
stampato dall’editore barese, ne “i Libri del Tempo” il saggio Ritorno
alla censura; come avverte la non comune fascetta editoriale che avvolge
la brossura: Lo scritto è seguito dalla commedia proibita nei teatri
italiani. E’ un volume in 16° di 236 pagine, con qualche illustrazione,
fra cui quella curiosa che porta il timbro “non approvato” della
Presidenza del Consiglio dei Ministri sulla commedia di Machiavelli La
Mandragola. Dell’attività editoriale ininterrotta, compresa tra la
pubblicazione de Il bell’Antonio e quella postuma di
Paolo il caldo,
ricorderemo soltanto, per economia di resoconto, il raro opuscoletto
pubblicato nell’ottobre del 1950 a Roma dall’Istituto Grafico Tiberino
per “Gli spettacoli dell’Anfiparnaso. La raccolta contiene Orfeo vedovo,
parole e musiche di Alberto Savinio, Morte dell’aria di Toti Scialoja e
finalmente Il tenore sconfitto, farsa musicale di Vitaliano Brancati,
musica di Vincenzo Tommasini.
La morte sorprese Brancati ancora intento alla stesura di Paolo il
Caldo. Con il consenso dell’autore (che diede le ultime disposizioni due
giorni prima di spirare) apparve postuma per i tipi di Bompiani
l’edizione originale dell’ultimo romanzo nel 1955. Il volume porta una
commossa prefazione di Alberto Moravia. E’ il secondo tomo delle opere,
rilegato in tela rossa, con indicazioni editoriali oro al piatto e al
dorso, accompagnato da una sovracoperta illustrata a colori. La
collazione è XVI 369 (3) oltre a due carte bianche di legatura
editoriale. L’ultimo romanzo di Brancati è rimasto, come è noto,
incompiuto; costituisce il definitivo ritorno alle origini e all’ironia,
a volte un po cupa ma sempre appassionata, che legava Brancati alla sua
Pachino.
Pubblicato nella
rivista Wuz anno II n° 10, dicembre 2003
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