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Alcuni mesi
fa, discutendo di questi argomenti con alcuni “amici ”uno di
questi fece una osservazione: «immaginate che cosa sarebbe mai
successo se si fosse applicato il concetto di Proprietà
Intellettuale nel medioevo o nelle età antiche: con la
diffusione di opere come la Bibbia, il Corano o gli scritti del
Buddha ristretta a pochi, quanto la costruzione di società ora
fondanti le civiltà del mondo attuale sarebbe stata arretrata?»
Di questa frase condivido in pieno l'ultima parte, mentre la
premessa è solo un Paradosso, in quanto nelle epoche in essa
citate non vi erano le condizioni materiali per l'applicazione
del principio di Proprietà Intellettuale così come lo conosciamo
e viene oggi utilizzato.
La spiegazione più rozza che si può dare a questa “assenza di
condizioni” è che allora non esisteva il Capitalismo come
principio motore di ogni atto della produzione umana che ti
porta alla necessità di acquisire un profitto per ogni cosa.
Spiegazione da “bottegai” che non regge affatto, mentre un
minimo di consistenza acquisisce la tesi per la quale era
necessaria la circolazione libera di determinati testi e nozioni
al fine costruire una ideologia condivisa tra le genti; ma anche
quest'ultima ci aiuta fino ad un certo punto. Allora, per
esempio, ci si ammazzava tra chi voleva leggere la vita di Gesù
Cristo in tedesco o in latino, ma la sola idea che fosse vietato
prendere un libro, copiarlo, tradurlo, riprodurlo e distribuirlo
gratuitamente o meno era inaudita.
La ragione fondamentale di ciò era estremamente semplice: anche
al tempo di Gutenberg – che migliorò non poco la vita agli
scrittori – la riproduzione delle opere letterarie non è mai
stata alla portata di tutti; servivano attrezzature complesse e
costose, materiali altrettanto costosi...
Ai tempi l'economia di questi settori si reggeva su una sorta di
principio che possiamo chiamare «Riproducibilità Relativa di un
bene», che sta semplicemente ad indicare i limiti tecnici per la
riproduzione di un testo letterario; limiti che permettevano a
pochi editori bene attrezzati di giungere ad uno stato di
monopolio dell'industria.
Coloro che possedevano il 'capitale' per stampare volumi in
ordine di migliaia di copie avevano poco da preoccuparsi in
effetti, gli unici problemi potevano provenire dalla stamperia
vicina, ma stiamo parlando di un'industria cittadina che in
tutta Europa riusciva a tutelare i suoi profitti sicuri grazie
al sistema delle gilde e delle corporazioni.
Se nonostante tutto un libro, partendo da Venezia veniva
ristampato ad Amsterdam e poi proseguiva il suo viaggio verso i
torchi di Ginevra, vi era ben poco da fare: il mondo allora era
troppo grande perché si potesse pensare che una sola tipografia
fosse stata sufficiente a soddisfare tutto il mercato mondiale.
La situazione della “Riproducibilità Relativa” delle opere
letterarie andò avanti per oltre cinque secoli e mezzo,
certamente migliorò molto la tecnologia e nell'ordine comparvero
la pellicola fotografica, il vinile, la celluloide e la
radiodiffusione di suoni e immagini. A questo punto la Proprietà
Intellettuale si sparse a macchia d'olio dal campo dei brevetti
a tutti i settori del commercio di prodotti culturali. Il
sistema del Diritto di Autore funzionò per diversi decenni senza
grandi problemi dato che la riproduzione di libri, dischi e
pizze cinematografiche era ristretta agli editori e alle case
produttrici.
Ma tra gli anni '70 e '80 del secolo appena trascorso la
situazione iniziò a sconvolgersi, accadde che all'interno delle
società ricche l'innovazione tecnologia sopravanzò di molto le
invenzioni che erano state fatte nei cento anni precedenti. Il
concetto di Riproducibilità Relativa di determinati beni iniziò
a divenire molto più «relativo».
Si prese le mosse con la musica, grazie alla nascita delle
audiocassette. Da allora si poterono duplicare i brani contenuti
nei dischi o registrarseli direttamente dalle stazioni radio.
Poi vennero i registratori VHS e molti film uscirono dalle sale
a pagamento o dai palinsesti rigidi delle TV per essere visti
nelle case private. Per non parlare poi delle fotocopiatrici,
amore segreto di molti studenti e studiosi squattrinati. Infine
arrivarono anche i prodotti dell'informatica con la diffusione
dei Personal Computer.
Proprio quest'ultimo “elettrodomestico” fece temere per la prima
volta autori ed editori sulle sorti del loro lavoro. Il PC è una
macchina complessa e di per sé amorfa, ma tramite la creatività
umana è capace di eseguire decine e decine di funzioni
qualitativamente diverse. In più è congegnato in modo basilare
per custodire, elaborare, riprodurre e trasmettere dati.
Per questo divenne un impulso quasi naturale per tutti i
possessori di PC copiare e far girare ogni tipo di dato in barba
alle leggi del copyright. Per fortuna delle case produttrici
l'avvento del compact disk per un po' frenò questo fenomeno, ma
in pochissimo tempo il tutto esplose di nuovo, e stavolta senza
alcun controllo.
Prima di andare avanti una piccola parentesi che aiuta meglio a
comprendere la questione nella sua interezza.
Fino agli anni 2000/2001 le copie non autorizzate di film,
dischi, e software esistevano ugualmente in gran numero, esse
circolavano facilmente ma, pur sempre, riuscire a recuperarle
era una operazione “scomoda”. Si dovevano avere i giusti
contatti, agire davvero come dei contrabbandieri. Un altro
aspetto importante era che risultava sempre molto difficile
trovare le “ultime uscite”, a volte l'attesa era così lunga che
quando la copia non autorizzata di un film si rendeva
reperibile, il pubblico aveva perso l'interesse di vederlo.
Infine chi copiava e distribuiva CD fuori legge era pur sempre
gente che disponeva di macchinari particolari, erano pochi
insomma, e una operazione ben riuscita delle forze dell'ordine
poteva bloccare la diffusione di un'opera in una grande area
territoriale. In conclusione, nonostante qualche piccolo
incidente di percorso i difensori del Diritto di Autore
continuavano a dormire sonni tranquilli.
Per svegliarli bruscamente e gettarli in strada in un mondo che
non riuscivano più a riconoscere bastò veramente poco. Bastò che
l'industria elettronica iniziasse a rendere disponibili
all'utente medio Personal Computer dalle prestazioni elevate,
che le aziende di telefonia sviluppassero le connessioni a banda
larga e che, grazie a queste innovazioni, l'intelligenza e la
creatività delle donne e degli uomini del mondo potessero
entrare in contatto per dare forma ai loro sogni.
La Rete non sta mettendo in crisi l'industria della cultura, la
Rete ha semplicemente dissolto il Diritto di Autore, rompendo
tutte le catene e i limiti che i pochi possono porre per negare
a tutti la libera circolazione delle idee e della cultura.
Quello che in tempi remoti era impossibile e in tempi recenti
era difficile o scomodo, ora per molte persone è divenuta una
operazione estremamente banale quasi una funziona fisiologica: è
sufficiente connettere il proprio PC alla Rete – meglio se
costantemente – mettere in esecuzione un client Peer to Peer per
riuscire a disporre di tutto lo scibile umano in qualunque sua
forma compatibile con i supporti multimediali.
Non sto qui ora a descrivere gli insulsi stratagemmi che i
produttori escogitano per impedire la circolazione del sapere
(la parte divertente verrà fra poco), basta dire, anzi gridare,
che sono sforzi
INUTILI:
nessun codice cifrato, nessun accorgimento tecnico resiste...
Figuriamoci... Ci sono gruppi e comunità che riescono a far
circolare pure quelle notizie che il Potere, quello vero,
vorrebbe mantenere segreto, che riuscire a scaricare due
canzonette sembra essere proprio un trastullo...
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