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Il Diritto di Autore

La fine di una decima feudale
 

di Patrizio Agostinelli

 

 
 

Alcuni mesi fa, discutendo di questi argomenti con alcuni “amici ”uno di questi fece una osservazione: «immaginate che cosa sarebbe mai successo se si fosse applicato il concetto di Proprietà Intellettuale nel medioevo o nelle età antiche: con la diffusione di opere come la Bibbia, il Corano o gli scritti del Buddha ristretta a pochi, quanto la costruzione di società ora fondanti le civiltà del mondo attuale sarebbe stata arretrata?»
Di questa frase condivido in pieno l'ultima parte, mentre la premessa è solo un Paradosso, in quanto nelle epoche in essa citate non vi erano le condizioni materiali per l'applicazione del principio di Proprietà Intellettuale così come lo conosciamo e viene oggi utilizzato.
La spiegazione più rozza che si può dare a questa “assenza di condizioni” è che allora non esisteva il Capitalismo come principio motore di ogni atto della produzione umana che ti porta alla necessità di acquisire un profitto per ogni cosa. Spiegazione da “bottegai” che non regge affatto, mentre un minimo di consistenza acquisisce la tesi per la quale era necessaria la circolazione libera di determinati testi e nozioni al fine costruire una ideologia condivisa tra le genti; ma anche quest'ultima ci aiuta fino ad un certo punto. Allora, per esempio, ci si ammazzava tra chi voleva leggere la vita di Gesù Cristo in tedesco o in latino, ma la sola idea che fosse vietato prendere un libro, copiarlo, tradurlo, riprodurlo e distribuirlo gratuitamente o meno era inaudita.
La ragione fondamentale di ciò era estremamente semplice: anche al tempo di Gutenberg – che migliorò non poco la vita agli scrittori – la riproduzione delle opere letterarie non è mai stata alla portata di tutti; servivano attrezzature complesse e costose, materiali altrettanto costosi...
Ai tempi l'economia di questi settori si reggeva su una sorta di principio che possiamo chiamare «Riproducibilità Relativa di un bene», che sta semplicemente ad indicare i limiti tecnici per la riproduzione di un testo letterario; limiti che permettevano a pochi editori bene attrezzati di giungere ad uno stato di monopolio dell'industria.
Coloro che possedevano il 'capitale' per stampare volumi in ordine di migliaia di copie avevano poco da preoccuparsi in effetti, gli unici problemi potevano provenire dalla stamperia vicina, ma stiamo parlando di un'industria cittadina che in tutta Europa riusciva a tutelare i suoi profitti sicuri grazie al sistema delle gilde e delle corporazioni.
Se nonostante tutto un libro, partendo da Venezia veniva ristampato ad Amsterdam e poi proseguiva il suo viaggio verso i torchi di Ginevra, vi era ben poco da fare: il mondo allora era troppo grande perché si potesse pensare che una sola tipografia fosse stata sufficiente a soddisfare tutto il mercato mondiale.
La situazione della “Riproducibilità Relativa” delle opere letterarie andò avanti per oltre cinque secoli e mezzo, certamente migliorò molto la tecnologia e nell'ordine comparvero la pellicola fotografica, il vinile, la celluloide e la radiodiffusione di suoni e immagini. A questo punto la Proprietà Intellettuale si sparse a macchia d'olio dal campo dei brevetti a tutti i settori del commercio di prodotti culturali. Il sistema del Diritto di Autore funzionò per diversi decenni senza grandi problemi dato che la riproduzione di libri, dischi e pizze cinematografiche era ristretta agli editori e alle case produttrici.
Ma tra gli anni '70 e '80 del secolo appena trascorso la situazione iniziò a sconvolgersi, accadde che all'interno delle società ricche l'innovazione tecnologia sopravanzò di molto le invenzioni che erano state fatte nei cento anni precedenti. Il concetto di Riproducibilità Relativa di determinati beni iniziò a divenire molto più «relativo».
Si prese le mosse con la musica, grazie alla nascita delle audiocassette. Da allora si poterono duplicare i brani contenuti nei dischi o registrarseli direttamente dalle stazioni radio. Poi vennero i registratori VHS e molti film uscirono dalle sale a pagamento o dai palinsesti rigidi delle TV per essere visti nelle case private. Per non parlare poi delle fotocopiatrici, amore segreto di molti studenti e studiosi squattrinati. Infine arrivarono anche i prodotti dell'informatica con la diffusione dei Personal Computer.
Proprio quest'ultimo “elettrodomestico” fece temere per la prima volta autori ed editori sulle sorti del loro lavoro. Il PC è una macchina complessa e di per sé amorfa, ma tramite la creatività umana è capace di eseguire decine e decine di funzioni qualitativamente diverse. In più è congegnato in modo basilare per custodire, elaborare, riprodurre e trasmettere dati.
Per questo divenne un impulso quasi naturale per tutti i possessori di PC copiare e far girare ogni tipo di dato in barba alle leggi del copyright. Per fortuna delle case produttrici l'avvento del compact disk per un po' frenò questo fenomeno, ma in pochissimo tempo il tutto esplose di nuovo, e stavolta senza alcun controllo.
Prima di andare avanti una piccola parentesi che aiuta meglio a comprendere la questione nella sua interezza.
Fino agli anni 2000/2001 le copie non autorizzate di film, dischi, e software esistevano ugualmente in gran numero, esse circolavano facilmente ma, pur sempre, riuscire a recuperarle era una operazione “scomoda”. Si dovevano avere i giusti contatti, agire davvero come dei contrabbandieri. Un altro aspetto importante era che risultava sempre molto difficile trovare le “ultime uscite”, a volte l'attesa era così lunga che quando la copia non autorizzata di un film si rendeva reperibile, il pubblico aveva perso l'interesse di vederlo.
Infine chi copiava e distribuiva CD fuori legge era pur sempre gente che disponeva di macchinari particolari, erano pochi insomma, e una operazione ben riuscita delle forze dell'ordine poteva bloccare la diffusione di un'opera in una grande area territoriale. In conclusione, nonostante qualche piccolo incidente di percorso i difensori del Diritto di Autore continuavano a dormire sonni tranquilli.
Per svegliarli bruscamente e gettarli in strada in un mondo che non riuscivano più a riconoscere bastò veramente poco. Bastò che l'industria elettronica iniziasse a rendere disponibili all'utente medio Personal Computer dalle prestazioni elevate, che le aziende di telefonia sviluppassero le connessioni a banda larga e che, grazie a queste innovazioni, l'intelligenza e la creatività delle donne e degli uomini del mondo potessero entrare in contatto per dare forma ai loro sogni.
La Rete non sta mettendo in crisi l'industria della cultura, la Rete ha semplicemente dissolto il Diritto di Autore, rompendo tutte le catene e i limiti che i pochi possono porre per negare a tutti la libera circolazione delle idee e della cultura.
Quello che in tempi remoti era impossibile e in tempi recenti era difficile o scomodo, ora per molte persone è divenuta una operazione estremamente banale quasi una funziona fisiologica: è sufficiente connettere il proprio PC alla Rete – meglio se costantemente – mettere in esecuzione un client Peer to Peer per riuscire a disporre di tutto lo scibile umano in qualunque sua forma compatibile con i supporti multimediali.
Non sto qui ora a descrivere gli insulsi stratagemmi che i produttori escogitano per impedire la circolazione del sapere (la parte divertente verrà fra poco), basta dire, anzi gridare, che sono sforzi
INUTILI: nessun codice cifrato, nessun accorgimento tecnico resiste... Figuriamoci... Ci sono gruppi e comunità che riescono a far circolare pure quelle notizie che il Potere, quello vero, vorrebbe mantenere segreto, che riuscire a scaricare due canzonette sembra essere proprio un trastullo...

 

 
 
 
 
 

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