|
“Quando il
vento soffia forte bisogna farsi canna” amava ripetere un famoso
cinese.
L’editoriale di Demarco sembra contestare proprio questo adagio,
non si capisce però se dietro la sua analisi vi sia
compiacimento o malcelato disappunto. La teoria della guerra
preventiva propugnata dai neocons raccolti attorno a Bush ha
portato gli Stati Uniti, con la complicità di Blair e la supina
furbizia da italietta di Berlusconi, ad invadere l’Irak
contabbandando una guerra neocoloniale come un intervento contro
il terrorismo. Le armi di distruzione di massa che agli occhi
del mondo dovevano giustificare l’intervento si sono rivelate un
pretesto, una bufala inesistente, infatti non sono mai state
trovate. Si è detto che comunque bisognava spodestare un tiranno
come Saddam Hussein e portare in quel martoriato Paese la
democrazia e la libertà e, a un anno dalla fine della guerra
dichiarata via satellite da Bush, sappiamo che in Irak la
situazione è addirittura peggiorata. Di più, che le armate
liberatrici invece dei valori di democrazia e libertà hanno
abolito di fatto la convenzione di Ginevra e praticato
sistematicamente(?) la tortura. Le immagini terribili delle foto
sulle torure ai prigionieri irakeni perpetrate dai soldati
americani e inglesi hanno svelato al mondo in maniera
storicamente indelebile in che mani siamo. Soffia
prepotentemente un vento di guerra, di disprezzo delle regole,
di crociata religiosa, di razzismo, di annichilimento
dell’avversario, di annullamento della personalità e
dell’identità del nemico, della sua riduzione ad animale al
guinzaglio. La maggioranza dei commentatori dei media italiani
reagisce a tutto questo rifugiandosi nella magra consolazione
che in un paese democratico le torture vengono comunque
denunciate e i responsabili puniti. Nessuno che si chieda se è
accettabile che in una democrazia possano ancora essere messe in
atto e, soprattutto, tollerate o addirittura ispirate dall’alto
pratiche del genere. Nessuno che si preoccupi di denunciare,
combattere a voce alta e debellare un virus tanto infetto da
mettere a rischio l’intero sistema di valori e conquiste che
regola la vita e i comportamenti di un Paese civile e
democratico. In un mondo in cui soffia un fortissimo vento di
destra cosa fa uno “di sinistra”? Se ne sta “rintanato in casa
invece che andare a fare la guerra ai terroristi” o preferisce
“rimanere sospeso come il fumo del sigaro(cubano) e la nebbia
dell’utopia”? Ora è vero che “nelle canzonette si nasconde
spesso il senso più profondo della nostra vita” ma è altrettanto
vero che “ a canzoni non si è mai fatta la rivoluzione”! Certo
c’è chi se ne sta a casa e aspetta che il vento cali e chi va a
far la guerra ai terroristi ma ci sono anche tanti, tantissimi
altri che si muovono diversamente. Ci sono milioni di uomini e
donne, giovani e meno giovani che hanno invaso le strade e le
città del mondo manifestando, in tempi non sospetti, contro la
guerra e per la pace.Tantissimi, la maggioranza(?), che
contestano un mondo diseguale e profondamente ingiusto che
concentra la ricchezza nelle mani di un terzo della popolazione
mondiale e condanna alla fame, alla miseria e all’ingiustizia il
resto. Gli stessi che protestano contro un modello di civiltà
basato sul consumo sfrenato e folle delle risorse naturali che
pure non sono illimitate, che non si accontentano di un lavoro
precarioe mal pagato purchè sia, che non si rassegnano a
considerare gli immigrati manovalanza senza diritti da sfruttare
ma persone degne dello stesso rispetto e degli stessi diritti di
cui godiamo noi indipendentemente dal loro paese d’origine, dal
colore della loro pelle e dalla loro religione. Bene, uno “di
sinistra” sta con questi tantissimi e assieme a loro si batte
per un altro mondo possibile, non rinunciando a quel pizzico di
utopia che come insegna il passato ha consentito, non è così
Direttore, a tante minoranze folli e disperate di fare la Storia
e di cambiare profondamente il destino degli uomini.
Inviato al
Corriere del Mezzogiorno, in risposta all'editoriale di Marco
Demarco del 23 maggio 2004
|
|