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La storia
della televisione nel nostro paese è stranamente singolare, uno
di quei perfetti esempi di quello che non funziona in Italia,
all’estero fonte continua di malevole battute e all’interno
quotidiano esempio di tutto quello che non vorremmo e che
continua ad essere presente. Il nostro servizio pubblico
televisivo, infatti, non è mai stato tale. Questa nozione,
infatti, varrebbe a significare una struttura mediatica che ha
come obiettivo principe quello di soddisfare determinati bisogni
del pubblico, della cittadinanza, superando divisioni politiche
o partitiche, una struttura agile, snella e democratica come ad
esempio la Bbc inglese. Invece la televisione statale è sempre
stata in Italia una terra di conquista, di ogni maggioranza
uscita dai seggi nelle infinite elezioni succedutesi nel
dopoguerra. Se la lottizzazione degli incarichi e delle
rappresentanze politiche in Rai non è mai stata una novità ed è
divenuta col tempo, un marchio stesso di riconoscimento, una
certa garanzia di democraticità, di rotazione periodica del ceto
dirigenziale, la novità che si è imposta negli ultimi anni pone
gravissimi problemi di democraticità del sistema media italiano.
Dieci anni fa, infatti, è sceso in politica non un uomo
qualunque, non un industriale qualsiasi, ma il maggior
imprenditore del settore televisivo del paese, padrone di tre
reti televisive, case editrici, giornali, portali internet e via
dicendo. Se prima la Rai che fungeva da cassa di risonanza
politica non infastidiva poi troppo questo era senza dubbio
dovuto al fatto che nessuno schieramento partitico avesse
partecipazioni dirette o molto importanti nel settore dei media,
mentre ora il polo di centro-destra può ampiamente usufruire
delle tre reti Mediaset. Così all’appoggio che in maniera
diretta od indiretta viene fornito al governo dalle reti private
del Presidente del consiglio per ovvie ragioni si aggiunge anche
l’appoggio di tutti i nuovi nominati all’interno dei vertici
Rai. Vertici che con questo governo, dopo ripetute crisi, sono
sempre più divenuti faziosi, composti da personaggi
misteriosamente caduti a dirigere un gruppo televisivo non dal
settore dei media in cui si erano fatti notare per le capacità,
ma usciti da qualche giornale di partito, dalle sezioni di
qualche organizzazione politica quando non direttamente dalle
concorrenti televisioni commerciali. Tutto questo unito alla
recente approvazione del pacchetto di legge proposto dal
ministro Gasparri su riordino del settore radiotelevisivo che
comporta vincoli molto minori sulla concentrazione di potere nel
campo dei media pone seri interrogativi. E’ corretto, infatti,
equiparare la pubblicità televisiva con i volantini delle
discoteche, con le campagne pubblicitarie Avis, con la stampa di
questo giornalino, con la pubblicità sui portali internet
stabilendo un tetto massimo del 20% su un mercato a dir poco
incalcolabile e di sicuro non quantificabile con esattezza oltre
che mutevole di giorno in giorno? Il precedente limite posto al
30% di ogni singolo settore (radio, televisivo, editoriale,
stampa quotidiana) non era forse più indicato per evitare
pericolose concentrazioni? Non è forse di cattivo gusto oltre
che contrario a quella che dovrebbe essere decenza comune il
fatto che le aziende di proprietà del capo del governo abbiano
ora la possibilità di crescere ancora per una cifra vicino ai
due miliardi di euro, come candidamente ammesso dai loro
dirigenti? Ora, non voglio certo affermare che le leggi vadano
fatte da chi sta al potere contro chi sta al potere, questa è
un’idiozia bella e buona e ancora non mi è concesso vederla, ma
vista la ricchezza personale già accumulata da alcuni il fare
leggi che ne regalano altra mentre il sistema paese appare in
crisi e molti faticano ad arrivare alla fine del mese pare di
certo una pessima mossa sia elettorale sia morale; fate voi due
conti su quante persone si potrebbero aiutare con due miliardi
di euro ben spesi. Evidente mi sembra anche la difficoltà nel
riuscire a distinguere con chiarezza le notizie, politiche ed
estere in particolar modo sul sistema radiotelevisivo,
dichiarato in mani comuniste, ma che parla di qualsiasi cosa
evitando con attenzione ciò che succede nel mondo, tanto in Rai
che in Mediaset. Mi sembra eccessivo parlare di censura vera e
propria, ma è necessario denunciare una continua ed onnipresente
autocensura che avvolge e sfuma le notizie, le disgrazie del
mondo, presentandoci l’immagine di un paese vincente in campo
internazionale, felice e fiducioso nel proprio avvenire, sempre
sorridente e coinvolto in sanguinose missioni di pace in cui i
barbari arabi non capiscono il nostro buon cuore e tutti i morti
sono solamente da vedere come effetti collaterali di una guerra
che è divenuta buona, quasi seducente. C’è bisogno di tornare
alle vecchie parole, all’italiano ricco di senso che si usava un
tempo, in cui ogni aggettivo ha una sua forza determinata e
destinata a far valere il proprio peso, c’è bisogno di
raccontare alla gente non quello che vuole sentirsi dire, ma
quello che succede nel mondo, c’è un estremo bisogno di verità,
semplice e naturale. Tutto questo dovrebbe essere la semplice
risposta ad un normalissimo bisogno di naturalità, in cui le
professioni ed i ruoli sono separati, non dovrebbe essere una
risposta ad un pericolo politico come dicono tanti. Necessario è
fare leggi che stabiliscano delle regole comuni accettate e
stabilite secondo chiari criteri di eguaglianza e parità di
diritti tra tutti i soggetti coinvolti. Almeno altrettanto
importante è poi farle rigidamente applicare in modo che casi
come quello di Rete4, le cui trasmissioni sono state illegali
per oltre quattro anni eppure ogni giorno in onda su tutto il
paese e che alla fine è stata salvata per decreto ministeriale
non devono più ripetersi perché altro non sono che eccezioni che
invece di confermare una regola mostrano il lassismo con il
quale lo stato italiano affronta i propri problemi e questo non
può non avere ripercussioni in tutti i campi, dall’abusivismo
edilizio al potere mafioso. Ci vuole un netto cambio di rotta,
basato su pochi principi e sostenuto con forza, ci vogliono
poche e chiare leggi, ci vuole un impegno che l’attuale governo
non può e non vuole sostenere. Bisognerà parlarne dopo le
elezioni, sperando che anche gli italiani comincino a desiderare
di vivere in un paese finalmente normale e sarà allora che noi
andremo ad analizzare tutte le strategie politiche che vengono
utilizzate in questi giorni; un partito dopo l’altro, con la
tranquillità del poi vedremo cosa veniva promesso, come veniva
promesso e quali risultati questi messaggi hanno avuto. |
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