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Strane storie di televisione

di Simone Morgagni

 
 

La storia della televisione nel nostro paese è stranamente singolare, uno di quei perfetti esempi di quello che non funziona in Italia, all’estero fonte continua di malevole battute e all’interno quotidiano esempio di tutto quello che non vorremmo e che continua ad essere presente. Il nostro servizio pubblico televisivo, infatti, non è mai stato tale. Questa nozione, infatti, varrebbe a significare una struttura mediatica che ha come obiettivo principe quello di soddisfare determinati bisogni del pubblico, della cittadinanza, superando divisioni politiche o partitiche, una struttura agile, snella e democratica come ad esempio la Bbc inglese. Invece la televisione statale è sempre stata in Italia una terra di conquista, di ogni maggioranza uscita dai seggi nelle infinite elezioni succedutesi nel dopoguerra. Se la lottizzazione degli incarichi e delle rappresentanze politiche in Rai non è mai stata una novità ed è divenuta col tempo, un marchio stesso di riconoscimento, una certa garanzia di democraticità, di rotazione periodica del ceto dirigenziale, la novità che si è imposta negli ultimi anni pone gravissimi problemi di democraticità del sistema media italiano. Dieci anni fa, infatti, è sceso in politica non un uomo qualunque, non un industriale qualsiasi, ma il maggior imprenditore del settore televisivo del paese, padrone di tre reti televisive, case editrici, giornali, portali internet e via dicendo. Se prima la Rai che fungeva da cassa di risonanza politica non infastidiva poi troppo questo era senza dubbio dovuto al fatto che nessuno schieramento partitico avesse partecipazioni dirette o molto importanti nel settore dei media, mentre ora il polo di centro-destra può ampiamente usufruire delle tre reti Mediaset. Così all’appoggio che in maniera diretta od indiretta viene fornito al governo dalle reti private del Presidente del consiglio per ovvie ragioni si aggiunge anche l’appoggio di tutti i nuovi nominati all’interno dei vertici Rai. Vertici che con questo governo, dopo ripetute crisi, sono sempre più divenuti faziosi, composti da personaggi misteriosamente caduti a dirigere un gruppo televisivo non dal settore dei media in cui si erano fatti notare per le capacità, ma usciti da qualche giornale di partito, dalle sezioni di qualche organizzazione politica quando non direttamente dalle concorrenti televisioni commerciali. Tutto questo unito alla recente approvazione del pacchetto di legge proposto dal ministro Gasparri su riordino del settore radiotelevisivo che comporta vincoli molto minori sulla concentrazione di potere nel campo dei media pone seri interrogativi. E’ corretto, infatti, equiparare la pubblicità televisiva con i volantini delle discoteche, con le campagne pubblicitarie Avis, con la stampa di questo giornalino, con la pubblicità sui portali internet stabilendo un tetto massimo del 20% su un mercato a dir poco incalcolabile e di sicuro non quantificabile con esattezza oltre che mutevole di giorno in giorno? Il precedente limite posto al 30% di ogni singolo settore (radio, televisivo, editoriale, stampa quotidiana) non era forse più indicato per evitare pericolose concentrazioni? Non è forse di cattivo gusto oltre che contrario a quella che dovrebbe essere decenza comune il fatto che le aziende di proprietà del capo del governo abbiano ora la possibilità di crescere ancora per una cifra vicino ai due miliardi di euro, come candidamente ammesso dai loro dirigenti? Ora, non voglio certo affermare che le leggi vadano fatte da chi sta al potere contro chi sta al potere, questa è un’idiozia bella e buona e ancora non mi è concesso vederla, ma vista la ricchezza personale già accumulata da alcuni il fare leggi che ne regalano altra mentre il sistema paese appare in crisi e molti faticano ad arrivare alla fine del mese pare di certo una pessima mossa sia elettorale sia morale; fate voi due conti su quante persone si potrebbero aiutare con due miliardi di euro ben spesi. Evidente mi sembra anche la difficoltà nel riuscire a distinguere con chiarezza le notizie, politiche ed estere in particolar modo sul sistema radiotelevisivo, dichiarato in mani comuniste, ma che parla di qualsiasi cosa evitando con attenzione ciò che succede nel mondo, tanto in Rai che in Mediaset. Mi sembra eccessivo parlare di censura vera e propria, ma è necessario denunciare una continua ed onnipresente autocensura che avvolge e sfuma le notizie, le disgrazie del mondo, presentandoci l’immagine di un paese vincente in campo internazionale, felice e fiducioso nel proprio avvenire, sempre sorridente e coinvolto in sanguinose missioni di pace in cui i barbari arabi non capiscono il nostro buon cuore e tutti i morti sono solamente da vedere come effetti collaterali di una guerra che è divenuta buona, quasi seducente. C’è bisogno di tornare alle vecchie parole, all’italiano ricco di senso che si usava un tempo, in cui ogni aggettivo ha una sua forza determinata e destinata a far valere il proprio peso, c’è bisogno di raccontare alla gente non quello che vuole sentirsi dire, ma quello che succede nel mondo, c’è un estremo bisogno di verità, semplice e naturale. Tutto questo dovrebbe essere la semplice risposta ad un normalissimo bisogno di naturalità, in cui le professioni ed i ruoli sono separati, non dovrebbe essere una risposta ad un pericolo politico come dicono tanti. Necessario è fare leggi che stabiliscano delle regole comuni accettate e stabilite secondo chiari criteri di eguaglianza e parità di diritti tra tutti i soggetti coinvolti. Almeno altrettanto importante è poi farle rigidamente applicare in modo che casi come quello di Rete4, le cui trasmissioni sono state illegali per oltre quattro anni eppure ogni giorno in onda su tutto il paese e che alla fine è stata salvata per decreto ministeriale non devono più ripetersi perché altro non sono che eccezioni che invece di confermare una regola mostrano il lassismo con il quale lo stato italiano affronta i propri problemi e questo non può non avere ripercussioni in tutti i campi, dall’abusivismo edilizio al potere mafioso. Ci vuole un netto cambio di rotta, basato su pochi principi e sostenuto con forza, ci vogliono poche e chiare leggi, ci vuole un impegno che l’attuale governo non può e non vuole sostenere. Bisognerà parlarne dopo le elezioni, sperando che anche gli italiani comincino a desiderare di vivere in un paese finalmente normale e sarà allora che noi andremo ad analizzare tutte le strategie politiche che vengono utilizzate in questi giorni; un partito dopo l’altro, con la tranquillità del poi vedremo cosa veniva promesso, come veniva promesso e quali risultati questi messaggi hanno avuto.

 
 
 
 
 

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