agli incroci dei venti agli incroci dei venti agli incroci dei venti

 
 
 
 
 
 

La lotta senza speranza del Grande Fratello

 

di Patrizio Agostinelli

 

 
 

Ora qualcuno mi deve spiegare perché è illegale utilizzare ciò che la tecnologia mi mette a disposizione per acquisire materiale culturale a costo zero. Sarà che devo restare ignorante per essere meglio dominato?
I difensori del Diritto d'Autore dal loro canto innalzano tali piagnistei rimpinzati di tante spudorate menzogne da far indignare un elettricista.
Quella più urtante di tutte è che la “pirateria”, mettendo in crisi le vendite dei CD musicali originali non ne consente la riduzione del costo per il consumatore, anche se sulla composizione del prezzo di mercato di questi prodotti, le tasse, in particolare quelle per la Proprietà Intellettuale, hanno una questa estremamente rilevante.
L'ultima volta che sono andato ad acquistare dei CD-ROM vergini li ho pagati 60 eurocent l'uno, ma andavo di fretta e mi ero fermato al primo negozio che ho incontrato. Un CD musicale originale costa quasi ottantamila vecchie lire; certo c'è molta gente che ci mangia grazie a quei 40.00 euro, mi piacerebbe sapere quanto, ma torniamo al discorso principale: perché non acquisto la compilation di San Remo e preferisco la versione “tarocca”.
Semplice e cristallino: perché se una cosa non me la posso permettere non me la compro; perché un CD musicale non è un maglione; perché ciò che ha un prezzo elevato sul mercato influisce negativamente sul paniere del consumatore, facendo porre il bene in questione come un consumo di lusso, e quindi percepito come non necessario. Ovviamente a sentire i crociati del copyright la bestialità l'ho detta io: ridurre ora come ora i prezzi dei CD musicali non serve a niente dato che i consumatori hanno preso il “vizio” del download. Ma a questo punto è meglio che risponda il perito elettronico invece che l'economista.
Gli “Home Computer” cioè le macchine alle quali le persone comuni possono accedere sono sì sufficienti per riprodurre un CD musicale, ma non eccellono in questa funzione. Inoltre i CD vergini, che vengono utilizzati per queste copie, hanno una durata limitata nel tempo, specie se utilizzati ripetutamente. Iniziano quindi a dare dei problemi con l'uso , e aggiungiamo che tenere la musica sul proprio Hard Disk è scomodo, e che – sempre alla lunga – gli Hard Disk si riempiono, perciò diventa necessario un aggiornamento dell'Hardware. Notiamo infine che nel lungo periodo non è così conveniente reperire la musica tramite la Rete.
Così abbiamo scientificamente provato che non esiste un CD-ROM che dura in eterno, resta il dubbio se vale sul serio la pena di acquistarne uno a prezzi letteralmente esorbitanti, specie in questo periodo in cui nel nostro paese è tornata in auge un termine vecchio di generazioni: il carovita.
Passiamo ora a vedere la questione dei film che da quando sono usciti i formati DVD e DIV X sono saliti subito in testa alle classifiche di gradimento del popolo del Peer to Peer. Per larga parte la questione è analoga alla musica, se non fosse che si accusa il Peer to Peer di contribuire alla crisi delle sale cinematografiche e della nostra industria del “Cinema d'Autore”. Qui ci sarebbe molto da dire sulle reali cause della crisi del cinema di Sala in Italia, ma ci porterebbe fuori tema, preferisco entrarne in parte per quel che riguarda il discorso del Diritto d'Autore.
Sotto questo versante duplicare o scaricare un film, secondo me, può assumere un significato etico!
Per la miseria... Non capisco perché siamo stati invasi in tutte le città del Paese da centinaia di cattedrali dello svago/shopping sotto il dominio di una multinazionale, e ogni volta che vado a vedere un film devo pagare sul prezzo del biglietto anche il sentirmi dentro il circuito della società dei consumi con tutto il suo brillio. Io vado a vedere un film e di Duffy Duck e Bugs Bunny non me ne frega nulla, io se pago, pago per ciò che voglio acquistare e non per quello che mi appioppano sottobanco con effetti deleteri sul mio piccolo cervello facilmente manipolabile.
Allora io rifiuto sta roba e scelgo, scelgo l'opulenza!
Mi connetto alla Rete e mi scarico il film prima che esca in Italia, nella versione originale registrata direttamente nella sala di proiezione con una telecamera digitale, con tanto di rumori di fondo degli spettatori. Poi arriverà la versione “pulita”, poi quella doppiata in italiano e infine troverò anche il DVD completo con tutte le features. Guardare un film sul monitor di un PC non è esaltante? A riversare le immagini in un bel televisore ultrapiatto non è così difficile ma se proprio si vuole anche trovare un videoproiettore e un impianto dolby surround non è più una cosa impossibile...
Chiudo con i libri perché le case editrici soffrono la fotocopia e la scansione. Ma qui cadiamo direttamente nel ridicolo...
Certo, ...Tutti noi abbiamo in casa nostra uno scaffale pieno di libri fotocopiati e ne andiamo fieri tanto che li mostriamo sempre ai nostri amici, io se devo fare un regalo faccio le fotocopie di un libro, e non trovo sistema più pratico che scaricarmi dalla rete un libro (illustrato) e usare un paio di cartucce di inchiostro per stamparmelo tutto e leggermelo...
Per piacere restiamo seri. Il 90% dei libri che viene fotocopiato è di genere didattico, per fini di studio. Studiare e acculturarsi è un diritto fondamentale degli uomini e delle donne: se non ho casa io ne occupo una sfitta, se non ho un lavoro io ne pretendo uno, così, se non posso permettermi di studiare, io la cultura la prendo come meglio vi riesco, e non è certo questo fatto che rovina il mondo degli editori.
Arrivati a questo punto io non sono ancora riuscito a trovare un fondamento logico e razionale che giustifichi l'attuale legislazione sul copyright. Mi viene il dubbio che non ci sia, e mi viene il sospetto che tutte queste leggi non si fondino che su dei concetti morali arbitrariamente posti.
Non è che sia contrario alle leggi morali, ma esse da qualche parte devono appoggiarsi se si vuole il loro rispetto. Ad esempio è moralmente giusto obbligare i possessori di auto veloci e lussuose a rispettare i limiti di velocità sulle strade in modo che non generino pericolo. È moralmente giusto combattere le organizzazioni criminali che trafficano la droga in quanto causa di morte di soggetti deboli e disagiati. È moralmente giusto perseguire coloro che penetrano nei sistemi informatici degli altri causando danni.
Ma è giusto impedirmi di usare il mio Personal Computer al massimo delle sue prestazioni? È giusto vietare l'uso di programmi che scambiano dati? È giusto impedirmi di possedere dei beni culturali che hanno l'unico fine di migliorare la mia persona e la qualità della mia vita e che in condizioni normali non potrei mai permettermi?
Lor signori devono riuscire a capire che il 99% della roba che che un consumatore reperisce in rete è materiale che non acquisterebbe MAI per nessuna ragione al mondo anche se non avesse possibilità di scaricarsela dalla rete. Per me consumatore questa è roba che vale ZERO eurocent, quindi, se il prezzo è l'incontro tra la domanda e l'offerta, in caso di offerta illimitata il prezzo continua a risultare ZERO.
Se i nostri avversari avessero la metà dell'intelligenza e della creatività di noi che aggiriamo i loro sistemi, capirebbero che potrebbero recuperare quell'unico un per cento che è la nostra attuale spesa in materiale culturale. Ma questo non lo fanno, anzi, peccano di superbia, e soprattutto di ignoranza dimenticandosi che nel corso della storia ciò che non è riuscito ad ammodernarsi è stato abbattuto.
In America e in Europa l'azione delle “cinque sorelle” (Warner Bros, Bertelsman, Emi, Sony, Universal Vivendi) ha fatto produrre una legislazione sul copyright da Stato totalitario. Le ultime adozioni in materia sono talmente capillari e repressive da pretendere che un qualsiasi operatore intellettuale o creativo trasformi ogni sua fonte utilizzata nei lavori in un credito economico a favore delle case produttrici. C'è da sbarrare gli occhi di fronte a questa cosa. Pensate all'arte della poesia, ogni verso che un poeta scrive non è che un condensato di migliaia di poemi da lui letti; pensate che in qualunque opera artistica vi sono decine se non centinaia di rimandi, riprese, citazioni implicite, rielaborazioni e tributi ad altre opere. Pensate infine che questo è un metodo fondante del processo artistico e che esiste un'intera branca delle discipline umanistiche dedicata allo studio dell' elaborazione artistica, culturale e dei linguaggi: la filologia.
La legislazione draconiana delle grandi case produttrici non può che generare o la morte definitiva della creatività oppure una ribellione assoluta.
Inoltre non vi è nulla di escluso in queste leggi, né il contesto né gli attori. Io ad esempio non posso comprare un software originale e duplicarlo come copia di sicurezza (benché fino a qualche tempo fa le case produttrici consigliavano di farlo). Non posso neppure prendere questo software, andare a casa di un mio amico e installarlo sul suo PC. Ma quel software è mio, avrò il diritto di farne ciò che voglio?
No! Neanche il dono è più contemplato come una cosa permessa - perché se io compro un CD e lo metto in Rete in pratica lo regalo a chicchessia – neanche quello spirituale: non posso cantare in pubblico una canzone famosa solo perché mi piace farlo e voglio far divertire la gente. Che tutte queste azioni descritte non abbiano fine di lucro non interessa ai legislatori, loro non fanno differenza tra lo studente che fotocopia un testo fuori stampa da 30 anni per scrivere la tua tesi di laurea e un personaggio che lucra sulla vendita di CD illegali.
[...]
Vi è poi un aspetto esilarante della questione; le grandi Major dell'industria culturale accusano chi viola il Diritto di Autore di essere una massa di comunisti anarcoidi.
C'è questa immagine JPEG, in puro stile maccartista (o democristiano anni '50) che ci ammonisce “quando tu «pirati» MP3 tu stai scaricando del comunismo”. Si tratta logicamente di una vignetta satirica (o almeno lo spero), che però potrebbe prestarsi bene per ritrarre alla perfezione lo stato di sbandamento e di impotenza di queste grandi compagnie.
Chi ha permesso la nascita del fenomeno del Peer to Peer? Chi ci ha dato i mezzi e le tecnologie a basso costo? Chi permette a qualsiasi persona assolutamente ignara della differenza tra un cookie e una thumbail di duplicare, convertire, riversare, trasmettere dati di ogni genere?
La realtà è che il popolo del Peer to Peer sta in mezzo ad un universo senza nessuna coordinata fissa, che è quello della grande industria della tecnologia. Un universo fatto di imperi in guerra tra loro, di industrie che corrono a velocità interstellari cercando il sorpasso degli avversari giorno per giorno.
Questa industria ormai ci offre di tutto e di più, e ciò che è realmente competitivo è ciò che è gratuito. Noi che stiamo in mezzo a questi avvenimenti, semplicemente usiamo e consumiamo ciò che ci è più conveniente. Infatti è letteralmente esilarante osservare che mentre le case produttrici di software rilasciano i loro prodotti in versione crittografata (ossia con un linguaggio inintelleggibile per l'uomo) altre case mettano sul mercato – anche a pagamento! - dei software “decompilatori”, cioè programmi che servono proprio per rendere leggibili e modificabili i primi.
Non ci sono scusanti a questo punto: il Grande Fratello del copyright ha definitivamente perso la sua battaglia, è destinato a scomparire perché, mi sembra, che sua esistenza non sia più conveniente neppure all'industria in genere.
 

 
 
 
 
 

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