agli incroci dei venti agli incroci dei venti agli incroci dei venti

 
 
 
 
 
 

Fare domande:

c’è forse qualcosa di più americano?
di Michael Moore
libera traduzione di Arianna Ballotta
 

 
 

New York – Da ragazzino adoravo la bandiera americana. Organizzavo parate patriottiche e costringevo le mie sorelle minori a marciare con me su e giù per il marciapiede sventolando la bandiera, soffiando in un fischietto e recitando il Pledge of Allegiance [giuramento di fedeltà alla bandiera, N.d.T.] fino al punto che le mie sorelle, sfinite, mi scongiuravano di lasciarle tornare a giocare coi loro tegamini.
Adoravo cantare l’inno nazionale. Vinsi anche un premio in un contesto letterario dal titolo “cosa significa per me la bandiera americana”. Decoravo la mia bicicletta con piccole bandiere americane in occasione della parata del 4 luglio e una volta anche per quelle decorazioni vinsi un premio. Diventai un Eagle Scout [il brevetto Eagle Scout dei Boy Scouts of America viene firmato dal Presidente degli Stati uniti d'America, N.d.T.] e con orgoglio promisi di fare il mio dovere e onorare Dio e il mio Paese. Ogni anno chiedevo di poter essere io a portare e piantare la bandiera sulla tomba di mio zio, paracadutista caduto durante la seconda guerra mondiale. Mi fu insegnato ad ammirare il suo sacrificio e crescendo speravo di poter fare anche io la mia parte, così come aveva fatto lui, affinché il mio Paese potesse restare libero.
Al liceo, però, le cose cambiarono. Nove ragazzi della mia scuola tornarono in bara dal Vietnam. Sopra ad ogni bara c’era la bandiera americana. Sapevo che anche loro si erano sacrificati, ma non si trattava di un sacrificio per il Paese: erano stati mandati a morire da uomini che avevano loro mentito. Anche quegli uomini – presidenti, senatori, funzionari governativi – si erano avvolti nella bandiera americana nella speranza che li avrebbe protetti e che nessuno avrebbe mai posto loro domande in merito alle loro menzogne. Utilizzarono la stessa bandiera che aveva coperto le bare di tanti miei amici e vicini di casa.
Smisi di cantare l’inno nazionale alle partite di football e smisi di esporre la bandiera americana. Mi rendo conto soltanto ora che non avrei dovuto smettere.
Da troppo tempo abbiamo lasciato la nostra bandiera in mano a coloro che la vedono come un simbolo di guerra e dominio, come un modo per mettere a tacere i dissidi interni. Vediamo bandiere sventolare sul retro dei SUV [Sport Utility Vehicles, meglio noti in Italia come gipponi, N.d.T.], sugli edifici delle concessionarie di automobili, sulle finestre delle aziende di ogni genere e le troviamo stampate come decorazioni sulla carta dei fast-food e dei ristoranti. Queste bandiere recano messaggi: “siete con noi o contro di noi!”, “forza, avanti!”, “attenzione a ciò che dici, attenzione a ciò che fai”.
Coloro che fuggivano con la bandiera ora la usano come arma contro coloro che si interrogano sulla strada intrapresa dall’America. Questo mi fa venire in mente quella famosa foto del 1976 di un tizio che a Boston protestava contro il trasporto di ragazzi in scuole pubbliche di altri quartieri per favorire l’integrazione razziale, il quale voleva conficcare nel petto del primo uomo nero che incontrava l’asta che teneva in mano sulla quale sventolava una bandiera americana. Questi cosiddetti patrioti tenevano la bandiera ben stretta nelle loro mani e, in posa minacciosa, pretendevano che non venissero loro fatte domande. Coloro che parlavano chiaro a scuola venivano evitati o presi di mira e agli Oscar venivano fischiati.
La bandiera è diventata una museruola, un pezzo di stoffa ficcato in bocca a coloro che osano fare domande.
Credo che sia giunta l’ora che coloro che amano questo Paese – e tutto ciò che dovrebbe rappresentare – si riapproprino della propria bandiera e la tolgano a chi la usa unicamente allo scopo di calpestare i diritti e le libertà della gente, sia qui che nel resto del mondo. Dobbiamo riappropriarci del vero significato che ha l’essere un americano orgoglioso.
Se siete fra quelli che sono d’accordo con ciò che il Presidente Bush ha fatto per questo Paese e ritenete di dover seguire il Presidente in tutto ciò che fa per meritare la vostra bandiera, dovreste porvi alcune domande difficili su quanto davvero siete fieri e orgogliosi dell’America nella quale viviamo ora:

- siete fieri del fatto che uno ogni sei bambini in America vive in povertà?
- Siete fieri del fatto che 40 milioni di adulti americani sono analfabeti?
- Siete fieri del fatto che la maggior parte dei posti di lavoro creati oggigiorno sono pagati al minimo e persino al di sotto del minimo salariale?
- Siete fieri di chiedere ad altri americani come voi di vivere con 5,15 dollari all’ora?
- Siete fieri del fatto che secondo un rapporto della National Geographic Society l’85% degli adulti americani non è in grado di trovare l’Iraq su una carta geografica e che l’11% non riesce a trovare neanche gli Stati Uniti d’America?
- Siete fieri del fatto che il resto del mondo, che tanto ci ha aiutato dopo l’11 settembre, ora ci guarda con sdegno e disgusto?
- Siete fieri del fatto che circa 3 miliardi di persone di questo pianeta non ha accesso all’acqua potabile nonostante esistano le risorse e la tecnologia necessarie per rimediare a questo immediatamente?
- Siete fieri del fatto che il nostro Presidente ha mandato i nostri soldati a combattere una guerra che nulla ha a che fare con la difesa del Paese?

Se queste cose rappresentano cosa vuol dire essere americani oggi – e io sono americano – è forse necessario ch’io nasconda il viso per la vergogna? No. Al contrario, è mia intenzione fare ciò che ritengo mio dovere come patriota. Non mi viene in mente nient’altro di più americano che porre domande – e pretendere risposte vere – quando il nostro leader vuole mandare i nostri figli a morire in guerra.
Se non lo facciamo – ed è il minimo – per coloro che si offrono di proteggere il nostro Paese, allora tradiamo loro e noi stessi. Loro sono disposti a morire per noi, se necessario, affinché noi si possa essere liberi. Tutto ciò che chiedono in cambio è che non li mandiamo a combattere a meno che non sia assolutamente necessario. E con questa guerra abbiamo tradito la fiducia delle nostre truppe mandandole a morire per ragioni sbagliate ed immorali.
Questo è lo stato di vera disgrazia nel quale viviamo attualmente. Spero che un giorno sapremo ricompensare questi ragazzi coraggiosi (e i riservisti e la Guardia Nazionale). Meritano delle scuse, meritano il nostro grazie – e un aumento – e meritano una grande parata con tante bandiere.
Vorrei condurla io quella parata, vorrei poter portare la bandiera più grande. E vorrei che il Paese dichiarasse che mai più ricorrerà alla guerra a meno che non sia l’unica e sola cosa da fare.
Creiamo un mondo nel quale quando la gente vede le stelle e le strisce pensi a noi come al popolo che ha portato la pace nel mondo, che ha creato posti di lavoro giustamente retribuito per tutti i cittadini, che ha fatto sì che tutto il mondo abbia a disposizione acqua potabile.

Nell’attesa di quel giorno, oggi espongo la mia bandiera, con orgoglio e speranza.

(Fonte: Los Angeles Times, 4 luglio 2004)
 

 
 
 
 
 

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