|
|
|
|
|
Il
popolo del volontariato
di
Vincenzo Andraous |
|
|
Negli anni
che sono corsi via mi sono chiesto tante volte quale sia la
spinta che fa muovere il mondo del volontariato, quale il
propulsore che rende instancabile il volontario che opera in un
Istituto Penitenziario, in una Comunità o in una mensa per
poveri.
Mi sono domandato qual è il sentimento che fa pedalare queste
persone verso l’altro sconosciuto, indifferentemente dalla fede
che ognuno professa e dagli errori che mordono le carni e
rendono velati gli occhi, anche quelli più belli.
Sbaglierò, ma essere parte di questo volontariato sta a
significare non solo il buon sentimento cristiano, il carico di
opere che implode e esplode per non rimanere prostrati
comodamente di fronte alla Croce, forse è qualcosa di più
potente ancora, che appunto non conosce nemicità, disconoscendo
qualunque prigione dell’indifferenza.
Tanti movimenti differenti per colore, per numero, ma identici
nei tanti uomini che sanno interessarsi, che si soffermano, che
indugiano rischiando la sorte, ciascuno legato alla propria
fatica e al proprio sacrificio nel tentativo di dare e
riconsegnare dignità a chi non ha più neppure Dio alla finestra.
Molteplici gruppi e associazioni, operano su fronti perennemente
avversi, in terre di nessuno, dove il modo migliore per
risolvere un problema, è ignorarlo.
Penso davvero che il fare volontariato sottoscriva un confronto
che non viene mai meno, che diventa a sua volta portatore di
idee nuove, di intuizioni ben al di là delle proposte, quindi è
sinonimo di quel miglioramento che è possibile attraverso gli
obiettivi comuni quando sono chiari, e l’agire comune come
conseguenza delle competenze e dei ruoli ben definiti.
Quel che voglio dire è che un volontariato forte in quanto
interlocutore credibile, non s’accontenta di supplire ai vuoti
istituzionali, perché è consapevole di essere custode di
un’attenzione sensibile, non accudente-assistenzialista, ma
portatrice di energie sufficienti a spostare le assi di
coordinamento sociale, proprio per non mantenere e rafforzare i
meccanismi obsoleti, o peggio inumani, di una qualsiasi
sopravvivenza.
Ci sono aree profonde che ci sottendono, e forse sono queste le
strutture portanti del nostro divenire, nonostante le banalità
devastanti che ci portiamo dentro, che esprimiamo nei contrasti
personali e sociali che ci piegano, è proprio questa solidarietà
costruttiva che ci permette di dare voce alle nostre angosce e
disperazioni, nelle tante miserie che ci fanno sentire
completamente abbandonati a noi stessi.
E in questo malessere, il volontariato occupa gli spazi del
dolore cambiandone la storia, fin’anche la propria storia
personale, dove ogni uomo è persona, in quanto tutti simili,
perfino chi ha dimenticato la pietà per lunghi periodi.
|
|
|
|
|
|
|