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Visto che
viviamo in un mondo nel quale i settori “di punta” dell'economia
si sono orientati verso i beni immateriali, che per giunta
l'industria elettronica riesce a mettere sul mercato una serie
infinita di strumenti per l'esecuzione, la duplicazione e la
manipolazione di questi beni immateriali, e che – come molti
guru della new economy hanno detto non molto tempo fa – abbiamo
varcato la soglia che separa la società dell'economia di
produzione dalla società dell'economia dei servizi, giungiamo
alla conclusione che per i settori di nostro interesse il
concetto di “proprietà” stia cadendo in uno stato di
obsolescenza accelerata; se proprio una nuova geografia tra i
beni gratuiti e quelli a pagamento si vuole ridisegnare, questa
va fatta a partire dal concetto di «accesso al servizio».
Resta tuttavia da spiegare come mai, pur con tutti i limiti e le
falsità, in questo periodo case editrici di beni culturali e le
loro associazioni di categoria stiano attuando una politica di
feroce persecuzione contro chi scambia a titolo gratuito
materiale coperto dal Diritto d'Autore.
Essi chiamano questa caccia alle streghe “tutela dell'Autore”;
insomma vogliono dirci che lo fanno per proteggere un sistema
che garantisce una vita dignitosa sia alla grande Star che allo
sconosciuto Ghost-Writer. Però gli unici dati precisi che sono
riuscito a reperire (annata del 1996) ci dicono che con quasi
4.100 iscritti alla SIAE e un utile netto di oltre 143 miliardi
di lire (di allora), l'81% degli autori ha ricevuto in un anno
meno di 50.000 lire.
Il dato è impietoso: di diritto di autore non ci si vive.
Soprattutto se si pensa che nel 1996 per associarsi alla SIAE si
spendevano 150mila lire all'anno. Non solo poi la SIAE e la FIMI
prendono denaro dai loro iscritti, ma ne rastrellano in quantità
esorbitanti per qualsiasi cosa (il barbiere con la televisione
nel suo negozio paga il canone alla RAI e una tassa alla SIAE),
ora la domanda è: cosa ci fanno con questi soldi?
Dopo che la torta sia stata divisa tra SIAE, case editrici,
grandi artisti e artisti miserabili, da onesto cittadino illuso,
credo che questa “istituzione pubblica” che si prende dei soldi
da me, qualcosa mi dovrà ridare indietro. Mi aspetterei
spettacoli gratuiti, iniziative culturali, soldi agli enti
locali (che so per le biblioteche), ma sfortunatamente ogni
volta che vedo i loro loghi è perché devo pagare.
Non contento di questa impressione vado a visitare i siti web di
SIAE e FIMI. Trovo di tutto, ma neppure una pagina che mi
racconta delle loro iniziative pubbliche.
Allora a cosa serve il Diritto di Autore? A San Remo? Per me
consumatore è solo un'ingiusta gabella, per l'industria mondiale
è solo un perverso meccanismo di tutela degli eccessi di
posizione dominante.
Il Diritto di Autore poteva essere anche una norma giusta,
quando svolgeva la funzione di impedire la concorrenza sleale,
ma ora che senso ha più? Ora che la maggioranza dei
“trasgressori” è gente normale che utilizza il bene-comune
internet senza fine di lucro, è giusto che queste persone
vengano perseguitate? Non è quindi il momento per gli artisti e
le persone che svolgono un lavoro creativo in genere che
ripensino in modo sostanziale alla forma del loro lavoro?
Questi soggetti oggi quando scelgono di proteggere le loro
produzioni con il copyright sperano di aumentare i loro introiti
grazie ai crediti. Ma questa speranza che essi siano musicisti o
programmatori informatici o qualsiasi altro tipo di lavoratore
difficilmente viene realizzata. Per i grandi artisti questa
condizione vale di più che per gli altri; non si aumentano gli
incassi e le vendite con il Diritto di Autore – perché chi
acquista i loro CD, li acquista a prescindere – anzi, chi tra
questi è voluto uscire allo scoperto denigrando i “cracker” che
copiavano i loro dischi, si sono trovati di fronte a vendette
informatiche, come la cantante Madonna il cui sito web fu
attaccato, riempito di immagini dileggianti e trasformato in un
server di download gratuito del suo repertorio musicale, senza
contare l'ovvio calo di popolarità, che è stata la perdita
maggiore.
Io credo che queste persone debbano riflettere profondamente sul
significato del loro lavoro, che è produrre «opere di ingegno»
ed «esecuzioni virtuose», e poi iniziare a pensare che se sono
ricchi e famosi è perché sono bravi a fare il loro mestiere. E
se uno è un buon cantante, un ottimo programmatore o uno
scrittore con stile, può pretendere il suo giusto compenso, e
chiunque sarebbe lieto di darglielo, senza ai ferri di una
grande azienda che sfrutta e non dà che le briciole.
Conclusione
Quando ho iniziato a scrivere questo breve saggio mi sono
animato di tutta la mia tensione morale in forza dell'altissimo
valore che ripongo nella libera circolazione delle idee e della
cultura.
Al momento di concludere mi accorgo di non aver detto nulla di
nuovo sull'argomento, rispetto agli scritti che ho consultato e
ai ricordi delle conversazioni fatte con persone molto più
esperte di me. Molte questioni le ho trattate per così dire con
“l'accetta”, molte altre le ho appena nominate. Ma è stato
giusto fare così; non era mia intenzione scrivere un articolo
tecnicamente preciso e aggiornato sull'open source né una
analisi giuridica del copyleft.
Allo stesso modo durante la scrittura mi sono lasciato
trascinare spesse volte dall'ironia e dal gusto per lo
sberleffo. Ciò è stato intenzionale, l'ho fatto per cercare di
trasmettere al lettore che ha a cuore la libertà di sapere e di
acculturarsi una serie di sensazioni positive.
Infatti ho letto alcuni articoli sull'argomento che dopo aver
fatto il quadro della situazione e criticato chi si accanisce
contro la libertà della cultura, terminare sempre con frasi
incerte e orizzonti confusi.
Quindi ho voluto scrivere un testo aggressivo soprattutto per
dare coraggio a tutte quelle persone che si spaventano delle
prese di posizione di governanti e compagnie dello spettacolo.
In molti dopo la notizia del “Decreto Urbani” mi hanno cercato,
telefonato, mandato e-mail e messaggi su ICQ, eran tutti
abbastanza preoccupati, se non spaventati.
Questo testo è per loro, per dirgli che bisogna combattere le
battaglie giuste senza paura alcuna. Io dal canto mio ho fatto
davvero poco di “creativo”. Ho semplicemente ripreso i vari
punti della materia e li ho disposti in modo particolare, dando
maggior risalto agli elementi tecnologici e sociali, sperando di
far capire che la Proprietà Intellettuale se non proprio
“dissolta” dal mutamento della società, può essere contrastata
efficacemente dalla volontà degli uomini di essere liberi.
Molti a questo punto si domanderanno come fare. Innanzitutto io
credo che si debba rifuggire dalle suggestioni che l'opera di
critica del copyright può fornire a chiunque. Riflettendo con
attenzione possiamo notare come la forma di controllo che il
potere può attuare sulla persona si manifestano soprattutto come
sorveglianza del traffico su internet degli utenti. In altri
termini il Grande Fratello vorrebbe spiare ogni nostra
navigazione, e-mail e scambio di frasi in chat. La prima
reazione che si può avere di fronte a questo è la ribellione
individuale per la difesa della propria privacy tramite le leggi
attuali esistenti.
Un atteggiamento all'«americana» che non conviene dato che
sarebbe sempre il piccolo uomo contro la grande multinazionale,
dato che anche negli USA si iniziano ad emettere le prime
condanne contro i privati cittadini.
Questo argomento è meglio affrontarlo ponendolo come diritto
sociale, costituendosi cioè non come privati cittadini ma come
pezzi interi di società che si alza in piedi contro il potere e
reclama la libertà e la democrazia.
La strategia di lotta è semplice e facile da attuare. È semplice
come è facile oggi accedere liberamente a qualunque prodotto
culturale: basta comunicare, scambiare, associarsi, costruire
comunità.
THEforg3
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