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Ma il Diritto d'Autore a chi conviene?
 

di Patrizio Agostinelli

 

 
 

Visto che viviamo in un mondo nel quale i settori “di punta” dell'economia si sono orientati verso i beni immateriali, che per giunta l'industria elettronica riesce a mettere sul mercato una serie infinita di strumenti per l'esecuzione, la duplicazione e la manipolazione di questi beni immateriali, e che – come molti guru della new economy hanno detto non molto tempo fa – abbiamo varcato la soglia che separa la società dell'economia di produzione dalla società dell'economia dei servizi, giungiamo alla conclusione che per i settori di nostro interesse il concetto di “proprietà” stia cadendo in uno stato di obsolescenza accelerata; se proprio una nuova geografia tra i beni gratuiti e quelli a pagamento si vuole ridisegnare, questa va fatta a partire dal concetto di «accesso al servizio».
Resta tuttavia da spiegare come mai, pur con tutti i limiti e le falsità, in questo periodo case editrici di beni culturali e le loro associazioni di categoria stiano attuando una politica di feroce persecuzione contro chi scambia a titolo gratuito materiale coperto dal Diritto d'Autore.
Essi chiamano questa caccia alle streghe “tutela dell'Autore”; insomma vogliono dirci che lo fanno per proteggere un sistema che garantisce una vita dignitosa sia alla grande Star che allo sconosciuto Ghost-Writer. Però gli unici dati precisi che sono riuscito a reperire (annata del 1996) ci dicono che con quasi 4.100 iscritti alla SIAE e un utile netto di oltre 143 miliardi di lire (di allora), l'81% degli autori ha ricevuto in un anno meno di 50.000 lire.
Il dato è impietoso: di diritto di autore non ci si vive. Soprattutto se si pensa che nel 1996 per associarsi alla SIAE si spendevano 150mila lire all'anno. Non solo poi la SIAE e la FIMI prendono denaro dai loro iscritti, ma ne rastrellano in quantità esorbitanti per qualsiasi cosa (il barbiere con la televisione nel suo negozio paga il canone alla RAI e una tassa alla SIAE), ora la domanda è: cosa ci fanno con questi soldi?
Dopo che la torta sia stata divisa tra SIAE, case editrici, grandi artisti e artisti miserabili, da onesto cittadino illuso, credo che questa “istituzione pubblica” che si prende dei soldi da me, qualcosa mi dovrà ridare indietro. Mi aspetterei spettacoli gratuiti, iniziative culturali, soldi agli enti locali (che so per le biblioteche), ma sfortunatamente ogni volta che vedo i loro loghi è perché devo pagare.
Non contento di questa impressione vado a visitare i siti web di SIAE e FIMI. Trovo di tutto, ma neppure una pagina che mi racconta delle loro iniziative pubbliche.
Allora a cosa serve il Diritto di Autore? A San Remo? Per me consumatore è solo un'ingiusta gabella, per l'industria mondiale è solo un perverso meccanismo di tutela degli eccessi di posizione dominante.
Il Diritto di Autore poteva essere anche una norma giusta, quando svolgeva la funzione di impedire la concorrenza sleale, ma ora che senso ha più? Ora che la maggioranza dei “trasgressori” è gente normale che utilizza il bene-comune internet senza fine di lucro, è giusto che queste persone vengano perseguitate? Non è quindi il momento per gli artisti e le persone che svolgono un lavoro creativo in genere che ripensino in modo sostanziale alla forma del loro lavoro?
Questi soggetti oggi quando scelgono di proteggere le loro produzioni con il copyright sperano di aumentare i loro introiti grazie ai crediti. Ma questa speranza che essi siano musicisti o programmatori informatici o qualsiasi altro tipo di lavoratore difficilmente viene realizzata. Per i grandi artisti questa condizione vale di più che per gli altri; non si aumentano gli incassi e le vendite con il Diritto di Autore – perché chi acquista i loro CD, li acquista a prescindere – anzi, chi tra questi è voluto uscire allo scoperto denigrando i “cracker” che copiavano i loro dischi, si sono trovati di fronte a vendette informatiche, come la cantante Madonna il cui sito web fu attaccato, riempito di immagini dileggianti e trasformato in un server di download gratuito del suo repertorio musicale, senza contare l'ovvio calo di popolarità, che è stata la perdita maggiore.
Io credo che queste persone debbano riflettere profondamente sul significato del loro lavoro, che è produrre «opere di ingegno» ed «esecuzioni virtuose», e poi iniziare a pensare che se sono ricchi e famosi è perché sono bravi a fare il loro mestiere. E se uno è un buon cantante, un ottimo programmatore o uno scrittore con stile, può pretendere il suo giusto compenso, e chiunque sarebbe lieto di darglielo, senza ai ferri di una grande azienda che sfrutta e non dà che le briciole.

Conclusione
Quando ho iniziato a scrivere questo breve saggio mi sono animato di tutta la mia tensione morale in forza dell'altissimo valore che ripongo nella libera circolazione delle idee e della cultura.
Al momento di concludere mi accorgo di non aver detto nulla di nuovo sull'argomento, rispetto agli scritti che ho consultato e ai ricordi delle conversazioni fatte con persone molto più esperte di me. Molte questioni le ho trattate per così dire con “l'accetta”, molte altre le ho appena nominate. Ma è stato giusto fare così; non era mia intenzione scrivere un articolo tecnicamente preciso e aggiornato sull'open source né una analisi giuridica del copyleft.
Allo stesso modo durante la scrittura mi sono lasciato trascinare spesse volte dall'ironia e dal gusto per lo sberleffo. Ciò è stato intenzionale, l'ho fatto per cercare di trasmettere al lettore che ha a cuore la libertà di sapere e di acculturarsi una serie di sensazioni positive.
Infatti ho letto alcuni articoli sull'argomento che dopo aver fatto il quadro della situazione e criticato chi si accanisce contro la libertà della cultura, terminare sempre con frasi incerte e orizzonti confusi.
Quindi ho voluto scrivere un testo aggressivo soprattutto per dare coraggio a tutte quelle persone che si spaventano delle prese di posizione di governanti e compagnie dello spettacolo. In molti dopo la notizia del “Decreto Urbani” mi hanno cercato, telefonato, mandato e-mail e messaggi su ICQ, eran tutti abbastanza preoccupati, se non spaventati.
Questo testo è per loro, per dirgli che bisogna combattere le battaglie giuste senza paura alcuna. Io dal canto mio ho fatto davvero poco di “creativo”. Ho semplicemente ripreso i vari punti della materia e li ho disposti in modo particolare, dando maggior risalto agli elementi tecnologici e sociali, sperando di far capire che la Proprietà Intellettuale se non proprio “dissolta” dal mutamento della società, può essere contrastata efficacemente dalla volontà degli uomini di essere liberi.
Molti a questo punto si domanderanno come fare. Innanzitutto io credo che si debba rifuggire dalle suggestioni che l'opera di critica del copyright può fornire a chiunque. Riflettendo con attenzione possiamo notare come la forma di controllo che il potere può attuare sulla persona si manifestano soprattutto come sorveglianza del traffico su internet degli utenti. In altri termini il Grande Fratello vorrebbe spiare ogni nostra navigazione, e-mail e scambio di frasi in chat. La prima reazione che si può avere di fronte a questo è la ribellione individuale per la difesa della propria privacy tramite le leggi attuali esistenti.
Un atteggiamento all'«americana» che non conviene dato che sarebbe sempre il piccolo uomo contro la grande multinazionale, dato che anche negli USA si iniziano ad emettere le prime condanne contro i privati cittadini.
Questo argomento è meglio affrontarlo ponendolo come diritto sociale, costituendosi cioè non come privati cittadini ma come pezzi interi di società che si alza in piedi contro il potere e reclama la libertà e la democrazia.
La strategia di lotta è semplice e facile da attuare. È semplice come è facile oggi accedere liberamente a qualunque prodotto culturale: basta comunicare, scambiare, associarsi, costruire comunità.
 

THEforg3

 

 
 
 
 
 

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