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Ancora combattiamo per l’abolizione della pena capitale?

 

di Alessandra Ruberti
 

 
 

Ha ancora un senso combattere per l’abolizione della pena di morte nel mondo oggi? Ed è poi così terribile condannare a morte un individuo?
Nelle nostre case si è tornati a parlare di guerra, una guerra con dei confini mobili, ora in Afghanistan ora in IRAQ ora in Sudan ecc. E in questa guerra gli Stati Uniti e l’Europa sono coinvolti in prima persona. E’ difficile rispondere che la pena di morte è un’atroce violazione dei diritti umani quando si sono viste le immagini della decapitazione di un ostaggio civile e si sono sentite le sue urla. E’ difficile essere contrari alla pena di morte quando innanzi ai giudici siede un ex dittatore sanguinario come Saddam Hussein. E’ difficile non invocare la pena di morte quando si vedono le immagini del cratere lasciato dal camion bomba esploso nella caserma italiana di Nassyria e quando si vedono sfilare 19 bare di figli, padri, mariti, fratelli e fidanzati.
Eppure è proprio in periodi come questi che non bisogna farsi trascinare dalla vendetta e dalla violenza. Qualche anno fa si parlava del rischio di un nuovo medioevo e non si era ancora verificato l’attentato dell’11 settembre. Oggi più che mai si rischia un imbarbarimento dei costumi e dunque è ancora necessario tornare alla legge, alle regole del vivere civile, al controllo dell’odio e della violenza.
La pena di morte deve continuare ad essere vista come una delle purtroppo numerose violazioni dei diritti umani e deve essere combattuta in Occidente come nei Paesi del Terzo Mondo e nei Paesi dove viene applicata la Sharia. Se un tempo poteva valere il discorso del rispetto del relativismo culturale, oggi come oggi, con la globalizzazione imperante in tutti i campi (compreso quello pacifista), uno Stato non può chiamarsi fuori dal consesso delle nazioni “altre”, non può stipulare trattati commerciali e poi respingerne i richiami al rispetto dei diritti umani (vedi la Cina). Ovviamente occorrerebbe che il richiamo venisse fatto da Stati che poi rispettano quegli stessi diritti…E’ per questo che l’opinione pubblica americana si è scandalizzata per quanto è accaduto nella prigione di Abu Ghraib: proprio gli americani che erano andati in IRAQ per portare la democrazia si erano macchiati di un crimine così disgustoso come quello della tortura dei prigionieri! Eppure, per chi si oppone alla pena capitale e conosce il sistema carcerario americano non è stata una triste scoperta, piuttosto è stata una conferma: gli americani hanno esportato in IRAQ una parte del loro stesso sistema.
La COALIT, la cui priorità è quella di difendere i diritti umani sempre e comunque, ritiene che la morte come pena non possa essere accettata, mai. Ecco perché continua a lottare per ottenere l’abolizione di questa pratica ovunque nel mondo.


Coalizione Italiana contro la Pena di Morte
www.coalit.org

 
 
 
 
 

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