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"Non dovevamo"

di Ghismunda

   
   

 

Atomica

Cosa pensa uno che sta per uccidere centinaia di migliaia di persone?
Cosa sente nell’attimo infinitesimale che lo separa dal premere il pulsante che sgancerà la bomba?
Siccome poi preme quel maledetto pulsante, e uccide, penso che non pensi nulla. Normale “lavoro”, puntuale esecuzione del proprio “dovere”, ligio rispetto degli “ordini”.
Oppure no, pensa, ma sarebbe meglio non pensasse. Almeno per me. Perché, visto che preme quel maledetto pulsante, e uccide, se pensa, può solo pensare che sta facendo una cosa nobile e giusta, eroica, in nome, che so, della patria, della guerra, della pace, della gloria, del coraggio, dell’amore, della vita, dell’umanità, dell’amore… Non ha pareti o limiti l’immenso deposito della Retorica Contraddizione, costruito dagli uomini di tutti i tempi come riserva infinita di alibi e sgravio di coscienze.
D’altra parte è solo così che si può sopravvivere alla devastante consapevolezza, che prima o poi arriva, magari in un momento inaspettato di folgorante illuminazione, di aver ucciso 70mila persone. Uomini al lavoro, donne al mercato, bambini a scuola. Ignari. Innocenti.
Si sopravvive, dicevo, o con l’incoscienza o come ha fatto Charles W. Sweeney, il pilota morto in questi giorni, che il 9 agosto 1945, all’età di 25 anni, sganciò la bomba su Nagasaki: con un convincimento forte, una motivazione, una fede, un’ideologia, una spiegazione ufficiale reputata indubitabilmente vera. Sacrosanta. In questo caso che la bomba atomica fosse necessaria per porre fine al secondo conflitto mondiale e risparmiare tante altre vite umane. Americane, ovviamente.
Ci abbiamo creduto. All’inevitabilità della terra bruciata per sempre, alla necessità della radioattività diffusa di cadaveri e corpi deformi. Abbiamo fatto rassicuranti confronti e tenuto una precisa contabilità mortuaria: le vittime di Hiroshima e Nagasaki non superano, in fondo, quelle del bombardamento di Dresda o di Tokyo. Ridimensionare per accettare l’inaccettabile.
Ma c’è chi non l’ha fatto. Ad esempio l’americano John Rawls, il più importante filosofo della politica del Novecento. Ha sempre sostenuto che il bombardamento con ordigni incendiari delle città giapponesi iniziato nella primavera del 1945, così come il successivo attacco atomico contro Hiroshima del 6 agosto, furono dei gravissimi torti e che sia giusto considerarli così. Essi violano quei principi che secondo Ralws debbono regolare la guerra per i popoli democratici.
Nella conduzione della guerra, una società democratica deve operare un'attenta distinzione fra tre gruppi: i governanti e i funzionari dello Stato, i soldati e la popolazione civile. Il motivo di questa distinzione poggia sul principio di responsabilità: dal momento che lo Stato contro cui si combatte non è democratico, non possono essere stati i civili di quella società ad organizzare e condurre la guerra. Sono stati i suoi governanti e i suoi funzionari, con assistenza di altre élite che controllano l'apparato dello Stato e ne costituiscono il personale operativo. Sono loro i responsabili, loro hanno voluto la guerra e, proprio per averlo fatto, sono dei criminali. Non così i civili, spesso mantenuti nell'ignoranza e influenzati; dalla propaganda di Stato. E questo vale anche se alcuni civili erano meglio informati e magari hanno sostenuto la guerra entusiasticamente…
Quanto ai soldati, essi - proprio come i civili, e ad esclusione degli ufficiali di grado superiore - non hanno la responsabilità della guerra, ma vengono arruolati o costretti in altro modo a parteciparvi, e il loro patriottismo è spesso sfruttato con crudeltà e cinismo.
[…]
Una società democratica decente deve rispettare i diritti umani dei membri della parte avversa, sia civili che militari, per due ragioni.
La prima consiste nel semplice fatto che essi sono titolari di tali diritti in base al diritto dei Popoli.
L'altra è che il contenuto di tali diritti va insegnato ai soldati e ai civili nemici tramite l'esempio del proprio comportamento.

[…]
L'ideale dell'uomo di Stato è riassunto nel detto "l'uomo politico pensa alle future elezioni, l'uomo di Stato alle future generazioni". È del resto compito degli studiosi di filosofia esaminare le condizioni permanenti e gli interessi reali di una società democratica giusta e buona. Ma è nello stesso tempo compito dell'uomo di Stato distinguere queste condizioni e interessi; nella pratica, l’uomo di Stato vede più a fondo e più lontano di molti altri e coglie ciò che occorre fare. L'uomo di Stato deve capire, almeno per l'essenziale, le cose come stanno e attenersi saldamente alla comprensione così raggiunta. Washington e Lincoln erano uomini di Stato. Bismarck no. Egli non seppe vedere gli interessi reali della Germania abbastanza avanti nel futuro, e il suo giudizio e le sue motivazioni; furono spesso distorti; dai suoi interessi di classe e dal suo desiderio di essere lui e lui solo il cancelliere tedesco.
Gli uomini di Stato non sono per forza altruisti, e possono anche coltivare interessi personali, mentre sono in carica, ma debbono essere equilibrati nei giudizi e nelle valutazioni degli interessi della società e non lasciarsi trascinare, specie in tempi di guerra e di crisi, da passioni come la vendetta e la ritorsione contro il nemico…
Per molti aspetti Truman è stato un buon Presidente, a volte ottimo. Ma il modo in cui ha posto fine alla guerra ha dimostrato il suo fallimento come uomo di Stato. Per lui è stata un'occasione perduta, così come è stato un danno per i1 paese e per le sue forze armate. A volte si è detto che porre in questione il bombardamento di Hiroshima è un insulto alle truppe americane che hanno combattuto la guerra. Ciò è di difficile comprensione. Dopo cinquant'anni, dovremmo poter volgere lo sguardo al passato e anche considerare quali sono stati nostri errori.
"
John Rawls, Hiroshima, non dovevamo, Donzelli ed.
La bomba atomica non è stato l’ultimo atto della seconda guerra mondiale, ma nella sua reale natura di dimostrazione di potenza, monito ed avviso lanciato all’ “alleato” sovietico, si può considerare l’atto di nascita di una nuova guerra, già iniziata nel ’45 prima ancora che finisse quella guerreggiata: la guerra fredda.
A farne le spese, presenti e future, l’intera popolazione di due città.


Pubblicato in La voce di Ghismunda

   
   
   

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