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Come si può
raccontare la vita di persone costrette a sottostare a un regime
totalitario, senza libertà, solo oppressione e paura ?
Si può descrivere nei fatti, portando testimonianza. O si può svolgere
una grande metafora, evocare in racconto i sentimenti provati più che le
vicende vissute. Lo svolgimento non sarà letterale, ma ne acquisterà la
forza dell’espressione e l’invenzione simbolica.
Questo riesce meravigliosamente a Agota Kristof nella ‘Trilogia della
città di K’.
Agota Kristof è ungherese di nascita, svizzera di residenza, francese di
lingua. Ha abbandonato l’Ungheria nel 1956 e nella ‘Trilogia’ interpreta
le costrizioni e l’oppressione della prima parte della sua esistenza. Nè
i luoghi né il tempo delle vicende sono rintracciabili nei racconti, ma
i significati sono riconducibili all’essenza dell’estraniamento e del
dolore.
Linguaggio rapido, senza abbellimenti, con una capacità di interpretare
la realtà che dà la misura dell’arte del raccontare di questa giovane
scrittrice. Fa toccare con mano quanto la metafora sia la chiave della
grande letteratura.
Agota Kristof
Trilogia
della città di K
Einaudi.
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