|
La poesia di Alba
Beccaria viene a galla soltanto adesso, nel periodo successivo alla
morte dell’autrice, avvenuta nell’estate del 2003. L’editore Campanotto
affronta questa operazione meritevole, sostenuto dal critico Giorgio
Barberi Squarotti, che del volume, intitolato “CONCERTO”,
ha scritto la lunga prefazione. Il libro intenderebbe fornire, della
poetessa piemontese, una congrua porzione della sua opera in versi ; una
sorta di “canzoniere”, la redazione giornaliera della storia minuta e
minuscola di una persona e di una famiglia.
Dice bene il prefattore quando definisce questo tipo di poesia come un
fulgido esempio di “testimonianza di straordinaria verità, ///, la
raccolta complessiva di versi che rivela una grandezza poetica
insospettata e inattesa, ...”.
Squarotti, quando scrive di critica letteraria, va preso sul serio: egli
ci invita a seguirlo nell’impresa, e lo fa in modo paritario e senza
nessuna supponenza accademica. Io ho voluto viaggiare con lui intorno a
questo
CONCERTO e ben
presto mi sono riconosciuto soggiogato dal “fascino situazionale” dei
testi, degni di una penna di prim’ordine.
Un fattore valutativo salta subito agli occhi : Alba Beccaria è divisa
tra due felici confini, entro i quali oscilla in modo scaltro ; quello
riflessivo e quello narrativo. Ella storna con intelligenza la propria
attenzione dal primo, insidioso terreno, che, se nutrito più del
necessario, rischia di trasformare l’inventiva in “mera idea”, in
pesante concettualismo. Ma l’autrice sa come comportarsi : a brevi cenni
didattico-memoriali (in vita era stata maestra elementare) velocemente
si “convoglia” in un suo narrare pieno di emotività e di autenticità
“geografica”. Le micro
prose poetiche, quelle che per lo più parlano della sua città, della
campagna natia e della sua regione, sono assolutamente esemplari. La
Beccaria dice dell’uomo, della fauna e della flora ; allarga il suo
cuore nel battito altrui, siano gli altri gli individui, le bestiole
domestiche o le piante dei boschi di Liguria. E’ difficile trovare
apparentamenti, almeno nel campo della poesia. Alba, semmai, ha qualche
punto in comune con la prosa della Romano o della Ginzburg –autrici
dello stessa terra-. Condivide con questi due giganti della nostra
letteratura il medesimo “abbordo” alla vita giornaliera delle persone
comuni.
Un esempio lo si può notare nel seguente testo:
“Oggi guardo quasi con meraviglia la casa falso gotica / all’angolo di
corso Turati già corso Unione Sovietica / e mi chiedo perché tanto mi
piacquero quelle bifore e trifore / grigie finestre, e le cuspidi, e le
edicole sopra i cancelli / perfettamente inutili, o forse allusive ad un
gioco / di foreste e di simboli, schermi di un altro modo di esistere /
...”
Qui la poetessa affronta Torino con apparente, traboccante abbondanza di
termini ; ma bisognerebbe conoscere il capoluogo piemontese - certe sue
vie e case, tetre misteriose eleganti - per condividere l’uso molto
“plastico” di questo pezzo.
In altre pagine si può cogliere una metrica più rattenuta, un tipo di
dettato che si fissa su poche lunghezze, adottate in modo costante,
quasi con piglio maniacale, come il seguente testo, ricco di
otto-novenari :
Io penso in
versi. Rimane
un’eco della parola
che ho pronunciato o appena
pensato, un’eco che dura
nel tempo, ma alfine svanisce
lasciandomi come perplessa,
delusa ? sì, certo, delusa
come avviene per ogni cosa
che si perde : ogni inutile cosa
che pure ha abbellito la vita.
(Io penso in versi, pag. 89)
Comunque sia, la lingua usata dalla Beccaria è sempre elegante e pulita
; pensiero e sapienza di cuore flettono il lessico, ogni volta naturale
e mai falso.
Invecchiando
dimentico i nomi
ma non le emozioni dei nomi.
Dimentico i luoghi e i paesi
ma non le occasioni e gli amori
fuggevoli con le parole.
(...)
(pagina 34).
Poesia, quella trascritta, costruita mediante piccole architravi a nove
sillabe, a differenza invece di quella stampata a pagina 48, nella quale
Alba nuovamente si affida alla memoria e alle radici della propria
famiglia (invece che al puro “logos”) :
Mio padre a
settantotto anni raccolse
le mele rosse dall’albero, poggiato
coi piedi sulla scala a pioli, che mia madre
teneva, o forse no, perché non hanno
paura di cadere.
Mio padre sa
ancora salire su di un albero
a staccare le mele, e gli doleva
per quel furto di luce e di colore
ch’egli faceva all’albero, alla fine
della stagione.
E diceva
stasera per telefono : Se ci foste
stati, avreste fatto certo
una foto dell’albero. Era bello
e volevo aspettarvi. Ma se poi
non venivate, per qualcosa
che succedeva, sarebbe stato tardi
per cogliere le mele.
E’ probabile,
certo, qualche cosa
succede sempre. Le mele vanno colte
quando il tempo è maturo ;
già l’inverno è alle porte . La stagione
è finita.
(...)
La Beccaria affronta sovente il tema dell’ “ultima stagione”, ma dà
sempre l’impressione di non prendersi troppo sul serio. Lei definisce la
morte e il dolore con leggerezza, tanto essi sono inevitabili.
Preferisce piuttosto avvolgersi sulla nostalgia, rendendo ancor più
memorabile il titolo di un libro di ricordi di Simone Signoret “La
nostalgia non è più di moda”.
Ma è l’ironia, appena colta nel suo farsi, la cifra costante di questa
raccolta. Un segno peculiare è il testo di pagina 173, che qui
riportiamo :
All’irreparabile non c’è riparo
né riparazione possibile.
Se amate qualcuno fategli festa
potrebbe essere chiamato altrove
e andarsene senza commiato
senza commiato e senza grida
senza avvertimento né presagi.
E dopo che ogni cosa è compiuta, dopo che i giochi d’artificio si sono
spenti, questa signora piemontese, elegante e moderata, riprende i suoi
scampoli di storia giornaliera, rimette in tasca i lacerti della sua
Torino - nonché le sue “rotture sintattiche”, tanto naturali da apparire
sotto tono - e se ne va, augurandosi di essere ricordata come un
minuscolo ed icastico menestrello di tutta una “vita qualunque”.
Alba Beccaria
CONCERTO
Campanotto Editore, 2004.
pp. 180.
Prefazione di Giorgio Barberi Squarotti.
Pubblicato in
La
costruzione del verso & altre cose, 12 agosto 2004 |
|