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La storia di un
ebreo libico che nel 1967 è stato costretto, insieme a molti altri
ebrei, a lasciare la Libia appena "conquistata" dal giovane Colonnello
Muhammar Gheddafi. Ha una soluzione per arrivare alla pace fra ebrei e
arabi. Lui è un testimone di pace.
"Per un rifugiato, la fuga non rappresenta solo la perdita di beni
materiali, ma quella della propria identità" sono le parole pronunciate
da David Gerbi, un rifugiato ebreo libico. Nel raccontare il suo dramma,
Gerbi, affronta diverse problematiche. La sua testimonianza storica è
molto importante.
Lui, David Gerbi nel 1967 è costretto all’esilio insieme ad altre
migliaia di ebrei. In quell’anno prende il potere, con un colpo di
stato, il Colonnello Muhammar Gheddafi. Ha dodici anni quando parte da
Tripoli con destinazione Catania. I bagagli sono stracolmi, quasi
esplodono. Il suo sguardo si orienta un po’ verso la poppa della nave,
che indica il luogo dove lascia la sua casa, e un po’ verso la prua,
verso la libertà, verso un Paese non ostile, l’Italia.
Attese, controlli e molte tappe sono i compagni di viaggio che lo
portano prima a Catania "Catania è stata la prima città straniera che ho
visitato" e poi a Roma "Dalla quale non mi sono più mosso". Ma si
ritiene fortunatissimo : "Chi è profugo è una vittima che non può
scegliersi un’identità, anzi deve subirla. Un profugo non ha nemmeno il
diritto di pensare di avere diritti." E continua : "Sono un profugo
fortunato rispetto agli oltre 14 milioni di profughi al mondo."
Per l’Unhcr, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati,
chi scappa ha il diritto ad un asilo sicuro. I rifugiati devono godere
di diritti fondamentali - libertà personale, di pensiero, di movimento -
e di diritti socioeconomici - assistenza sanitaria, diritto al lavoro,
diritto allo studio - almeno nella misura accordata agli stranieri
legalmente residenti sul territorio del paese d’asilo, e a volte in
misura paritaria a quella dei cittadini. Nei paesi dove lo stato non è
in grado di fornire assistenza, l’UNHCR provvede alle loro necessità. I
rifugiati hanno il dovere di conformarsi e rispettare le leggi del paese
d’asilo.
Inizia così un lungo e difficile percorso di vita per Gerbi culminato
con una visita, molti anni dopo l’esilio, nel suo Paese d’origine : la
Libia. Si perché David in Libia è tornato. Per pura casualità. Grazie
all’aiuto del consolato italiano a Tripoli. Stava cercando di ottenere
un attestato di nascita, quando è venuto a conoscenza che l’ultima ebrea
rimasta nella Libia del Colonnello era sua parente. Si sono subito
attivati i famigliari di Gerbi per poter tornare in visita a Tripoli.
Ci sono riusciti grazie appunto all’aiuto della diplomazia italiana e
della momentanea tolleranza del Colonnello Gheddafi. "Sono tornato nella
casa dalla quale ero scappato con le valigie di cartone. Sono tornato in
Libia." Ma non sono mancate le sorprese. Durante la sua visita a Tripoli
è tornano nei luoghi dove viveva. Ha rivisitato la casa dove abitava e
il negozio che era stato del padre abbandonato per la fuga. All’interno
del negozio (occupato da un trentennio ormai) un uomo. Arabo.
Nel suo sguardo il timore, la paura di dover restituire quelle quattro
mura invase, al legittimo proprietario. L’arabo infatti occupava i
luoghi che erano stati della famiglia Gerbi. Si capivano dallo sguardo i
sentimenti dell’arabo. Aveva negli occhi la stessa espressione del padre
di David nel momento in cui ha dovuto lasciare tutto e fuggire.
Espressioni di paura, di timore. Ma David Gerbi è un pacifista. La sua
storia è ben raccontata nel libro nato per dare anche una speranza di
Pace ai profughi di tutto il mondo. Il titolo del libro è "Costruttori
di Pace".
Secondo Gerbi la speranza di arrivare alla pace esiste. Dalle pagine web
del suo sito, spiega chiaramente come secondo lui arabi ed ebrei possano
iniziare un percorso di pace che li riporti a vivere insieme in pace e
armonia. A questo proposito lui si dice preparato a lasciare per primo
la sua parte dei beni di famiglia confiscati. La rinuncia reciproca,
sotto forma di sanatoria, potrebbe essere oggetto di negoziato
all’interno delle trattative di pace in Medio Oriente e, unita al pieno
riconoscimento dell’identità altrui, potrebbe portare una speranza di
pace concreta. "Quando ci sarà la pace in Medio Oriente, anche gli ebrei
come me potranno realizzare una possibilità di convivenza con il mondo
arabo da cui provengono".
"Allora anch’io potrò realizzare una nuova possibilità di pace con la
mia radice tripolina. Profughi ebrei e palestinesi, vittime di
ingiustizie e sofferenze, potrebbero così trasformarsi, grazie ad un
gesto generoso, in veri Costruttori di Pace."
David Gerbi, nato a Tripoli nel 1955, è psicoterapeuta analista
junghiano, riconosciuto rifugiato sotto il mandato dell’Alto
Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, oggi è cittadino
italiano. E’ membro del COMIN, Comitato di Informazioni e Iniziative per
la Pace. Dà a tutti con la sua testimonianza, sulle difficoltà e le
vicissitudini affrontate e sugli sforzi compiuti per ricostruirsi una
vita cominciando da zero, la visione storica di un evento.
David Gerbi
Costruttori di
pace
Storia di
un ebreo profugo dalla Libia
Edizioni Appunti di Viaggio. Roma, 2003 pp. 402
Pubblicato in:
Bellaciao 13 agosto 2004
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