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E’ questa la
domanda che si sono fatti tutti quando Ryan Matthews è uscito
innocente dall’aula del tribunale della Jefferson Parish in
Louisiana. Chi pagherà per i costosissimi avvocati e per i
cinque test del DNA? Chi pagherà per i sette anni passati nel
braccio della morte? Pagheranno i giurati, il giudice, il
procuratore e lo sceriffo? Chi sarà a pagare per la vita
spezzata di un ragazzo andicappato arrestato a 17 anni per la
sola colpa di essere nero?
Il 7 aprile del 1997 Tommy Vanhoose venne ucciso durante una
rapina. L’assassino fuggendo si tolse il passamontagna e si
gettò nell’auto del complice infilandovisi attraverso il
finestrino dello sportello di destra. Poche ore dopo due ragazzi
neri ritardati mentali di 17 anni vennero fermati dalla polizia.
Dopo sei ore di interrogatorio uno di loro, Travis Hayes, venne
“convinto” a dichiararsi colpevole e ad accusare l’altro, Ryan
Matthews, dell’omicidio.
Al processo (dove l’accusa era riuscita a togliere di mezzo
tutti i giurati neri tranne uno) nessuno fece caso alle
contraddizioni dei testimoni che dicevano essere l’assassino
alto 1 e 60, mentre Matthews è 1 e 80; come nessuno notò che il
finestrino di destra dell’auto dei due ragazzi era bloccato da
tempo. Nessuno poi si prese la briga di effettuare un test del
DNA sul passamontagna.
I processi americani normalmente durano poco e ai giudici non
piace perdersi in chiacchiere: così alle 10 di sera del secondo
giorno, invece che sospendere l’udienza il giudice ordinò alle
parti di fare le loro arringhe e spedì la giuria a deliberare.
Alle quattro e venti di notte i giurati lo avvisarono che non
erano in grado di raggiungere un verdetto, ma il giudice gli
impose di continuare la discussione: così che, alle cinque del
mattino, la giuria dichiarò Matthews colpevole di omicidio
capitale. In parole povere quel ragazzo venne condannato perché
i giurati erano esausti e volevano andare a dormire. Il 6 maggio
del 1999 Ryan venne spedito, in violazione di tutte le norme
internazionali, al patibolo.
Qualche tempo dopo si venne a sapere che un tizio, condannato a
vent’anni per avere sgozzato una donna, si vantava di essere
l’autore dell’assassinio per cui Matthews era stato condannato.
Ciò spinse il “Progetto Innocenza” di Barry Scheck a occuparsi
del caso e a dimostrare, grazie al DNA, che il passamontagna non
era stato indossato da Ryan.
Però ci volle lo stesso del bello e del buono per convincere la
Corte Suprema della Louisiana a riaprire il caso ordinando
un’udienza in cui si riesaminassero tute le prove. Da parte sua
il Procuratore della Jefferson Parish (quella in cui i
procuratori vanno in aula con cravatte su cui è stato disegnato
un cappio) fece di tutto per impedirla e ci sono voluti cinque
test consecutivi del DNA per avere ragione della sua
ostinazione.
Così, l’11 agosto, Ryan Matthews è diventato il 115esimo
condannato uscito dal braccio della morte e il 14esimo salvato
dal DNA. Ora si spera che anche Travis Hayes venga liberato
dalla prigione a vita (ottenuta testimoniando il falso contro
Matthews).
Seraficamente il Procuratore Paul Connick ha commentato il caso
spiegando che le indagini continuano, che Matthews è ancora un
sospettato, ma che il suo ufficio non è più in grado di provarne
la colpevolezza al di là di ogni ragionevole dubbio. Non ha
spiegato però cosa sarebbe successo se il vero colpevole non
fosse stato così stupido da gettare il passamontagna.
Comunque state tranquilli: nessuno pagherà per gli anni di
braccio della morte di Ryan Matthews. Non è mai successo prima e
non succederà nemmeno questa volta.
giusticlaudio@aliceposta.it
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