|
Qualche tempo addietro scrissi dei tanti suicidi e dei troppi silenzi
che circondano il carcere…Ricordo la risposta indifferente.
Mi sono chiesto spesso qual è il volto nascosto dietro le righe di una
notizia. Qual è il volto e la storia dell’ultimo uomo scivolato in
“SCACCO MATTO” in un carcere.
Quanto quest’ennesimo suicidio risarcisce in termini di umanità, al di
là della mera notizia?
Penso a quell’uomo, l’ultimo della serie che s’è impiccato o asfissiato.
A quel volto, a quel cappio al collo, e intravedo l’importanza di
demolire i ghetti mentali, di per sé espressione di quello spirito
umano… spesso incatenato.
Non conosco il volto strozzato in quel carcere, ma comprendo la
difficoltà dell’accettazione del dolore, il che in una parola
sottenderebbe assenza di saggezza.
So bene quant’è difficile agguantarne l’orma, e quanto a volte ciò
sembri lontano, sebbene così straordinariamente vicino, al punto da non
vederne neppure l’ombra.
In un carcere è difficile perforare quella superficialità che è corazza
a difesa, il “muro di niente” contro cui cozziamo e moriamo.
E’ davvero difficile raggiungere quella falda profonda a nome
interiorità, navigando tra anse e anfratti, scogli e derive per arrivare
a quell’essenza che può dirci di cosa siamo capaci, e addirittura
svelarci il significato da dare alla vita.
Nei riguardi del carcere non credo che tutto ciò che vi accade sia
arbitrario, illegale, ingiusto, forse è solo il risultato del nulla
prodotto, appunto, per mancanza di un preciso interesse collettivo o
meglio della sua comprensione sensibile.
Forse sarebbe il caso di ripensare davvero alla possibilità di un
carcere a misura di uomo, anche dell’ultimo degli uomini.
Perché in carcere, oltre alle ben note etichette, stigmatizzazioni e
umiliazioni, va di moda la flessibilità, non quella del lavoro né della
pena: umana, dignitosa, condivisa.
Si tratta di
flessibilità
nel risolvere i problemi endemici che soffocano l’ Amministrazione
Penitenziaria, la quale pare muoversi come la nostra evoluta società,
che cresce, si educa, si realizza pari passo con l’imbarbarimento dei
sentimenti e dei valori, scambiati per medaglie e successi da conseguire
a tutti i costi.
In galera ci si perde per sempre, perché è un
luogo separato
davvero,
da una società che corre all’impazzata al supermercato delle
suggestioni, degli ideali venduti a buon prezzo, della fede che non è
amore che libera, ma fatica di pochi momenti.
In carcere è morto un altro uomo? I mass-media hanno sparato a zero sul
sistema, hanno detto che si è suicidato, per l’invivibilità della
prigione, per il peso del proprio reato, per la solitudine imposta…..
Ho l’impressione che occorra quella coerenza che riporta al centro l’essere
umano, con
partecipazione per chi subisce il dolore dell’offesa tragica, e con
l’attenzione sensibile che non è accudente, né giustificante, ma un
preciso interesse collettivo, affinché l’uomo possa migliorare e
trasformarsi. |
|