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Sinistra radicale o solo Sinistra?
 

di Franco Ottaviano 

Presidente Casa delle culture di Roma

 
 

Il dibattito che si è sviluppato su IL MANIFESTO, a partire dall'intervento di Asor Rosa, suscita, in questi giorni, insieme alla molteplicità di suggestioni, perplessità e persino qualche fastidio.
I numerosi punti da approfondire si confondono con i distinguo più o meno esplicitati e con la riaffermazione di posizioni note. Invece che rispondere ai quesiti posti, sembra si tenti di spiegare - in uno sforzo giustificazionista - l'impossibilità di unire quel 15 per cento rappresentato dalla cosiddetta "sinistra radicale", già frammentato e che potrebbe ulteriormente disperdersi. Nonostante queste impressioni c'è da augurarsi che non resti uno dei tanti dibattiti estivi ma riesca a contribuire ad un salto di qualità reale nella complessa vicenda della "sinistra" italiana.
A giudicare dagli interventi ( e non solo ) allo stato sembra difficile pensare che dai partiti a sinistra della lista "Uniti per l'Europa" venga un contributo risolutivo in tal senso .
Il recente congresso dei Verdi si è pronunciato in modo contrario; Rifondazione più che l’unificazione di gruppi, movimenti , partiti , privilegia le convergenze su un programma alternativo; scarso credito riscuote la confederazione ipotizzata dai Comunisti italiani; “correntone" e area Salvi aspettano il congresso dei Ds; Occhetto sembra muoversi ancora nella speranza, poco convincente, di un indistinto "nuovo" Ulivo. Ne risulta una fotografia deludente sulle prospettive di quel 15 per cento che si vorrebbe e sarebbe necessario unire . Dunque se ne dovrebbe concludere che l'obiettivo di una ricomposizione della "sinistra radicale" non è nell'immediato praticabile. Pesano troppe divisioni , gli egoismi di parte, la difesa della propria esperienza e dei rispettivi posizionamenti. Si conferma la confusione denunciata nell’intervento di Asor Rosa. Eppure il tema esiste e non può essere eluso. Piuttosto che aspettare risposte dai partiti, sui cui stati maggiori nutro molto pessimismo, sposterei, l'accento sugli stati d'animo dei loro militanti e più ancora dell'elettorato che ha consentito la loro affermazione.

La mia impressione è che quel 15 per cento non esprime il successo delle posizioni politiche di quelle liste singolarmente prese, piuttosto riveli il malessere diffuso sulle scelte moderate e sulle implicazioni future dell'operazione "Uniti per l'Europa". Peraltro, al di là del giudizio sul suo 31 per cento, occorrerebbe riflettere su quanto esso indichi, più che una convinzione, la volontà di assestare un colpo visibile al governo di centrodestra che difficilmente poteva venire dalla frammentazione delle liste alla sua sinistra.

Queste considerazioni, insieme alla sfiducia sulla rigidità di appartenenze predeterminate , mi fanno ritenere che l'impegno principale di tutti coloro che auspicano una ricomposizione della sinistra della sinistra dovrebbe rivolgersi in direzione di un elettorato per così dire mobile, disponibile a farsi protagonista politico di una "nuova sinistra" e purtroppo oggi senza voce rispetto all'universo degli attuali partiti. Elettorato non passivo ma protagonista attivo e pensante delle mobilitazioni che si sono realizzate contro il governo di centrodestra e, non dimentichiamolo mai, per rivendicare un'altra politica delle opposizioni di centrosinistra, nessuna delle sue componenti esclusa, neppure Rifondazione. Una massa critica che ha assunto la contestazione dell'esperienza di governo ulivista come premessa della sua scesa in campo. Il significato di questa critica non è stato ancora colto in tutta la sua portata e neppure la novità rappresentata dall’incontro di movimenti già presenti da tempo e nuove soggettività . In particolare non sono stati esplorati i nessi che univano fra loro esperienze e ceti sociali tanto diversi e le loro implicazioni sul piano della ridefinizione di una nuova idea di sinistra. Nei vari interventi pubblicati molti di questi titoli sono stati enunciati: dalla pace ai diritti, dal lavoro alla partecipazione democratica, dalla critica al liberismo (che contiene elementi di critica delle attuali forme capitalistiche) alla riforma e trasparenza della vita pubblica. Tutto questo patrimonio fatto di nuova passione civile e spunti elaborativi non hanno trovato una forma politica adeguata . Tale non è la riposta ulivista (sia essa la federazione sia il partito riformista), tale non è il panorama destrutturato delle forze che non si riconoscono nelle sue scelte moderate e organizzative. Per questo, in una prospettiva ricompositiva, ritengo limitativo rivolgersi unicamente a quella che è definita, più o meno, propriamente " sinistra radicale". La geografia politica che ne scaturirebbe non sarebbe altro che una variante della logica delle due sinistre, oppure un aumento di capacità contrattuale nei confronti del moderatismo ulivista, di fatto - al di là di ogni affermazione - quasi legittimato a rappresentare (quanto meno sul piano della forza elettorale) il principale concorrente del centrodestra sul piano del governo del paese. L’ auspicata ricomposizione in un unico soggetto (certo non il vecchio modello di partito) ha senso e capacità espansiva se assunta come tassello di un'operazione più ambiziosa: il presupposto di una nuova “sinistra”, senza aggettivi. Inedita nei suoi confini culturali e politici, oltre i paradigmi fondativi che hanno contraddistinto la sua origine e storia. Nell’epoca della globalizzazione occorre una nuova narrazione e pratica della sinistra. Una ricostruzione che implica una scomposizione e trasformazione, anche dolorosa, di tutti i partiti che vi si richiamano. A conferma di ciò basta un esame attento dei loro statuti, delle loro diaspore interne, del disagio espresso da tanti dei loro iscritti, degli stessi difficili rapporti intrattenuti coi movimenti a cui pure si richiamano, non senza retorica e troppo spesso con discutibili tentazioni cooptative che ne compromettono l'autonomia. Nessuno di loro oggi ha capacità di egemonia su tale processo rifondativo e non può averlo perché mette in discussione tutti i loro atti di origine. Solo attivando una sinistra non imprigionata dalle vecchie appartenenze, estranea alle culture da ceto politico, è possibile costruire un percorso costituente autonomo anche se dialogante con l’ attuale geografia partitica. Dando vita ad un’ opinione pubblica di sinistra che agisca come strumento di pressione nei confronti di resistenze vecchie e nuove e capace di influire sui partiti, rendendoli sempre più consapevoli che se si non impegnano con coerenza nella costruzione di una sinistra nuova e unita il loro ruolo sarà residuale e dovranno accontentarsi dei loro magri risultati, se si fosse trattato di elezioni politiche il modesto risultato conseguito alle europee avrebbe consentito solo a Rifondazione di superare il quorum, esclusi Verdi, Comunisti italiani, per non parlare dell’esperienza di Occhetto. In gioco è il futuro stesso della sinistra.

Ha ragione Asor Rosa: ricerca di nuovi "fondamentali ". Una ricerca libera e a tutto campo, perché nel panorama esistente nessuna forza intellettuale, politica e di movimento nelle sue elaborazioni e nel suo agire politico ha dato prova da sola di saper disegnare un nuovo profilo identitario capace di evitare la sconfitta subita. Queste elezioni europee e amministrative sono un buon segnale ma ancora insufficiente . La sinistra italiana ha perso nel ‘94. Rispetto ad un paese sconvolto da tangentopoli, dalla crisi economica e di legittimità del sistema istituzionale non è stata in grado di offrire un’ alternativa e di guidare la cosiddetta transizione italiana . Nel ‘96 torna sulla scena solo in virtù di un'operazione di ingegneria elettorale, pasticciando fra accordo col centro moderato e desistenza con Rifondazione. Sul piano delle politiche non si è discostata dall'esperienze di governo avviate sin dal ‘92 da Giuliano Amato, non a caso ultimo presidente del consiglio di un ormai defunto Ulivo . Persino peggiorate se si guarda al fallimento dell’ operazione Bicamerale e alle scelte in politica estera e con la guerra nel Kosovo. (Mi scuso per lo schematismo).
Sono trascorsi quindici anni dall'89. L'anno che segnò l'inizio della fine del vecchio Pci. Rifondazione nata nel 92 in solo dodici anni ha già subito due scissioni. I Ds sono attraversati da una crisi politica rilevante, che solo residui di fedeltà e l'alibi rappresentato da Aprile, Correntone, area Salvi hanno trattenuto sul piano elettorale.

I vari movimenti che hanno avuto vita dopo a sconfitta del 2001 non sono inscrivibili solo nella categoria di " sinistra radicale", non si riconoscono in modo meccanico in Rifondazione, Verdi, Comunisti italiani , sinistra Ds. Il loro radicalismo è altro e scombina le loro tradizioni e culture politiche. Nello stesso tempo, in poliedrica diversità, contengono in nuce aspetti e vocazioni da nuova sinistra .Senza aggettivi. Una sinistra che pur raccogliendo parte dell’eredità dei partiti del vecchio movimento operaio non si identifica in quella storia, come non si identifica più nei labirinti della sinistra critica degli anni settanta ottanta, novanta. Genova, le mobilitazioni pacifiste, i tremilioni di persone del 23 marzo, il milione di piazza S. Giovanni , gli undici milioni di votanti per il referendum sull'estensione dell'articolo 18, il popolo di Scanzano, i lavoratori Di Melfi, i tanti protagonisti di conflitti, esperienze di partecipazione attiva, non esprimono voglie minoritarie che si accontentano del 15 per cento. Chiedono di più, chiedono che questa forza elettorale sia protagonista di una nuova stagione della sinistra. Occorre leggere non uno dei movimenti che si è sviluppato ma il loro insieme, i nessi che li uniscono nelle molteplici differenze. I contenuti della nuova politica sono dentro questo agitarsi di passione civile, di idee, di pratiche, di intrecci fra momento istituzionale e sociale. Per i partiti che vogliono essere sinistra della sinistra la sfida aperta consiste nella capacità di tradurre in programma, progetto, metodo, governo , le ansie partecipative e di rinnovamento di questo enorme e inesplorato campo di energie, non autoproclamandosi loro rappresentanti ma riconoscendone la politicità e i contenuti. Nell’impegno per dare forma alla critica al liberismo e ai suoi idola, senso al bisogno di democratizzare la democrazia, rappresentanza ai lavori, assumere il pacifismo integrale come bussola dei rapporti internazionali.
In una prova così ardua l'autoreferenzialità dei partiti, come dei singoli movimenti serve a poco. Occorre un terremoto politico culturale che può essere prodotto costruendo un vero e proprio "spazio pubblico" di sinistra, un "cantiere aperto", dove si misurino - senza pregiudizi e senza primati - tutte le potenzialità di una sinistra per molti aspetti ancora inespressa ma presente e operante nella società . Senza gerarchie di sorta. L'insieme della sinistra non si riconoscerà più in unico soggetto politico, il tempo del primato dei partiti è concluso, i partiti possono e debbono concorrere alla stregua di tante realtà in movimento. La "disobbedienza" fisiologica che percorre tutto il campo della sinistra, un tempo origine di scissioni insanabili, oggi è una ricchezza se diventa un insieme di autonomie collegate fra loro da una forte capacità progettuale e da una grande tensione ideale, dal comune impegno a costruire una sinistra che sia sinistra, oltre la vecchia diaspora riformismo - alternativismo. Una sinistra capace di essere autonoma e che non ha bisogno di metarforfizzarsi col centro per farsi governo . Non istituzionalizzandosi bensì facendosi promotrice di mutazioni profonde nella società tutta. Il tempo del "paese normale" (ma questo tempo è mai esistito ?) è finito, dopo il berlusconismo c'è bisogno di una trasformazione " radicale", questa sì , e non ci si può certo accontentare di "riformismi "deboli. La destra ci piaccia o no ha tentato, anzi sta ancora tentando , di fare la sua "rivoluzione" la sinistra nel suo insieme, nessuna delle sue componenti esclusa, deve fare la sua. Non bastano alchimie organizzative.
Intellettualità, personalità dei partiti, movimenti, singoli che sono interessati uniscano ciò che già si può unire, si confrontino sui contenuti , costruiscano e sperimentino nuove pratiche di agire sociale e politico, facciano tesoro del tanto che già opera e produce innovazione fuori dai clamori mediatici. Ognuno sulla base della propria collocazione generi la sua parte di costituente, cercando le necessarie relazioni d’insieme. Produca battaglia politico culturale nei confronti dei partiti ma sappia tagliare i ponti quando questo è necessario , come oggi sarebbe necessario per correntone e area Salvi. Se si milita in un partito moderato si può anche essere di sinistra ma di quel partito non certo di una nuova sinistra. Anche il tempo degli alibi è finito. Se questo processo costituente si avvierà, come si spera, nessun partito può rimanere uguale a se stesso e nessuno può nascondersi dietro regole, disciplina, tempi congressuali.
 

Testo integrale dell'articolo "Una «rivoluzione» senza aggettivi".

Pubbblicato da: il manifesto, 14 agosto 2004

 

Fonte: mailing List: Il Potere di tutti. Forlì, 22 agosto 2004

 

 
 
 
 
 

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