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Il dibattito
che si è sviluppato su IL MANIFESTO, a partire dall'intervento
di Asor Rosa, suscita, in questi giorni, insieme alla
molteplicità di suggestioni, perplessità e persino qualche
fastidio.
I numerosi punti da approfondire si confondono con i distinguo
più o meno esplicitati e con la riaffermazione di posizioni
note. Invece che rispondere ai quesiti posti, sembra si tenti di
spiegare - in uno sforzo giustificazionista - l'impossibilità di
unire quel 15 per cento rappresentato dalla cosiddetta "sinistra
radicale", già frammentato e che potrebbe ulteriormente
disperdersi. Nonostante queste impressioni c'è da augurarsi che
non resti uno dei tanti dibattiti estivi ma riesca a contribuire
ad un salto di qualità reale nella complessa vicenda della
"sinistra" italiana.
A giudicare dagli interventi ( e non solo ) allo stato sembra
difficile pensare che dai partiti a sinistra della lista "Uniti
per l'Europa" venga un contributo risolutivo in tal senso .
Il recente congresso dei Verdi si è pronunciato in modo
contrario; Rifondazione più che l’unificazione di gruppi,
movimenti , partiti , privilegia le convergenze su un programma
alternativo; scarso credito riscuote la confederazione
ipotizzata dai Comunisti italiani; “correntone" e area Salvi
aspettano il congresso dei Ds; Occhetto sembra muoversi ancora
nella speranza, poco convincente, di un indistinto "nuovo"
Ulivo. Ne risulta una fotografia deludente sulle prospettive di
quel 15 per cento che si vorrebbe e sarebbe necessario unire .
Dunque se ne dovrebbe concludere che l'obiettivo di una
ricomposizione della "sinistra radicale" non è nell'immediato
praticabile. Pesano troppe divisioni , gli egoismi di parte, la
difesa della propria esperienza e dei rispettivi posizionamenti.
Si conferma la confusione denunciata nell’intervento di Asor
Rosa. Eppure il tema esiste e non può essere eluso. Piuttosto
che aspettare risposte dai partiti, sui cui stati maggiori nutro
molto pessimismo, sposterei, l'accento sugli stati d'animo dei
loro militanti e più ancora dell'elettorato che ha consentito la
loro affermazione.
La mia impressione è che quel 15 per cento non esprime il
successo delle posizioni politiche di quelle liste singolarmente
prese, piuttosto riveli il malessere diffuso sulle scelte
moderate e sulle implicazioni future dell'operazione "Uniti per
l'Europa". Peraltro, al di là del giudizio sul suo 31 per cento,
occorrerebbe riflettere su quanto esso indichi, più che una
convinzione, la volontà di assestare un colpo visibile al
governo di centrodestra che difficilmente poteva venire dalla
frammentazione delle liste alla sua sinistra.
Queste considerazioni, insieme alla sfiducia sulla rigidità di
appartenenze predeterminate , mi fanno ritenere che l'impegno
principale di tutti coloro che auspicano una ricomposizione
della sinistra della sinistra dovrebbe rivolgersi in direzione
di un elettorato per così dire mobile, disponibile a farsi
protagonista politico di una "nuova sinistra" e purtroppo oggi
senza voce rispetto all'universo degli attuali partiti.
Elettorato non passivo ma protagonista attivo e pensante delle
mobilitazioni che si sono realizzate contro il governo di
centrodestra e, non dimentichiamolo mai, per rivendicare
un'altra politica delle opposizioni di centrosinistra, nessuna
delle sue componenti esclusa, neppure Rifondazione. Una massa
critica che ha assunto la contestazione dell'esperienza di
governo ulivista come premessa della sua scesa in campo. Il
significato di questa critica non è stato ancora colto in tutta
la sua portata e neppure la novità rappresentata dall’incontro
di movimenti già presenti da tempo e nuove soggettività . In
particolare non sono stati esplorati i nessi che univano fra
loro esperienze e ceti sociali tanto diversi e le loro
implicazioni sul piano della ridefinizione di una nuova idea di
sinistra. Nei vari interventi pubblicati molti di questi titoli
sono stati enunciati: dalla pace ai diritti, dal lavoro alla
partecipazione democratica, dalla critica al liberismo (che
contiene elementi di critica delle attuali forme capitalistiche)
alla riforma e trasparenza della vita pubblica. Tutto questo
patrimonio fatto di nuova passione civile e spunti elaborativi
non hanno trovato una forma politica adeguata . Tale non è la
riposta ulivista (sia essa la federazione sia il partito
riformista), tale non è il panorama destrutturato delle forze
che non si riconoscono nelle sue scelte moderate e
organizzative. Per questo, in una prospettiva ricompositiva,
ritengo limitativo rivolgersi unicamente a quella che è
definita, più o meno, propriamente " sinistra radicale". La
geografia politica che ne scaturirebbe non sarebbe altro che una
variante della logica delle due sinistre, oppure un aumento di
capacità contrattuale nei confronti del moderatismo ulivista, di
fatto - al di là di ogni affermazione - quasi legittimato a
rappresentare (quanto meno sul piano della forza elettorale) il
principale concorrente del centrodestra sul piano del governo
del paese. L’ auspicata ricomposizione in un unico soggetto
(certo non il vecchio modello di partito) ha senso e capacità
espansiva se assunta come tassello di un'operazione più
ambiziosa: il presupposto di una nuova “sinistra”, senza
aggettivi. Inedita nei suoi confini culturali e politici, oltre
i paradigmi fondativi che hanno contraddistinto la sua origine e
storia. Nell’epoca della globalizzazione occorre una nuova
narrazione e pratica della sinistra. Una ricostruzione che
implica una scomposizione e trasformazione, anche dolorosa, di
tutti i partiti che vi si richiamano. A conferma di ciò basta un
esame attento dei loro statuti, delle loro diaspore interne, del
disagio espresso da tanti dei loro iscritti, degli stessi
difficili rapporti intrattenuti coi movimenti a cui pure si
richiamano, non senza retorica e troppo spesso con discutibili
tentazioni cooptative che ne compromettono l'autonomia. Nessuno
di loro oggi ha capacità di egemonia su tale processo
rifondativo e non può averlo perché mette in discussione tutti i
loro atti di origine. Solo attivando una sinistra non
imprigionata dalle vecchie appartenenze, estranea alle culture
da ceto politico, è possibile costruire un percorso costituente
autonomo anche se dialogante con l’ attuale geografia partitica.
Dando vita ad un’ opinione pubblica di sinistra che agisca come
strumento di pressione nei confronti di resistenze vecchie e
nuove e capace di influire sui partiti, rendendoli sempre più
consapevoli che se si non impegnano con coerenza nella
costruzione di una sinistra nuova e unita il loro ruolo sarà
residuale e dovranno accontentarsi dei loro magri risultati, se
si fosse trattato di elezioni politiche il modesto risultato
conseguito alle europee avrebbe consentito solo a Rifondazione
di superare il quorum, esclusi Verdi, Comunisti italiani, per
non parlare dell’esperienza di Occhetto. In gioco è il futuro
stesso della sinistra.
Ha ragione Asor Rosa: ricerca di nuovi "fondamentali ". Una
ricerca libera e a tutto campo, perché nel panorama esistente
nessuna forza intellettuale, politica e di movimento nelle sue
elaborazioni e nel suo agire politico ha dato prova da sola di
saper disegnare un nuovo profilo identitario capace di evitare
la sconfitta subita. Queste elezioni europee e amministrative
sono un buon segnale ma ancora insufficiente . La sinistra
italiana ha perso nel ‘94. Rispetto ad un paese sconvolto da
tangentopoli, dalla crisi economica e di legittimità del sistema
istituzionale non è stata in grado di offrire un’ alternativa e
di guidare la cosiddetta transizione italiana . Nel ‘96 torna
sulla scena solo in virtù di un'operazione di ingegneria
elettorale, pasticciando fra accordo col centro moderato e
desistenza con Rifondazione. Sul piano delle politiche non si è
discostata dall'esperienze di governo avviate sin dal ‘92 da
Giuliano Amato, non a caso ultimo presidente del consiglio di un
ormai defunto Ulivo . Persino peggiorate se si guarda al
fallimento dell’ operazione Bicamerale e alle scelte in politica
estera e con la guerra nel Kosovo. (Mi scuso per lo
schematismo).
Sono trascorsi quindici anni dall'89. L'anno che segnò l'inizio
della fine del vecchio Pci. Rifondazione nata nel 92 in solo
dodici anni ha già subito due scissioni. I Ds sono attraversati
da una crisi politica rilevante, che solo residui di fedeltà e
l'alibi rappresentato da Aprile, Correntone, area Salvi hanno
trattenuto sul piano elettorale.
I vari movimenti che hanno avuto vita dopo a sconfitta del 2001
non sono inscrivibili solo nella categoria di " sinistra
radicale", non si riconoscono in modo meccanico in Rifondazione,
Verdi, Comunisti italiani , sinistra Ds. Il loro radicalismo è
altro e scombina le loro tradizioni e culture politiche. Nello
stesso tempo, in poliedrica diversità, contengono in nuce
aspetti e vocazioni da nuova sinistra .Senza aggettivi. Una
sinistra che pur raccogliendo parte dell’eredità dei partiti del
vecchio movimento operaio non si identifica in quella storia,
come non si identifica più nei labirinti della sinistra critica
degli anni settanta ottanta, novanta. Genova, le mobilitazioni
pacifiste, i tremilioni di persone del 23 marzo, il milione di
piazza S. Giovanni , gli undici milioni di votanti per il
referendum sull'estensione dell'articolo 18, il popolo di
Scanzano, i lavoratori Di Melfi, i tanti protagonisti di
conflitti, esperienze di partecipazione attiva, non esprimono
voglie minoritarie che si accontentano del 15 per cento.
Chiedono di più, chiedono che questa forza elettorale sia
protagonista di una nuova stagione della sinistra. Occorre
leggere non uno dei movimenti che si è sviluppato ma il loro
insieme, i nessi che li uniscono nelle molteplici differenze. I
contenuti della nuova politica sono dentro questo agitarsi di
passione civile, di idee, di pratiche, di intrecci fra momento
istituzionale e sociale. Per i partiti che vogliono essere
sinistra della sinistra la sfida aperta consiste nella capacità
di tradurre in programma, progetto, metodo, governo , le ansie
partecipative e di rinnovamento di questo enorme e inesplorato
campo di energie, non autoproclamandosi loro rappresentanti ma
riconoscendone la politicità e i contenuti. Nell’impegno per
dare forma alla critica al liberismo e ai suoi idola, senso al
bisogno di democratizzare la democrazia, rappresentanza ai
lavori, assumere il pacifismo integrale come bussola dei
rapporti internazionali.
In una prova così ardua l'autoreferenzialità dei partiti, come
dei singoli movimenti serve a poco. Occorre un terremoto
politico culturale che può essere prodotto costruendo un vero e
proprio "spazio pubblico" di sinistra, un "cantiere aperto",
dove si misurino - senza pregiudizi e senza primati - tutte le
potenzialità di una sinistra per molti aspetti ancora inespressa
ma presente e operante nella società . Senza gerarchie di sorta.
L'insieme della sinistra non si riconoscerà più in unico
soggetto politico, il tempo del primato dei partiti è concluso,
i partiti possono e debbono concorrere alla stregua di tante
realtà in movimento. La "disobbedienza" fisiologica che percorre
tutto il campo della sinistra, un tempo origine di scissioni
insanabili, oggi è una ricchezza se diventa un insieme di
autonomie collegate fra loro da una forte capacità progettuale e
da una grande tensione ideale, dal comune impegno a costruire
una sinistra che sia sinistra, oltre la vecchia diaspora
riformismo - alternativismo. Una sinistra capace di essere
autonoma e che non ha bisogno di metarforfizzarsi col centro per
farsi governo . Non istituzionalizzandosi bensì facendosi
promotrice di mutazioni profonde nella società tutta. Il tempo
del "paese normale" (ma questo tempo è mai esistito ?) è finito,
dopo il berlusconismo c'è bisogno di una trasformazione "
radicale", questa sì , e non ci si può certo accontentare di
"riformismi "deboli. La destra ci piaccia o no ha tentato, anzi
sta ancora tentando , di fare la sua "rivoluzione" la sinistra
nel suo insieme, nessuna delle sue componenti esclusa, deve fare
la sua. Non bastano alchimie organizzative.
Intellettualità, personalità dei partiti, movimenti, singoli che
sono interessati uniscano ciò che già si può unire, si
confrontino sui contenuti , costruiscano e sperimentino nuove
pratiche di agire sociale e politico, facciano tesoro del tanto
che già opera e produce innovazione fuori dai clamori mediatici.
Ognuno sulla base della propria collocazione generi la sua parte
di costituente, cercando le necessarie relazioni d’insieme.
Produca battaglia politico culturale nei confronti dei partiti
ma sappia tagliare i ponti quando questo è necessario , come
oggi sarebbe necessario per correntone e area Salvi. Se si
milita in un partito moderato si può anche essere di sinistra ma
di quel partito non certo di una nuova sinistra. Anche il tempo
degli alibi è finito. Se questo processo costituente si avvierà,
come si spera, nessun partito può rimanere uguale a se stesso e
nessuno può nascondersi dietro regole, disciplina, tempi
congressuali.
Testo integrale
dell'articolo "Una «rivoluzione» senza aggettivi".
Pubbblicato da: il
manifesto, 14 agosto 2004
Fonte: mailing List:
Il Potere di tutti. Forlì, 22 agosto 2004 |
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