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La morte del Papa,
enfatizzata dalle televisioni in queste giornate d’inizio aprile, in
versione “Grande fratello”, ci invita inevitabilmente a riflettere sul
ruolo e sull’influenza che i potenti, hanno sulla società.
Si deve però aggiungere che tale influenza è soprattutto mediata dalle
“immagini” che vengono elaborate, studiate e prodotte non certo a caso
ma con minuzia e ripetutamente proposte dalle tv al fine di produrre
quella necessaria suggestione capace di smuovere ai massimi livelli il
sentimento popolare.
E’ solo grazie alla tv che oggi siamo in grado di far diventare
“Campioni” e dunque “Eroi” per esempio alcuni calciatori dilettanti che
prima di passare sul “tubo catodico” godevano di ben più magra fama.
Sappiamo bene che lo stesso Papa, appena scomparso, Giovanni Paolo II,
sia stato artefice della propria popolarità in virtù della sua stessa
capacità, di attirare su di sé il potere comunicativo dei mass media.
Dovremmo chiederci: sarebbe stata, la sua popolarità, così grande, senza
la moltitudine delle immagini che ci hanno accompagnato durante il suo
pontificato?
Si può facilmente rispondere a questa domanda aggiungendo che, in una
situazione come quella contemporanea di neo-analfabetismo e dunque in un
momento in cui ciò che più d’ogni altra cosa conta, è apparire, di certo
le immagini hanno un’importanza determinante.
Rimanendo all’interno dello scenario mass-mediatico che si è attualmente
avvinghiato intorno agli episodi scaturiti dalla morte del Papa, si può
dire che produce su noi spettatori, più comunicazione la forma del volto
(la maschera-icona) di Giovanni Paolo II, che affacciatosi alla finestra
nell’estremo tentativo non riuscito di parlarci, più di quel che invece
avrebbe voluto o potuto dirci.
E le sue mani che battono a tempo l’intonazione dei cori dei ragazzi,
nell’incontro coi giovani, nella spianata di Tor Vergata, hanno molta
più capacità espressivo-comunicativa, di qualsiasi altro argomento
discorsivo.
In epoche passate, questo ruolo così coercitivo nei confronti
dell’osservatore, occupato oggigiorno dalla tv, per commuoverci, farci
sorridere (o rincretinirci), spettava alle arti figurative.
Ecco perché i potenti dell’epoca chiamavano presso le loro corti gli
artisti più virtuosi; per far sì che essi realizzassero quelle opere che
avrebbero adempiuto al compito di “istruire” le masse.
Vediamo come ad esempio su richiesta dei propri committenti, durante il
‘500 due grandi artisti di “calibro”, quali Raffaello e Tiziano si
prodigheranno, previo compenso, per effigiare le diverse personalità di
due importanti eminenze dell’epoca.
Nel Ritratto di Leone X (1513-1521), con due cardinali (Olio su tavola,
1518-1519, Firenze Galleria degli Uffizi), Raffaello pone l’attenzione
sullo “status” del Papa, figlio di Lorenzo il Magnifico, sul ruolo cioè
di un personaggio di rango elevato, che in quanto tale sarebbe dovuto
apparire elegante, raffinato, intelligente.
Raffaello perciò dipinge quel Papa, seduto nel proprio studiolo con le
femminee mani posate sullo scrittoio.
Una delle due mani è posata su un prezioso codice miniato, l’altra
trattiene una pregiata lente d’oro.
Il Papa è qui dipinto in compagnia di due alti cardinali (eseguiti
probabilmente da aiuti del maestro).
Si tratta di suo cugino, Giulio de' Medici (futuro Papa Clemente VII)
posto con lo sguardo un po’ assente alla sua destra e di Luigi de' Rossi
che regge lo schienale della sedia.
Il Papa risulta con tutta evidenza, imponente, tanto da far sembrare i
cardinali un po’ fuori proporzione.
Il suo viso curato ha l’espressione di chi gode di necessaria agiatezza.
Lo sfondo è oscuro così che l’attenzione dell’osservatore sia rivolta al
personaggio principale elegantemente abbigliato: Camauro rosso, in
testa, Mozzetta in purpureo Ermellino a copertura delle spalle al di
sotto della quale trapela il candido ermellino damascato.
Certo, il rosso nelle disparate tonalità cangianti, è qui il colore
dominante.
Rosso è l’abito dei cardinali, così come la stoffa che copre la cattedra
e rossa è anche la sedia.
L’opera raffaellita è un omaggio a un Papa amante della cultura: egli
stesso gli avrebbe spalancato le porte della conoscenza nei confronti
della cultura classica.
In una chiave
espressivo-interpretativa diversa si pone invece il ritratto di Paolo
III Farnese (1534-1549) con i nipoti (1546, Olio su tela, Napoli, Museo
di Capodimonte), realizzato nel proprio soggiorno romano da Tiziano
Vecellio il quale porrà l’attenzione sulle trame di potere che si
aggiravano intorno al vecchio papa.
L’opera perciò ci appare meno “classica” e forse meno ossequiosa.
Intanto qui il Papa non è più così imponente ma si fa “piccolo” rispetto
agli ambigui nipoti (Alessandro in abiti cardinalizi ed Ottavio) che lo
circuiscono.
Entrambi sembrano tramare a suo discapito.
Anche qui il rosso domina, ma senza più la compostezza né l’eleganza
dell’opera raffaellita, da cui l’autore comunque sembra prendere spunto.
Il Papa anche qui é al centro dell’opera ma appare ridimensionato,
stanco e incurvato.
Il suo volto rimane però vispo e vigile e i suoi occhi si spalancano in
segno di rimprovero nei confronti di Ottavio che si prostra falsamente
sulla sua destra.
L’atmosfera che si crea risulta volutamente appesantita ed i drappi le
vesti e gli arredi non evidenziano più alcuna eleganza né maestosità.
Tiziano tratta il dipinto senza raffinatezza, risolvendo l’opera
tecnicamente con pennellate rapide, dal colore volutamente “sporco” che
amplificano le tensioni psicologiche dei tre personaggi.
Insomma due opere
quelle di Raffaello e Tiziano, che interpretano le importanti figure
papali di Leone X e Paolo III, con toni e con modi che oggi sarebbero
potuti andare in onda ma su differenti canali televisi.
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