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Quel pomeriggio di fine agosto, a Recife, si scatenò un temporale. Che
dico? Un nubifragio, un diluvio, un tifone, o quasi. La periferia della
metropoli diventò invisibile al di là dei finestrini del tassì che ci
portava all'aeroporto; sembrava di essere in un acquario, con la
differenza che gli acquari sono silenziosi e illuminati mentre qui il
maltempo ruggiva, anticipando una nerissima notte. "Graças a Deus"
mormorò piamente il tassista quando arrivammo al terminal.
La violenza del maltempo impediva i decolli, e le sale d'attesa, come
succede in quei casi, assunsero rapidamente l'aspetto di un bivacco
fumoso. Nonostante la pioggia incrudelisse, continuavano ad arrivare
passeggeri, e anche il chiasso andava crescendo. Una folta comitiva di
italiani era la maggior fonte di baccano. Guardandoli con antipatia, ci
accorgemmo che avevano una caratteristica particolare: non l'aspetto,
che era di persone qualunque di varia età, fra i 30 e i 60, piccola
borghesia, non il loro dialetto o accento, che erano quelli di lombardi,
di veneti e di toscani, ma il fatto che erano accompagnati da un gruppo
di ragazzine, quasi tutte in due pezzi : body e minigonne. Qualcuna
aveva gli occhi e le labbra truccate, ma la maggior parte non
nascondevano quello che erano: bambine di una decina d'anni o poco più.
Vestite com'erano, sembravano caricature delle "famose mulatte" del
Brasile.; ma più ricordavano, a me e a Clotilde, le nostre nipotine
quando si impossessano degli abiti delle madri e si pavoneggiano davanti
a uno specchio.
Queste bambine stavano in un gruppetto a parte, e si vedeva che erano
annoiate dell'attesa. Di quando in quando un italiano usciva dalla sua
cerchia e andava a parlare con qualcuna di loro. Rideva con lei, le
carezzava una guancia, le dava qualche festosa pacca sul sedere. La
verità era evidente. Ci venne da vomitare quando ci accorgemmo che
qualcuno di quegli allegri turisti si appartava con la "sua" bambina e
le parlava con affettuosa serietà, facendole la predica, come usano,
prima di partire per un lungo viaggio i papà o i nonni. Un famoso
giornalista brasiliano, Gilberto Dimenstein, che aveva dedicato due
approfondite inchieste al problema della prostituzione minorile, mi
aveva detto pochi giorni prima. "Le bambine mi hanno raccontato che il
"cliente" italiano, al momento culminante vuole essere chiamato papà".
Finalmente, con la stessa subitaneità con la quale si era avventato
sulla città, il temporale-diluvio se ne andò, e noi, richiamati dalle
incomprensibili voci vellutate delle hostess, marciammo verso i debiti
varchi. Perdemmo di vista i nostri connazionali, per grazia di Dio non
assistemmo ai loro congedi. Ben presto le luci furono spente nell'aereo,
ridotti a ombre i passeggeri. Rivedemmo i pedofili la mattina seguente.
Si salutarono garbatamente fra loro, evitando qualsiasi espressione di
complicità. Scendendo alla Malpensa, erano diventati onesti artigiani e
piccoli imprenditori, gradevoli persone di tutti i giorni, possibili
nostri condomini.
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Secondo i calcoli degli enti governativi brasiliani, e nonostante i loro
sforzi, 9 milioni di bambini sono praticamente randagi, nelle strade.
Molti vi vivono giorno e notte, sbrigativamente uccisi con tragica
frequenza da qualche poliziotto prezzolato dai commercianti infastiditi;
o trascinati negli orrendi carceri della Febem, l’ente che dovrebbe
garantire quello statuto ONU dei diritti dei bambini che il Brasile ha
inserito già nel 1990 nella propria costituzione. Almeno un quarto del
ragazzi brasiliani fra i 10 e i 14 anni lavora, sotto-pagato, in
mestieri pesanti e pericolosi, per non dire dei piccoli pushers o
manovali del crimine. Due città brasiliane, Fortaleza e Recife, sono
diventate capitali della pedofilia in America Latina: si calcola che i
bambini brasiliani coinvolti nella prostituzione siano 500 mila. I
"turisti sessuali" che arrivano ogni anno in Brasile, sono valutati in
700 mila; almeno 80 mila sono italiani.
La prostituzione infantile brasiliana non è certamente l'unica del
mondo. Tocca milioni di bambini e bambine in varie nazioni (dal
Guatemala ai paesi asiatici devastati dallo tsunami a quelli dell'Est
europeo), seguendo i confini dell'area della miseria. È un fenomeno non
recente. Ricordo che trent'anni fa, con Giuseppe Fiori, inserimmo in "Gulliver".
fortunata rubrica culturale televisiva. un'inchiesta sui postriboli
tailandesi. e rammento la faccia disperata di una ragazza riuscita a
fuggire da un bordello per "turisti" e a riparare in una organizzazione
cattolica: "Ho diciassetta anni e sono stata là dentro per quattro. Ho
calcolato che mi sono passati addosso più di 5 mila uomini. Ho schifo
del mio corpo". Negli ultimi tempi sembra che in Thailandia la
situazione sia un po' migliorata; ma certamente il fenomeno si è
aggravato su scala mondiale, a causa dell'aumento dei flussi turistici.e
della proliferazione di agenzie specializzate.
V'è di peggio. Per timore drll'AIDS, lo sfruttamento si dirige verso
bambini sempre più piccoli, ritenuti indenni dalla peste del secolo. Ha
detto a Dimenstein un trafficante di carne umana. "Basta che le bambine
pesino dai trenta chili in su".
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Le responsabillità italiane in questo autentico genocidio morale e
psichico sono così pesanti che un gruppo di organizzazioni
non-governative del nostro Paese, cui si sono associati enti pubblici e
privati ha deciso di lanciare il prossimo mese una "Campagna contro il
turismo sessuale". Si tratterà di lottare contro una psicologia razzista
che porta a ritenere meno gravi, meno delittuose, certe realtà soltanto
perchè pruducono sofferenze in luoghi lontani dal nostro Paese e
percepiti come "inferiori" dal punto di vista della civiltà, a causa
della diffusione della miseria; e anche si tratta, mediante il sostegno
di alcune realtà già esistenti in Brasile di rendere meno difficile alle
piccole prostitute l'allontanamento dalle strade della miseria.
Presentato al Forum mondiale di Porto Alegre (luogo adattissimo per un
battesimo di speranza) al progetto è stato garantito ogni appoggio da
Lula, che ha ringraziato i promotori con una lettera affettuosa.
In Italia, per fortuna, non si parte da zero. La sezione italiana di
ECPAT (una preziosa organizzazione internazionale fondata nel 1991) ha
già ottenuto alcuni grandi successi.. Con una vasta opera di
sensibilizzazione dell'opinione pubblica, è riuscita a far votare dal
Parlamento, nel 1998, una legge, assai severa, "contro lo sfruttamento
della prostituzione, della pornografia e del turismo sessuale a danno
dei minori, quali nuove forme di riduzione in schiavitù". Nel 2000, poi,
ha promosso un Codice di condotta dell'industria turistica italiana,
sottoscritto dalla stragrande maggioranza degli operatori..
Concentrarsi, adesso, su un solo Paese come il Brasile (in cui anche il
turismo "pulito" italiano non soltanto è presente ma lo è in grandi
numeri), consentirà di illustrare meglio le situazioni, di verificarne
la repressione, di dare nuovo impulso e maggiori informazioni, su questa
battaglia di civiltà. Chi si lamenta che non è possibile umanizzare la
globalizzazione ha un'opportunità per ricredersi.
(Per maggiori informazioni, visitare il sito
Stop
Sexual Tourism)
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Il 24 marzo si compiono venticinque anni dal martirio di monsignor
Romero.
Per "JESUS" (il mensile su cui tengo una rubrica) ho scritto:
Anno 1978. L'ambasciatore de El Salvador presso la Santa Sede è il
rampollo di una delle 16 famiglie che possiedono il piccolo stato. Abita
nel più lussuoso hotel di Roma. Ama ricevere eminenze, eccellenze,
personaggi vaticani. Offre liquori di gran marca e chiacchiere velenose:
oh, quell'arci-vescovo Romero! I suoi preti girano in sottana durante il
giorno, ma la notte si uniscono ai guerriglieri; fumano mentre celebrano
la messa; e poiché il vino, nel Salvador, è bevanda che i poveri non
possono permettersi, per pura demagogia consacrano il caffè. No, non
cattivo quel Romero, ma pronto a inalberarsi se gli sembra che il
governo indurisca la mano contro i terroristi, non cattivo, ma candido
come un ragazzo sprovveduto. Per dirla meglio, un povero sciocco
("Quanto mi duole, eminenza, parlare così di un vescovo!"), un povero
sciocco strumentalizzato dai comunisti…
Anche a certi vescovi quel confratello non piace. Chiesa e Stato
(dittatoriale) avevano un ottimo modus vivendi, monsignor Romero ha
rotto e rompe quei rapporti, allegando la necessità di difendere i
poveri: come se la Chiesa non l'avesse mai fatto, elemosinando dai
ricchi, per i campesinos, salari non di fame. Lui. invece, no: parla di
diritti, di giustizia Un gran rompiscatole, diciamolo pure: o, almeno,
un imprudente.
Già, imprudente! Ma, come ha scritto un suo amico, un altro vescovo
imprudente, dom Helder Camara, di Olinda e Recife, in Brasile, anche
monsignor Oscar Arnulfo Romero avrebbe potuto rispondere:
"La maggiore e più grave
delle imprudenze
è la propria prudenza, che si fida di sé,
si trasforma in calcolo
e prescinde dalle follie di Dio”.
Per le sue imprudenze, che consistono nell'accorrere là dove c'è stato
l'assassinio di un prete ("Haga patria, mata un cura: sii patriottico,
uccidi un prete" scrivono sui muri del Salvador gli squadroni della
morte) o s'è appena compiuto un eccidio di campesinos, o bisogna
ricomporre il cadavere di un uomo orribilmente torturato ma soprattutto
c'è da gridare forte contro la violenza generalizzata dei "corpi
speciali" sui poveri,. l'arcivescovo Romero viene ucciso venticinque
anni fa. il 24 marzo 1980, mentre celebra una messa vespertina. Il
giorno precedente, nella sua omelia domenicale, si è appellato ai
soldati perché non usino più le armi contro i poveri. I poveri che lo
avevano. "convertito", come lui diceva, con la loro inermità e la loro
fiducia, le loro disperate speranze, accorrono da tutte le parti del
Salvador. Non hanno dubbi, Romero è un santo, il loro santo. Lo sentono
ancora più loro quando, durante i funerali, gli squadroni della morte
sparano per ore sulla folla: sessanta morti, trecento feriti. Il governo
militare non interviene.
È un santo, è un martire monsignor Romero? I poveri non hanno dubbi, non
ha dubbi chi ricorda: il Concilio ha affermato che la Chiesa vede nei
poveri e nei sofferenti l'immagine del suo Salvatore, Ma ci sono
ambienti in cui stare con i poveri significa fare politica, stare con i
comunisti. La causa di beati-ficazione dell'arcivescovo avanza col passo
esitante dei vecchi molto vecchi. Mi dicono che ogni tanto qualche
campesino, dopo avere pregato davanti alla tomba di Romero, col taglio
della mano a coltello rimuove la polvere dalla lapide.
ettore masina
http://www.ettoremasina.it/
Note
L'editrice San Paolo ha
deciso di abbandonare la narrativa e di conseguenza di mandare al
macero, fra altre opere, il mio libro che io amo di più. "I gabbiani di
Fringen": cinque racconti lunghi o romanzi brevi, che si inanellano fra
loro, dando vita (hanno scritto i critici ) a un mondo magico, ricco di
emozioni. Ho riscattato alcune copie e le metto a disposizione di chi ne
vuole un esemplare. Se poi qualcuno crederà di inviarmi un rimborso
delle spese di spedizione (le calcolo in 5 Euro ), lo accetterò
volentieri: ma quel che mi preme è che il libro venga letto: e dunque
raccomando soprattutto ai giovani di non farsene un problema.
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