Il luogo: una identita’ reale e spirituale di Franca Mancinelli |
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In Luoghi del
Novecento. Studi critici su autori italiani (Marsilio, Venezia
2004), Alessandro Moscè si sofferma sull’esperienza di cinque
poeti-narratori (Cesare Pavese, Paolo Volponi, Tonino Guerra, Alberto
Bevilacqua, Umberto Piersanti) e l’interroga a partire dalle coordinate
spazio-temporali entro le quali la tensione immaginativa si colloca al
momento dell’elaborazione linguistica. Che cosa è “il luogo” di un
poeta? «L’unica possibile, riconoscibile fonte di ispirazione», così
scrive Pasolini nel ’56 in un suo intervento su Attilio Bertolucci. Uno
spazio concreto, riconoscibile, può acquisire una propria «identità
spirituale», a patto che «il circoscrivere la propria esistenza a un
luogo» divenga un «andare in profondità […] per arrivare a concepire
l’universale attraverso la concretezza di una situazione particolare»,
afferma Franco Scataglini in un’intervista rilasciata a Massimo Raffaeli.
Si è Residenziali e universali (con il titolo
dell’introduzione del volume di Moscè), quando la propria ricerca di
senso e di identità, radicandosi ad un luogo si ritrova a spaziare nel
cosmo, ad attingere ad un’inesauribile energia, tanto più quanto affonda
nel proprio humus. Un “luogo della poesia” potrebbe definirsi, sulla
scia del magistero leopardiano, una «piccola patria dell’infinito», così
scrive Moscè riferendosi in particolare ai poeti marchigiani, Volponi e
Piersanti.
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