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Scott Peterson,
l’uomo condannato [a morte] per l’omicidio di sua moglie, incinta, ha
ricevuto la sua prima proposta di matrimonio dopo appena un’ora dal suo
ingresso nel braccio della morte da parte di una donna che desiderava
diventare la signora Peterson.
Il giorno in cui Peterson è entrato nel braccio della morte di San
Quintino (California) il direttore del carcere ha ricevuto ben 3 dozzine
di telefonate da parte di donne che chiedevano l’indirizzo per poter
scrivere al famoso detenuto. Fra queste, una ragazza di appena 18 anni
ha anche detto di volerlo sposare.
Per quanto si sa, queste donne non conoscono davvero Peterson e, a
differenza di Laci Peterson, certamente non hanno mai trascorso del
tempo in sua compagnia, uno dei requisiti soliti per sposare una
persona. Tuttavia, secondo quanto asserito da esperti che seguono il
mondo dei condannati, questa cosa pare non avere alcuna importanza. Ciò
che conta è il fascino di sposare una persona famosa, nonostante il
fatto che questa persona finirà i suoi giorni con un ago infilato nel
braccio con l’approvazione dello Stato. Può essere pericoloso, ma –
d’altro canto – c’è anche una certa sicurezza: se le cose non
funzionano, la moglie può andarsene con molta tranquillità. “Amano la
notorietà”, dice Jack Levin, criminologo e direttore del Brudnick Center
on Violence presso la Northeastern University di Boston. Levin è
coautore del libro "Extreme Killing: Understanding Serial and Mass
Murder", che esamina, fra le altre cose, ciò che Levin definisce le
“killer groupie”. “Queste sono le stesse donne che amano corrispondere
con un cantante rock o un artista rap”, dice Levin. “Quando una di
queste donne scrive ad una rock-star, la cosa migliore che può sperare è
quella di ricevere un autografo su una fotografia. Quando, invece,
scrive ad un condannato a morte, è facile che riceva una proposta di
matrimonio”.
Altri, parlando delle potenziali mogli dei condannati a morte, lasciano
comunque il beneficio del dubbio. “Molte donne si impegnano davvero nel
caso del condannato e si convincono della sua innocenza”, sostiene Rick
Halperin, professore di storia presso la Southern Methodist University e
Presidente della Coalizione Texana per l’Abolizione della Pena di Morte.
“Molte pensano che il condannato non dovrebbe essere solo e anche se non
uscirà mai dal carcere, deve esserci qualcuno che lo sostiene”.
I matrimoni in carcere in California sono all’ordine del giorno.
Solitamente presso il carcere di San Quintino circa 20 detenuti si
sposano il venerdì di ogni mese pari e di solito fra questi 20 c’è un
condannato a morte. “I detenuti del braccio della morte hanno molte
pretendenti. Infatti, più il criminale è famoso, e più facile è per lui
trovare compagnia femminile”, dice il portavoce di San Quintino, Eric
Messick. “Basta prendere i 5 casi di maggior spicco qui dentro ed ecco
la risposta a chi sono i detenuti più famosi. Credo sia la pubblicità ad
attrarre le persone”.
Ogni giorno arrivano ai detenuti del braccio della morte lettere d’amore
provenienti da tutto il mondo, e alcune di queste sono scritte a mano e
lunghe fino a 20 pagine. Richard Allen Davis, l’uomo che, nel 1993, rapì
dalla sua casa di Petaluma la dodicenne Polly Klas e l’uccise è il
detenuto che “probabilmente riceve il maggior numero di lettere”, dice
MessicK. Richard Ramirez, il “cacciatore notturno” colpevole di aver
assassinato 13 persone e dedito al Satanismo, ha donne che virtualmente
gli si gettano ai piedi, nonostante il fatto che sia già sposato.
Secondo Messick, “il 99% della corrispondenza che giunge ai condannati è
scritta da donne”. Sembra non esserci lo stesso slancio da parte degli
uomini nei confronti delle donne condannate a morte. Nessuna delle 15
donne detenute nel braccio della morte di Chowchilla si è sposata in
carcere.
Moltissime delle donne che scrivono ai condannati a morte di San
Quintino sono inglesi o olandesi. L’interesse delle europee, secondo
Messick, probabilmente trova le sue radici nell’avversione dell’Europa
nei confronti della pena di morte, da cui nasce la simpatia nei
confronti di coloro che sono stati condannati a questa pena.
Ramirez sposò Doreen Lioy, editorialista freelance, nel 1996 dopo un
corteggiamento durato 11 anni, durante i quali lei gli inviò 75 lettere.
Una delle sue amiche disse, il giorno del matrimonio, che Ramirez era
attratto da Doreen perché lei gli aveva detto di essere vergine. Quando
parlarono delle fedi nuziali, Ramirez le disse “i satanisti non
indossano oro”. All’epoca Doreen Lioy si dichiarò “in estasi dalla
felicità”. Non siamo riusciti a contattarla per avere i sui commenti e
Messick ci ha detto di non vederla in carcere da molto tempo.
L’interesse di altre donne nei confronti di Ramirez continua ancora
oggi, nonostante “da quanto mi pare di capire, [Ramirez] non risponde
alle lettere con regolarità”, dice Messick. “Non è uno cui piace
scrivere lettere”.
Alcuni condannati a morte hanno incontrato le compagne della loro vita
in modi più mondani. Negli anni ’70 una donna che lavorava in un centro
per aiutare i tossicodipendenti di San Rafael visitò il braccio della
morte di San Quintino e fu affascinata da un detenuto che parlava di un
programma carcerario che aiutava i giovani a stare lontano dai guai. La
donna, che – per ragioni di privacy e di lavoro – non ha voluto rendere
noto il suo nome, nel 1977 sposò il detenuto, il quale era stato
condannato a morte per il rapimento e l’assassinio di un ragazzo di 21
anni dipendente di una stazione di servizio, anche se al momento in cui
la loro storia d’amore cominciò, la condanna a morte era stata commutata
in ergastolo. Numerosi giornali si occuparono del matrimonio e molte
furono le discussioni nei talk-show televisivi, durante i quali tutti si
domandavano cosa potesse spingere una donna a sposare un assassino
rinchiuso dietro le sbarre. “Perché?”, disse all’epoca la donna,
“l’amore. Lui era come il sindaco di San Quintino. Era coinvolto in
tutto. E anche io ho cominciato ad interessarmi a tutto ciò che aveva a
che fare con la prigione”. Lei e suo marito ebbero il diritto alle
visite coniugali, in quanto il detenuto non era più nel braccio della
morte. Era solita andarlo a trovare in carcere 2 o 3 volte ogni
settimana e questo durò 9 anni, cioè fino al 1985, quando lui fu
scarcerato. Per tutto quel tempo altre donne si erano messe in contatto
con lui e, secondo la donna, fra queste una cercava di entrare in
intimità con lui. Dopo il suo rilascio “ci siamo allontanati”, ha
dichiarato la donna, “e alla fine abbiamo divorziato”. In seguito lui si
è risposato e ora vive in un altro Stato. “In verità non si sa come
andranno le cose fino a quando non vivi con una persona, e fra di noi
non funzionò”, ha dichiarato l’ex moglie, la quale ancora considera l’ex
marito “un uomo insolito ed interessante, dotato di molto carisma”. “Non
ero affatto disperata. Io volevo lui a tutti i costi, perché mi piaceva,
mi sentivo attratta e volevo stare con lui in ogni modo possibile. E’
troppo difficile per me cercare di capire perché altre donne desiderano
sposare un detenuto”, ha dichiarato la donna, aggiungendo di aver
conosciuto altre donne sposate a condannati a morte e che alcune di
queste “sono andate giù di testa”. “Si sentivano attratte da uomini che
avevano commesso crimini orrendi, anche nei confronti di bambini”.
Una donna il cui marito si trova attualmente nel braccio della morte (la
quale non ha fornito il suo nominativo per paura di ripercussioni legali
sul caso del marito) ha detto di essersi sentita attratta dal detenuto,
diventato in seguito suo marito, ma che non aveva alcuna intenzione di
diventare l’amichetta di un detenuto. “Lui non cercava una moglie e io
non cercavo un marito”. La donna era già sposata, ma il matrimonio aveva
dei problemi. Il marito [detenuto], durante un’intervista dal braccio
della morte, ci ha detto: “quando è venuta qui per la prima volta e ci
siamo conosciuti, sicuramente eravamo attratti l’uno dall’altra, però io
le dissi ‘no, torna a casa e cerca di far funzionare il tuo matrimonio’”.
Ma lei in seguitò divorziò. “Mia moglie ed io non saremmo ancora sposati
dopo tanti anni se non ci fosse vero amore fra di noi”, ha dichiarato il
detenuto, pur ammettendo che quando un coniuge è in carcere e l’altro è
libero “è molto, molto difficile far funzionare le cose”.
Nessuno di questi matrimoni verrà mai consumato a meno che qualcuno dei
detenuti non esca dal braccio della morte. Ma non è sempre stato così.
Secondo Kay Bandell, infermiera e tutrice dei detenuti via
corrispondenza da oltre 30 anni, una volta nel braccio della morte di
San Quintino c’era un’area aperta per le visite. Per discutere di
questioni private le coppie si infilavano nella toilette delle donne ed
alcune avevano una sorta di gruppo all’esterno che le proteggeva mentre
facevano sesso. “Ora hanno visite con contatto (ma non visite coniugali)
che comunque si svolgono all’interno di “gabbie” sorvegliate da guardie.
Fanno sesso al telefono, sesso verbale. E anche le lettere forniscono
una sorta di intimità. Ma tutte queste forme non sono che un surrogato
di intimità. Non è come avere un rapporto fisico”.
Le regole a San Quintino sono diventate più rigide circa 4 anni fa dopo
un incidente verificatosi nella sala delle visite, nel corso del quale
una persona fu accoltellata.
Per alcune donne, il marito condannato a morte è “l’uomo cercato per
tutta la vita” e spesso si tratta di vite molto difficili. Sheila
Isenberg intervistò circa 30 donne sposate a condannati a morte per
scrivere il suo libro intitolato "Women Who Love Men Who Kill" [donne
che amano uomini che uccidono, N.d.T.] pubblicato nel 1991. “Moltissime
fra queste donne avevano subìto abusi nel corso della loro vita, da
parte dei genitori, del padre, del primo marito o del primo fidanzato,
quindi consideravano ‘sicura’ una relazione con un uomo dietro le
sbarre, non potendo l’uomo far loro alcun male”, dice la Isenberg.
“Un’altra cosa: quando desiderano sposarsi, le donne cercano l’uomo più
macho che c’è in giro, ed il macho è quello che ha premuto il grilletto.
Tendiamo a venerare gli uomini più violenti nella nostra società. A
volte quelli ‘bravi’, come gli agenti di polizia, a volte quelli
cattivi”. Secondo la Isenberg, sposando un uomo che si trova nel braccio
della morte la donna inizia una vita “pericolosa ed eccitante. Potrà
telefonare? Sarà giustiziato? Trascorrerà 30 anni in carcere? Tutte
queste componenti rendono il tutto eccitante e mai noioso. Il mondo
dietro le sbarre è molto strano. Si tratta di amore con corteggiamento,
come al tempo dei Cavalieri della Tavola Rotonda. L’uomo in carcere ha
molto tempo e, a differenza degli uomini liberi che di tempo ne hanno
poco, sa essere molto romantico. Un detenuto mette la donna sul
piedistallo e le dedica il massimo dell’attenzione. [I detenuti] si
comportano da gentiluomini. […] Le donne con le quali parlai
dichiararono di non aver fatto sesso con i propri mariti [detenuti] e
che questo ‘ha il suo fascino, in quanto è più eccitante stare seduti ad
un tavolo e guardarsi negli occhi, consci di essere controllati dalle
guardie’”.
Fonte: San Francisco Chronicle
27 marzo 2005 |
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