agli incroci dei venti: società

 
 
 
 

Donne che sognano un marito nel braccio della morte.

Esperti cercano di capire perché i peggiori criminali

ricevono così tante proposte.

di Peter Fimrite e Michael Taylor - San Francisco Chronicle

Libera traduzione di Arianna Ballotta


 
 

Scott Peterson, l’uomo condannato [a morte] per l’omicidio di sua moglie, incinta, ha ricevuto la sua prima proposta di matrimonio dopo appena un’ora dal suo ingresso nel braccio della morte da parte di una donna che desiderava diventare la signora Peterson.
Il giorno in cui Peterson è entrato nel braccio della morte di San Quintino (California) il direttore del carcere ha ricevuto ben 3 dozzine di telefonate da parte di donne che chiedevano l’indirizzo per poter scrivere al famoso detenuto. Fra queste, una ragazza di appena 18 anni ha anche detto di volerlo sposare.
Per quanto si sa, queste donne non conoscono davvero Peterson e, a differenza di Laci Peterson, certamente non hanno mai trascorso del tempo in sua compagnia, uno dei requisiti soliti per sposare una persona. Tuttavia, secondo quanto asserito da esperti che seguono il mondo dei condannati, questa cosa pare non avere alcuna importanza. Ciò che conta è il fascino di sposare una persona famosa, nonostante il fatto che questa persona finirà i suoi giorni con un ago infilato nel braccio con l’approvazione dello Stato. Può essere pericoloso, ma – d’altro canto – c’è anche una certa sicurezza: se le cose non funzionano, la moglie può andarsene con molta tranquillità. “Amano la notorietà”, dice Jack Levin, criminologo e direttore del Brudnick Center on Violence presso la Northeastern University di Boston. Levin è coautore del libro "Extreme Killing: Understanding Serial and Mass Murder", che esamina, fra le altre cose, ciò che Levin definisce le “killer groupie”. “Queste sono le stesse donne che amano corrispondere con un cantante rock o un artista rap”, dice Levin. “Quando una di queste donne scrive ad una rock-star, la cosa migliore che può sperare è quella di ricevere un autografo su una fotografia. Quando, invece, scrive ad un condannato a morte, è facile che riceva una proposta di matrimonio”.
Altri, parlando delle potenziali mogli dei condannati a morte, lasciano comunque il beneficio del dubbio. “Molte donne si impegnano davvero nel caso del condannato e si convincono della sua innocenza”, sostiene Rick Halperin, professore di storia presso la Southern Methodist University e Presidente della Coalizione Texana per l’Abolizione della Pena di Morte. “Molte pensano che il condannato non dovrebbe essere solo e anche se non uscirà mai dal carcere, deve esserci qualcuno che lo sostiene”.
I matrimoni in carcere in California sono all’ordine del giorno. Solitamente presso il carcere di San Quintino circa 20 detenuti si sposano il venerdì di ogni mese pari e di solito fra questi 20 c’è un condannato a morte. “I detenuti del braccio della morte hanno molte pretendenti. Infatti, più il criminale è famoso, e più facile è per lui trovare compagnia femminile”, dice il portavoce di San Quintino, Eric Messick. “Basta prendere i 5 casi di maggior spicco qui dentro ed ecco la risposta a chi sono i detenuti più famosi. Credo sia la pubblicità ad attrarre le persone”.
Ogni giorno arrivano ai detenuti del braccio della morte lettere d’amore provenienti da tutto il mondo, e alcune di queste sono scritte a mano e lunghe fino a 20 pagine. Richard Allen Davis, l’uomo che, nel 1993, rapì dalla sua casa di Petaluma la dodicenne Polly Klas e l’uccise è il detenuto che “probabilmente riceve il maggior numero di lettere”, dice MessicK. Richard Ramirez, il “cacciatore notturno” colpevole di aver assassinato 13 persone e dedito al Satanismo, ha donne che virtualmente gli si gettano ai piedi, nonostante il fatto che sia già sposato.
Secondo Messick, “il 99% della corrispondenza che giunge ai condannati è scritta da donne”. Sembra non esserci lo stesso slancio da parte degli uomini nei confronti delle donne condannate a morte. Nessuna delle 15 donne detenute nel braccio della morte di Chowchilla si è sposata in carcere.
Moltissime delle donne che scrivono ai condannati a morte di San Quintino sono inglesi o olandesi. L’interesse delle europee, secondo Messick, probabilmente trova le sue radici nell’avversione dell’Europa nei confronti della pena di morte, da cui nasce la simpatia nei confronti di coloro che sono stati condannati a questa pena.
Ramirez sposò Doreen Lioy, editorialista freelance, nel 1996 dopo un corteggiamento durato 11 anni, durante i quali lei gli inviò 75 lettere. Una delle sue amiche disse, il giorno del matrimonio, che Ramirez era attratto da Doreen perché lei gli aveva detto di essere vergine. Quando parlarono delle fedi nuziali, Ramirez le disse “i satanisti non indossano oro”. All’epoca Doreen Lioy si dichiarò “in estasi dalla felicità”. Non siamo riusciti a contattarla per avere i sui commenti e Messick ci ha detto di non vederla in carcere da molto tempo. L’interesse di altre donne nei confronti di Ramirez continua ancora oggi, nonostante “da quanto mi pare di capire, [Ramirez] non risponde alle lettere con regolarità”, dice Messick. “Non è uno cui piace scrivere lettere”.
Alcuni condannati a morte hanno incontrato le compagne della loro vita in modi più mondani. Negli anni ’70 una donna che lavorava in un centro per aiutare i tossicodipendenti di San Rafael visitò il braccio della morte di San Quintino e fu affascinata da un detenuto che parlava di un programma carcerario che aiutava i giovani a stare lontano dai guai. La donna, che – per ragioni di privacy e di lavoro – non ha voluto rendere noto il suo nome, nel 1977 sposò il detenuto, il quale era stato condannato a morte per il rapimento e l’assassinio di un ragazzo di 21 anni dipendente di una stazione di servizio, anche se al momento in cui la loro storia d’amore cominciò, la condanna a morte era stata commutata in ergastolo. Numerosi giornali si occuparono del matrimonio e molte furono le discussioni nei talk-show televisivi, durante i quali tutti si domandavano cosa potesse spingere una donna a sposare un assassino rinchiuso dietro le sbarre. “Perché?”, disse all’epoca la donna, “l’amore. Lui era come il sindaco di San Quintino. Era coinvolto in tutto. E anche io ho cominciato ad interessarmi a tutto ciò che aveva a che fare con la prigione”. Lei e suo marito ebbero il diritto alle visite coniugali, in quanto il detenuto non era più nel braccio della morte. Era solita andarlo a trovare in carcere 2 o 3 volte ogni settimana e questo durò 9 anni, cioè fino al 1985, quando lui fu scarcerato. Per tutto quel tempo altre donne si erano messe in contatto con lui e, secondo la donna, fra queste una cercava di entrare in intimità con lui. Dopo il suo rilascio “ci siamo allontanati”, ha dichiarato la donna, “e alla fine abbiamo divorziato”. In seguito lui si è risposato e ora vive in un altro Stato. “In verità non si sa come andranno le cose fino a quando non vivi con una persona, e fra di noi non funzionò”, ha dichiarato l’ex moglie, la quale ancora considera l’ex marito “un uomo insolito ed interessante, dotato di molto carisma”. “Non ero affatto disperata. Io volevo lui a tutti i costi, perché mi piaceva, mi sentivo attratta e volevo stare con lui in ogni modo possibile. E’ troppo difficile per me cercare di capire perché altre donne desiderano sposare un detenuto”, ha dichiarato la donna, aggiungendo di aver conosciuto altre donne sposate a condannati a morte e che alcune di queste “sono andate giù di testa”. “Si sentivano attratte da uomini che avevano commesso crimini orrendi, anche nei confronti di bambini”.
Una donna il cui marito si trova attualmente nel braccio della morte (la quale non ha fornito il suo nominativo per paura di ripercussioni legali sul caso del marito) ha detto di essersi sentita attratta dal detenuto, diventato in seguito suo marito, ma che non aveva alcuna intenzione di diventare l’amichetta di un detenuto. “Lui non cercava una moglie e io non cercavo un marito”. La donna era già sposata, ma il matrimonio aveva dei problemi. Il marito [detenuto], durante un’intervista dal braccio della morte, ci ha detto: “quando è venuta qui per la prima volta e ci siamo conosciuti, sicuramente eravamo attratti l’uno dall’altra, però io le dissi ‘no, torna a casa e cerca di far funzionare il tuo matrimonio’”. Ma lei in seguitò divorziò. “Mia moglie ed io non saremmo ancora sposati dopo tanti anni se non ci fosse vero amore fra di noi”, ha dichiarato il detenuto, pur ammettendo che quando un coniuge è in carcere e l’altro è libero “è molto, molto difficile far funzionare le cose”.
Nessuno di questi matrimoni verrà mai consumato a meno che qualcuno dei detenuti non esca dal braccio della morte. Ma non è sempre stato così. Secondo Kay Bandell, infermiera e tutrice dei detenuti via corrispondenza da oltre 30 anni, una volta nel braccio della morte di San Quintino c’era un’area aperta per le visite. Per discutere di questioni private le coppie si infilavano nella toilette delle donne ed alcune avevano una sorta di gruppo all’esterno che le proteggeva mentre facevano sesso. “Ora hanno visite con contatto (ma non visite coniugali) che comunque si svolgono all’interno di “gabbie” sorvegliate da guardie. Fanno sesso al telefono, sesso verbale. E anche le lettere forniscono una sorta di intimità. Ma tutte queste forme non sono che un surrogato di intimità. Non è come avere un rapporto fisico”.
Le regole a San Quintino sono diventate più rigide circa 4 anni fa dopo un incidente verificatosi nella sala delle visite, nel corso del quale una persona fu accoltellata.
Per alcune donne, il marito condannato a morte è “l’uomo cercato per tutta la vita” e spesso si tratta di vite molto difficili. Sheila Isenberg intervistò circa 30 donne sposate a condannati a morte per scrivere il suo libro intitolato "Women Who Love Men Who Kill" [donne che amano uomini che uccidono, N.d.T.] pubblicato nel 1991. “Moltissime fra queste donne avevano subìto abusi nel corso della loro vita, da parte dei genitori, del padre, del primo marito o del primo fidanzato, quindi consideravano ‘sicura’ una relazione con un uomo dietro le sbarre, non potendo l’uomo far loro alcun male”, dice la Isenberg. “Un’altra cosa: quando desiderano sposarsi, le donne cercano l’uomo più macho che c’è in giro, ed il macho è quello che ha premuto il grilletto. Tendiamo a venerare gli uomini più violenti nella nostra società. A volte quelli ‘bravi’, come gli agenti di polizia, a volte quelli cattivi”. Secondo la Isenberg, sposando un uomo che si trova nel braccio della morte la donna inizia una vita “pericolosa ed eccitante. Potrà telefonare? Sarà giustiziato? Trascorrerà 30 anni in carcere? Tutte queste componenti rendono il tutto eccitante e mai noioso. Il mondo dietro le sbarre è molto strano. Si tratta di amore con corteggiamento, come al tempo dei Cavalieri della Tavola Rotonda. L’uomo in carcere ha molto tempo e, a differenza degli uomini liberi che di tempo ne hanno poco, sa essere molto romantico. Un detenuto mette la donna sul piedistallo e le dedica il massimo dell’attenzione. [I detenuti] si comportano da gentiluomini. […] Le donne con le quali parlai dichiararono di non aver fatto sesso con i propri mariti [detenuti] e che questo ‘ha il suo fascino, in quanto è più eccitante stare seduti ad un tavolo e guardarsi negli occhi, consci di essere controllati dalle guardie’”.

Fonte: San Francisco Chronicle 27 marzo 2005

 
 

03/07/2007

 

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