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Soltanto in questi
ultimi anni, dopo un convegno e alcune pubblicazioni, inizia a rompersi
il sostanziale silenzio che ha avvolto per circa mezzo secolo la figura
dell’editore e scrittore satirico Angelo Fortunato Formìggini.
Suicidatosi la mattina del 29 novembre 1938, a poche settimane dalla
promulgazione delle leggi razziali fasciste. La storia di questo atipico
intellettuale italiano che aveva sostenuto che ‘lo humour più che uno
stato d’animo, è una visione del mondo’ e che ‘il ridere è il più
efficace fenomeno che rende benevoli gli uomini gli uni verso gli altri’
è stata ricostruita e restituita alla memoria da Antonio Castronuovo nel
libro ‘Libri da ridere’ (Stampa Alternativa, pp. 156). Sebbene il tono
cerchi di restare in sintonia con chi si definiva “uno dei meno noiosi
uomini del suo tempo”, l’opera tuttavia rende appieno la complessità del
personaggio, nonché la drammaticità della sua vicenda umana. Non è la
prima volta che Antonio Castronuovo si occupa di Formìggini. Gli ha
dedicato, fra gli altri, anche un capitolo in ‘Suicidi d’autore’. È come
se, un passo dopo l’altro, ampliasse sempre più il suo raggio di
ricerca, nonché la propria personale empatia verso questo ‘strano’
editore, consapevole che “Formìggini è personaggio da scoprire, lettera
per lettera, foglio per foglio”. Un libro che, sotto il velo
dell’ironia, cela un’autentica passione, scritto come l’autore stesso
sottolinea, nello stile “dei Profili di Formìggini, uno di quei libri
che soddisfacevano l’esigenza di ottenere in poco spazio il succo della
faccenda”.
Eppure il silenzio è stato lungo e fitto. Frutto senz’altro della
censura fascista che, poiché “le leggi razziali proibivano di dare
notizia della morte di un ebreo”, impartì ai giornali dell’epoca “una
disposizione tassativa: ignorare l’evento e rifiutare anche i necrologi
a pagamento”. Ma il silenzio si protrasse anche dopo. In fondo chi era
Formìggini? Un irridente dissacratore in un paese che ha sempre
considerato la cultura una cosa piuttosto seria, quando non addirittura
ingessata. Non un eroe antifascista, ma uno che aveva sempre cercato di
adattarsi al regime, nel modo più dignitoso possibile, quando ormai
cocenti disillusioni avevano spento quella sua iniziale simpatia verso
Mussolini.
La dignità innanzi tutto. Il giorno stesso del suicidio Formìggini
scrive una lettera dove spiega che non gli restano altre possibilità per
salvare “1° La mia dignità, 2° la mia famiglia, 3°la mia azienda,
4°giovare alla mia Patria, 5°giovare all’Umanità”. Ecco, Formìggini si
uccide quando gli appare evidente che l’arma dell’ironia non è più
sufficiente a garantirgli quel minimo di vivibilità al di sotto della
quale si perde la propria umanità. Si gettò giù dalla Ghirlandina di
Modena, sua città natale, al grido di ‘Italia!Italia!Italia!’. “È morto
da vero ebreo, si è gettato da una torre per risparmiare un colpo di
pistola” fu il commento del gerarca Achille Storace, a testimoniare,
nella sua volgare e cinica indecenza, del baratro spirituale in cui era
precipitato il paese.
Nessun giornale disattese gli ordini del regime e anche il funerale si
svolse con non poche difficoltà. La morte di Formìggini metteva in
difficoltà il regime perchè svelava che la nuova politica nei confronti
degli ebrei non era semplice ‘discriminazione’, ma vera e propria
persecuzione, e delle più feroci a memoria di secoli. Lo storico Renzo
De Felice fa notare infatti che il regime cercava di minimizzare le
misure razziali adottate. Le pubblicizzava soprattutto fra gli arabi, in
funzione antinglese, e in concorrenza con la popolarità che sempre più
Hitler guadagnava nei paesi mussulmani.
Tuttavia non mancarono biglietti di cordoglio alla moglie da parte di
illustri esponenti della cultura italiana: Giulio Einaudi, Marino
Moretti, Nicola Zanichelli, Ivanoe Bonomi e addirittura, con mia
sorpresa, le condoglianze di padre Agostino Gemelli. Questi infatti, nel
1924, in occasione del suicidio del professor Felice Momigliano si era
espresso in modo molto diverso: “Ma se insieme con il Positivismo, il
Socialismo, il Libero pensiero e con il Momigliano morissero i Giudei
che hanno crocifisso Nostro Signore, non è vero che al mondo si starebbe
meglio?”
Indagare un suicidio è impresa sempre delicata e insidiosa, perché si
tenta di dare definizione a ciò che spesso è indefinibile. Certo nel
caso di Formìggini, la rabbia e l’impotenza, il sentimento di un
tradimento vile e ingiustificabile, l’hanno incalzato verso quel gesto
cui non restavano alternative. Formìggini si uccide perché gli si
ricorda, a lui italiano, modenese da sette generazioni, scrittore,
editore… che è soltanto ‘un ebreo’, riconducendolo ad una identità che
ormai, per la maggior parte degli ebrei italiani entusiasti
dell’‘emancipazione’ e infatuati della nuova patria, ha ben poco senso.
Formìggini, moderato sostenitore, come tanti italiani di allora, di un
fascismo che interpreta all’inizio come “un elemento di forza a servizio
del diritto”, vede nella nuova dottrina razzista un abominio che investe
“proditoriamente migliaia di cittadini innocui
«e
tu lo sai che erano innocui»”.
“Duce, non lo sapevi che i primi inventori del razzismo in Italia sono
menagramo di conclamata, contagiosa ultrapotenza e superstizioni
medioevali? E non è pieno medioevo questo in cui ci hai precipitati?”
scrive a Mussolini pochi giorni prima del suicidio, in una lettera
riservata che non si sa se arrivasse o meno nelle mani cui era
indirizzata.
Individua, quali motori dell’indegna campagna razziale, due elementi
egualmente odiosi: l’influsso tedesco, sosterrà infatti che dopo la
visita di Hitler in Italia nel maggio del 1938, agli italiani è venuta
“l’hitlerizia”, e il grande affare. Moltissimi approfitteranno della
ghiotta occasione di “impinguarsi d’oro”, arraffando i beni che gli
ebrei sono costretti a svendere e insediandosi nei posti che si liberano
in molteplici settori. Per non parlare del commercio che si apre per
procurare e ottenere possibili ‘arianizzazioni’. A volte vere e proprie
truffe, altre con qualche risultato
Nell’Università italiana, in seguito all’espulsione dei professori
ebrei, restano vacanti circa 300 cattedre: fra i nuovi assunti solo
Massimo Bontempelli rifiuta di subentrare ad un collega israelita.
Ma quanti furono gli israeliti italiani che reagirono alla stessa
drammatica maniera di Formaggini? Suppongo pochi, perché non trovo in
proposito notizie di rilievo. Nel 1938 si registra in Italia un brusco
calo di matrimoni e nascite nelle Comunità, ma solo vaghi accenni ad
alcuni ‘episodi di suicidio’. È noto il caso del tenente colonnello
Giorgio Morpurgo che, impegnato nella guerra di Spagna, informato delle
leggi razziali e della sua imminente destituzione, si lanciò in campo
aperto contro il nemico senza desistere di fronte ai ripetuti
avvertimenti. La cosa fu messa a tacere, e il colonnello insignito di
medaglia al valore. Eppure in Germania, in occasione delle Leggi di
Norimberga del 1935, e dopo in Austria, con l’Anschluss del 1938, ci fu
una vera e propria ondata di episodi di questo genere, registrati nelle
cronache locali con sinistra soddisfazione.
Insomma, nel nostro paese, il più burlone degli italiani, colui in cui
si fondevano “una radice culturale di tipo rabelaisiano e una per così
dire etnica… (su cui) s’innestava lo spirito umoristico e goliardico del
dialetto e dei modi di fare modenesi” risulta essere, a conti fatti,
quello che la prende sul ridere meno di tutti. A dimostrazione di quanto
l’ironia possa essere seria e amara.
Figura poliedrica ed estremamente feconda, scrittore arguto ed editore
geniale, inventore di collane di successo che ancora oggi fanno la gioia
dei bibliofili, Castronuovo ne percorre fedelmente le tappe, fedele
anche nel tono accattivante, ricco di boutade e motti di spirito,
evidenziando il ruolo stimolante e innovatore di Formìggini nella
cultura italiana
Ma tutto questo non lo salverà dall’ingiunzione di ‘arianizzare’
l’azienda. Scrive al Ministro Bottai: “Comunico all’E.V. che sono
costretto a troncare la mia attività editoriale sostenuta con eroico
furore per 30 anni”.
Appelli e proteste cadono nel vuoto. Nell’ultimo libretto che scrive
“Parole in libertà” uscito postumo nel 1945, con epigrammi spassosi e
amari, registra la disperazione e la solitudine cui è relegato. Gli
italiani, anche i migliori, sostanzialmente non riescono a cogliere la
gravità della situazione e restano ‘spettatori’ di questo dramma che
riguarda ‘solo’ 40.000 ‘ex-cittadini’.
Eppure il concetto stesso di razza è qualcosa che anche allora doveva
stridere e lasciare sbigottiti, almeno le coscienze più accorte e più
lucide. Ma non dovremmo stupirci più di tanto. In ogni epoca, anche
nella nostra, sperimentiamo quanto sia facile allinearsi alle parole
d’ordine, ai clichè, all’opinione dei più. Senza peraltro avere
l’attenuante di vivere in una società autoritaria. Lo capì bene
Formìggini, e ne trasse le conclusioni:
“C’era una volta un editore modenese di sette cotte, e perciò italiano
sette volte, che risiedeva a Roma. Quando gli dissero: tu non sei
italiano, egli volle dimostrare di essere modenese di sette cotte, e
perciò sette volte italiano, buttandosi dall’alto della sua
Ghirlandina”.
Antonio
Castronuovo
Libri da ridere
Stampa Alternativa
golferasi@yahoo.it
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