agli incroci dei venti agli incroci dei venti agli incroci dei venti agli incroci dei venti

 
 

  Così dice Francesco

 
 
 
 

Il Natale

p. Dino Dozzi

 
 
 
 

Francesco “chiamava festa delle feste il giorno in cui Dio, fatto piccolo bambino, aveva succhiato ad un seno umano” (2 Cel 199: FF 787). E “dice” il Natale in tre modi diversi ma complementari: raffigurandolo nel presepe a Greccio, suggerendo di coinvolgere nella festa natalizia tutti e tutto, e componendo un salmo per pregare il Natale.
Tutte le fonti biografiche narrano come Francesco raffigura il Natale a Greccio, inventando il presepe, ancora presente nelle nostre case. Tommaso da Celano (1 Cel 84-86: FF 468-470) ricorda il desiderio di Francesco: “Vorrei rappresentare il Bambino nato a Betlemme, e in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato”. Abituato a tradurre i desideri in progetti concreti, Francesco coinvolge l’amico Giovanni e poi frati, uomini e donne della regione, e a Greccio si fa il primo presepe con mangiatoia, bue, asino, Giuseppe, Maria e, naturalmente, lui, il Bambino. E così “Greccio è divenuto una nuova Betlemme”. E Francesco, vestito da diacono, fa l’omelia e parla del Natale e “ogni volta che diceva ‘Bambino di Betlemme’ o ‘Gesù’, passava la lingua sulle labbra, quasi a gustare e trattenere tutta la dolcezza di quelle parole”. Ad un certo punto, sembra che il bambino nella mangiatoia si sia addormentato, e allora “Francesco gli si avvicina e lo desta”. Il cronista non manca di interpretare allegoricamente il particolare, dicendo che “per i meriti del Santo, il fanciullo Gesù veniva risuscitato nei cuori di molti, che l’avevano dimenticato”.
Era austero Francesco, ma per Natale voleva solo far festa. Anche se capita di venerdì – disse a frate Morico – “voglio che in un giorno come questo anche i muri mangino carne; e, se questo non è possibile, almeno che ne siano spalmati all’esterno”. Continua Tommaso da Celano (2 Cel 199-200: FF 787-788): “Voleva che in questo giorno i poveri ed i mendicanti fossero saziati dai ricchi, e che i buoi e gli asini ricevessero una razione di cibo e di fieno più abbondante del solito”. E la fantasia di Francesco non si ferma qui: “Se potrò parlare all’imperatore – diceva – lo supplicherò di emanare un editto generale, per cui tutti quelli che ne hanno possibilità, debbano spargere per le vie frumento e granaglie, affinché in un giorno di tanta solennità gli uccellini e particolarmente le sorelle allodole ne abbiano in abbondanza”. Straordinaria è questa capacità di Francesco di coinvolgere nella gioia natalizia i poveri, gli animali, gli uccelli. E anche i ricchi, invitati a non gioire da soli.
Francesco raffigura il Natale nel presepe, invita tutti e tutto a far festa in quel giorno, ma non dimentica certo di pregare il Natale. E compone un salmo (l’ultimo dell’UffPass: FF 303) da recitare per tutto il periodo natalizio. Con grande libertà – la “parresìa”, la libertà dei figli in casa propria – va a spigolare le frasi più belle del salterio e le mette insieme per esprimere i sentimenti che si accumulano dentro di lui: gioia, lode, ringraziamento, invito al canto corale e cosmico. Il Signore grande, il Re dell’eternità “ha mandato dall’alto il diletto Figlio suo, che nacque dalla beata Vergine Maria”; “il santissimo Bambino che amiamo ci è stato dato e per noi è nato… si allietino i cieli, esulti la terra, si commuova la distesa immensa dei mari: godano i campi e quanto in essi vive”.
È così che Francesco dice il Natale e augura a tutti, anche oggi, buon Natale.

p. Dino Dozzi

 
 
 
 

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