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Cinque giorni in carcere per un atto di disobbedienza
civile non sono un periodo molto lungo, ma lungo abbastanza per farmi
comprendere l’impatto disumanizzante che il carcere ha sull’animo umano.
Ho trascorso cinque giorni nel carcere della Contea di Walker ad
Huntsville, Texas, per aver “oltrepassato la linea” di fronte alla Walls
Unit durante l’esecuzione di Anthony Fuentes il 17 novembre 2004. Quel
giorno mia moglie Peggy ed io eravamo di fronte alla prigione insieme ad
altre 75 persone che protestavano contro l’esecuzione, fra cui la nonna
di Anthony, Ursula, che tremava dalla testa ai piedi ben conscia di
quanto stava accadendo all’interno della camera della morte. Dissi a me
stesso: “non posso semplicemente star qui un’ennesima volta a protestare
e basta … E’ necessario che io faccia qualcosa di più”. Quindi decisi di
oltrepassare il nastro giallo che gli agenti carcerari mettono ogni
volta che c’è un’esecuzione per delimitare la zona e tenere lontani dal
carcere coloro che protestano. Gli agenti dall’altra parte del nastro mi
dissero subito che mi avrebbero arrestato se non fossi tornato al mio
posto e, al mio rifiuto di tornare indietro, mi misero prontamente le
manette e mi portarono via. Fui portato al carcere della Contea di
Walker, dove presero le mie impronte digitali, mi fotografarono, mi
fecero indossare la divisa del carcere e mi trattennero per alcune ore,
cioè fino al momento del pagamento della cauzione da parte di mia moglie
Peggy.
Mi venne fissata la data del processo: 20 gennaio 2005. Quel giorno mi
fu chiesto di scegliere se pagare 500 dollari di multa o trascorrere
cinque giorni in carcere. Scelsi il carcere come protesta contro la pena
di morte e perché non avevo alcuna intenzione di far finire i miei soldi
nelle casse della Contea di Walker, dove sono state eseguite ben 339
esecuzioni dal ripristino della pena di morte in Texas nel 1982.
Ho trascorso i cinque giorni in carcere in una cella insieme ad altri
undici prigionieri, tutti molto più giovani di me (io ho 63 anni).
Durante questi cinque giorni ho avuto modo di comprendere quanto può
essere disumanizzante il carcere. Questa grande gabbia era fatta di
cemento e acciaio ed era priva di finestre verso l’esterno. Era come
essere in una cella sotterranea. Niente privacy, rumore costante e cibo
orrendo. Ma la cosa per me più difficile è stata cercare di restare
caldo. Il riscaldamento non funzionava e le coperte che ci avevano dato
probabilmente erano un reperto della Guerra Civile: dei cenci molto
sottili.
Durante quei cinque giorni ho capito cosa significa restare in carcere
per lunghi periodi di tempo. Ho visitato diversi prigionieri nel braccio
della morte e molti di loro si trovavano in carcere da molto tempo in
attesa della loro esecuzione, seppur sempre con la speranza che qualcosa
di buono potesse accadere nel frattempo. Adesso capisco molto meglio
cosa può voler dire trascinare la propria esistenza in una cella di
pochi metri quadrati rinchiusi per 23 ore al giorno ed essere costretti
a sopportare lo scherno e a volte gli abusi degli agenti di custodia.
Nel bracco della morte del Texas i detenuti non possono lavorare, non
possono far ricreazione in gruppo, non hanno accesso alle funzioni
religiose e non hanno la TV. Non ci sono altre parole se non
“trattamento crudele ed inusitato” per descrivere queste condizioni
disumane. Quando la pena di morte verrà abolita (e il giorno si
avvicina), se vogliamo essere degni di una società civile, dobbiamo –
come minimo – far in modo che i detenuti vivano in condizioni degne di
ogni essere umano e che si creino opportunità di crescita per tutti gli
uomini e le donne che vivono dietro le sbarre.
Quei cinque giorni mi hanno fatto venire in mente le parole di Eugene
Debts, che la mia cara amica Marta Glass mi disse molti anni fa:
“laddove esiste una classe inferiore, è al suo interno che io vivo.
Laddove esiste un elemento criminale, io ne faccio parte. E fino a
quando ci sarà un’anima in prigione, io non sarò libero”.
Forse Marta sapeva che sarebbe arrivato anche il mio momento.
David Atwood
Texas Coalition to Abolish the Death Penalty
dpatwood@igc.org |
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