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Gli eterni adolescenti

di Massimo Tanzillo

 
 

Personalmente sono stanco di sentir parlare di “giovani”. Intendo dire degli stereotipi creati intorno all’espressione giovane. Degli estremismi. E si sa, gli estremi si toccano. Spesso sottendono una stessa logica.
Giovani che parlano del loro esser giovane, di fare cose da giovani e/o per i giovani, di anziani che –in fondo- si sentono ancora giovani, di adulti (le cosiddette persone mature) che parlano di giovani, spesso in termini ambivalenti; o come risorsa (economica) o come utenza “a rischio”. Se diamo uno sguardo ai progetti realizzati e da realizzare in Italia, per tale categoria, il quadro è allarmante; programmi per giovani tossicodipendenti, devianti, di aria penale ecc..
Lo stereotipo del ladro, del criminale è sempre il giovane; sguardo torvo, capelli lunghi, atletico, scattante.
Credo che “l’universo adulto” abbia non poche responsabilità nei confronti di quello giovanile. Ma temo non convenga smascherare la logica che sottende tali frasi fatte.
Ritengo esista una politica la quale, se da un lato dà al termine giovane un’accezione positiva, proclamando gli adolescenti depositari di una sorta di benessere (molto spesso dovuto al solo possesso di “piaceri virtuali” a discapito del benessere che scaturisce dalla capacità di azione), dall’altro tende a sottolineare che il fenomeno della devianza è tipico dell’universo giovanile. La prima affermazione può essere definita come una sorta di processo di deresponsabilizzazione; si idealizza l’universo giovanile fatto di forza, velocità, altezze, il tutto per mascherare l’incapacità o il disinteresse nel creare condizioni affinché i giovani non vengano intrappolati in una eterna adolescenza. Ma c’è di peggio; questa sorta di “violenza intergenerazionale” produce anche processi di auto-deresponsabilizzazione; non bisogna stare troppo a pensare sulle cose: è da vecchi, bisogna seguire le tendenze, le mode che cambiano velocemente, perché i giovani (noi giovani) siamo veloci, bisogna consumare sostanze che rendano pronti in ogni circostanza, in certi locali dove la musica è veloce (e vuota!) come noi giovani ecc..
Così il problema di garantire casa e lavoro, tanto per essere retorici, è rimandato alle calende greche.
Lo IARD, una delle fondazioni più prestigiose per quanto riguarda ricerche sull’universo giovanile, afferma che oggi l’età adolescenziale inizia a circa quindici anni e si protrae, a volte, fino a trentacinque anni! Questo nel giro di una generazione.
Sull’altro versante, la colpevolizzazione; i giovani come soggetti a rischio. Prendiamo lo stereotipo precedente e analizziamo un attimo la realtà; se consideriamo il criminale quella persona che non ruba per pochi spiccioli rischiando sempre il massimo, ma che ruba per miliardi grazie a sistemi di scatole cinesi (le cosiddette holding) sempre più complesse e sofisticate, rischiando sempre il minimo perché dal lato giusto della legge (anzi molto spesso la legge se la fa da sé), quella persona che invia le sue truppe di guerra in paesi che a stento conosce o appoggia governi guerrafondai, non vi sembra un tantino meno giovane, meno trasandato, meno scattante e sempre sorridente?
Questa sorta di mistificazione della realtà è ormai legittimata da tutte le fasce di età; che senso avrebbe altrimenti fare di tutto per sentirsi giovane ad un età in cui si è, di fatto, vecchi? Per due motivi. Il primo è legato al fatto che all’interno di una società consumistica, fatta di repentini cambiamenti, l’usa e getta è sempre più sfrenato e se un tempo gli anziani erano considerati depositari di sapere, a cosa serve oggi ricordare se ciò che si è prodotto un mese fa è già obsoleto?
Secondo, se oggi viviamo in una società in cui vige il precariato come prima regola lavorativa, che senso ha pensare alla vecchiaia come luogo della memoria, tempo in cui ci si può dedicare ai propri cari, ai ricordi, alla lettura di un libro, al godersi (finalmente!) la pensione, se con molta probabilità questo tempo un giovane non lo vedrà mai?
E l’infanzia?
…Beh, l’infanzia oggi è vista come un età di cui bisogna liberarsi al più presto, è il passaggio dall’età in cui non si ha capacità di scegliere, all’età in cui si ha l’illusione di poter scegliere. In realtà veniamo educati fin dalla nascita ad acquistare al più presto in una vasta gamma di prodotti tutti uguali. Ci meravigliamo del fatto che in epoche passate non esisteva il concetto d’infanzia; oggi ce ne sbarazziamo.

Bourdieu definiva violenza simbolica tutte quelle strategie che si attuano all’interno di una società per legittimare lo stato delle cose, ed è tanto più brutale quanto più è interiorizzata nel vissuto di ogni classe sociale e, aggiungerei di ogni fascia di età.
Per quello che mi riguarda, una società basata sui valori della democrazia (termine ormai abusato), dovrebbe garantire pari dignità a prescindere anche dall’età.
Ho letto una volta (non ricordo più dove) che il passaggio da una fase della vita all’altra dovrebbe essere salutato con feste, riti, canti, danze, rituali. Con celebrazioni .
Vivere l’adolescenza come passaggio tra l’inizio e la fine di un’ “era consumistica” , a guardare bene le cose, è al di là del profondo significato di tale frase.

 
 
 
 

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