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Personalmente sono stanco di sentir parlare di “giovani”. Intendo dire
degli stereotipi creati intorno all’espressione giovane. Degli
estremismi. E si sa, gli estremi si toccano. Spesso sottendono una
stessa logica.
Giovani che parlano del loro esser giovane, di fare cose da giovani e/o
per i giovani, di anziani che –in fondo- si sentono ancora giovani, di
adulti (le cosiddette persone mature) che parlano di giovani, spesso in
termini ambivalenti; o come risorsa (economica) o come utenza “a
rischio”. Se diamo uno sguardo ai progetti realizzati e da realizzare in
Italia, per tale categoria, il quadro è allarmante; programmi per
giovani tossicodipendenti, devianti, di aria penale ecc..
Lo stereotipo del ladro, del criminale è sempre il giovane; sguardo
torvo, capelli lunghi, atletico, scattante.
Credo che “l’universo adulto” abbia non poche responsabilità nei
confronti di quello giovanile. Ma temo non convenga smascherare la
logica che sottende tali frasi fatte.
Ritengo esista una politica la quale, se da un lato dà al termine
giovane un’accezione positiva, proclamando gli adolescenti depositari di
una sorta di benessere (molto spesso dovuto al solo possesso di “piaceri
virtuali” a discapito del benessere che scaturisce dalla capacità di
azione), dall’altro tende a sottolineare che il fenomeno della devianza
è tipico dell’universo giovanile. La prima affermazione può essere
definita come una sorta di processo di deresponsabilizzazione; si
idealizza l’universo giovanile fatto di forza, velocità, altezze, il
tutto per mascherare l’incapacità o il disinteresse nel creare
condizioni affinché i giovani non vengano intrappolati in una eterna
adolescenza. Ma c’è di peggio; questa sorta di “violenza
intergenerazionale” produce anche processi di
auto-deresponsabilizzazione; non bisogna stare troppo a pensare sulle
cose: è da vecchi, bisogna seguire le tendenze, le mode che cambiano
velocemente, perché i giovani (noi giovani) siamo veloci, bisogna
consumare sostanze che rendano pronti in ogni circostanza, in certi
locali dove la musica è veloce (e vuota!) come noi giovani ecc..
Così il problema di garantire casa e lavoro, tanto per essere retorici,
è rimandato alle calende greche.
Lo IARD, una delle fondazioni più prestigiose per quanto riguarda
ricerche sull’universo giovanile, afferma che oggi l’età adolescenziale
inizia a circa quindici anni e si protrae, a volte, fino a trentacinque
anni! Questo nel giro di una generazione.
Sull’altro versante, la colpevolizzazione; i giovani come soggetti a
rischio. Prendiamo lo stereotipo precedente e analizziamo un attimo la
realtà; se consideriamo il criminale quella persona che non ruba per
pochi spiccioli rischiando sempre il massimo, ma che ruba per miliardi
grazie a sistemi di scatole cinesi (le cosiddette holding) sempre più
complesse e sofisticate, rischiando sempre il minimo perché dal lato
giusto della legge (anzi molto spesso la legge se la fa da sé), quella
persona che invia le sue truppe di guerra in paesi che a stento conosce
o appoggia governi guerrafondai, non vi sembra un tantino meno giovane,
meno trasandato, meno scattante e sempre sorridente?
Questa sorta di mistificazione della realtà è ormai legittimata da tutte
le fasce di età; che senso avrebbe altrimenti fare di tutto per sentirsi
giovane ad un età in cui si è, di fatto, vecchi? Per due motivi. Il
primo è legato al fatto che all’interno di una società consumistica,
fatta di repentini cambiamenti, l’usa e getta è sempre più sfrenato e se
un tempo gli anziani erano considerati depositari di sapere, a cosa
serve oggi ricordare se ciò che si è prodotto un mese fa è già obsoleto?
Secondo, se oggi viviamo in una società in cui vige il precariato come
prima regola lavorativa, che senso ha pensare alla vecchiaia come luogo
della memoria, tempo in cui ci si può dedicare ai propri cari, ai
ricordi, alla lettura di un libro, al godersi (finalmente!) la pensione,
se con molta probabilità questo tempo un giovane non lo vedrà mai?
E l’infanzia?
…Beh, l’infanzia oggi è vista come un età di cui bisogna liberarsi al
più presto, è il passaggio dall’età in cui non si ha capacità di
scegliere, all’età in cui si ha l’illusione di poter scegliere. In
realtà veniamo educati fin dalla nascita ad acquistare al più presto in
una vasta gamma di prodotti tutti uguali. Ci meravigliamo del fatto che
in epoche passate non esisteva il concetto d’infanzia; oggi ce ne
sbarazziamo.
Bourdieu definiva violenza simbolica tutte quelle strategie che si
attuano all’interno di una società per legittimare lo stato delle cose,
ed è tanto più brutale quanto più è interiorizzata nel vissuto di ogni
classe sociale e, aggiungerei di ogni fascia di età.
Per quello che mi riguarda, una società basata sui valori della
democrazia (termine ormai abusato), dovrebbe garantire pari dignità a
prescindere anche dall’età.
Ho letto una volta (non ricordo più dove) che il passaggio da una fase
della vita all’altra dovrebbe essere salutato con feste, riti, canti,
danze, rituali. Con celebrazioni .
Vivere l’adolescenza come passaggio tra l’inizio e la fine di un’ “era
consumistica” , a guardare bene le cose, è al di là del profondo
significato di tale frase. |
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