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Come
una madre demente che
per soccorrere un figlio disgraziato togliesse il pane agli altri (ma
non a se stessa!), la comunità internazionale per aiutare le vittime
dello tsunami sta sottraendo ogni aiuto agli altri paesi poveri. Lo
denunziano molte ong e lo conferma M. Aelion, responsabile dei progetti
regionali del Programma alimentare mondiale, agenzia delle Nazioni
Unite: "Il maremoto ha provocato il dirottamento di tutti i fondi verso
il Sud Est asiatico, e all'Africa non arriva più nemmeno un soldo".
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Ho cominciato a conoscere l'Africa quando avevo sei anni: mio padre,
ufficiale dei carabinieri, fu trasferito a Bengasi e ci portò con sé.
Era l'inverno del 1934 e da Siracusa viaggiammo per tre giorni e tre
notti sul bastimento "Città di Trieste", in un mare agitato da una
tempesta che rimase negli annali della navigazione. Forse per questo,
sbarcare mi sembrò un sogno, subito convalidato dalle palme del
Lungomare e dai libici nei loro candidi baraccani. Bengasi aveva allora,
più o meno, 25 mila abitanti: 19 mila indigeni, qualche centinaio di
indiani, una comunità ebraica censita a parte e 5 mila "coloniali":
funzionari e militari, con le loro famiglie. Molti dei coloniali
soffrivano di nostalgia per la Madre Patria e molti altri, invece, erano
sensibili soprattutto all' "indennità per disagiato servizio" e ai
privilegi di "razza": il più povero dei contadini meridionali,
analfabeta e incapace di esprimersi in buon italiano, si sentiva, in
Libia, ed era, ben più importante di qualunque arabo, fosse pure il più
colto. Troppo piccolo per comprendere quanto quei privilegi fossero
macchiati di sangue, non sapevo che era appena terminata la crudelissima
repressione con la quale Graziani aveva schiacciato la resistenza
libica; ed erano appena stati chiusi i veri e propri lager di sterminio
in cui erano morti, per fame o per malattie, un terzo dei cirenaici. Di
quegli anni mi rimane soltanto il ricordo nostalgico delle oasi nei
pressi di Derna con le acque limpidissime dei loro uadi, della selvaggia
bellezza del Gebel, dell'incanto di Cirene e di Apollonia: monumentali
rovine di un giallo arancio sulle rive di un mare violetto; e la
meraviglia, venata d'incomprensione, per la vera e propria apartheid che
divideva la popolazione libica da quella italiana. Nessun bambino arabo
con cui giocare o nelle scuole che noi bambini italiani frequentavamo, i
posti "riservati" nei cinema e nei caffè, le cerimonie del Ramadam
rozzamente schernite, così le donne sepolte nei grevi mantelli di lana
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Passarono
molti, molti anni e il mio lavoro di deputato mi riportò più volte in
Africa. In Somalia incontrai nel suo bunker Siad Barre, il feroce
dittatore somalo sponsorizzato dai socialisti italiani; e ai confini con
l'Etiopia, nell'Ogaden, vidi bambini mutilati da mine di fabbricazione
nostrana, imparzialmente vendute all'uno e all'altro esercito per una
guerra terminata due anni prima. Nel Sudan equatoriale scoprii gli
orrori del ventennale conflitto fra islamici e cristiani e animisti. A
Dar el Salaam (città della pace) visitai una fabbrica alimentare in cui
le operaie guadagnavano 5 mila lire la settimana. Nello Zimbabwe, un
gruppo di coraggiosi medici italiani si batteva contro il flagello
dell'AIDS che colpiva un terzo delle gestanti… Vidi, naturalmente, anche
cose meravigliose: l'incanto di Zanzibar, antica capitale di un regno di
schiavisti, bianca città che si sgretola lentamente sotto il sole, la
selvaggia magnificenza delle cascate Victoria e lo squallore di Soweto ,
improvvisamente fiorito di bandiere e di canti perché Nelson Mandela era
stato liberato da poche ore (e già preparava, ci confidò, un discorso
per chiedere ai suoi fratelli di deporre le armi e costruire la pace).
Soprattutto incontrai persone - bianche o nere - che, con fatica e
coraggio, coltivavano per l'Africa inedite speranze. Il volontariato
italiano esprimeva molte di queste persone: penso per tutte ad Annalena
Toselli, scienziata e autentica santa, poi uccisa in Somalia...
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È per questo, e non soltanto per la gloria dei suoi tramonti, la
bellezza delle sue donne, la grandezza dei suoi artisti inconsapevoli,
che amo l'Africa e non riesco ad abituarmi a certe crudeli statistiche e
alle tragedie che le sottendono. L'Africa è l'unico continente del
cosiddetto Terzo Mondo che negli ultimi 25 anni è diventato più povero,
da tutti i punti di vista, confermando la terribilità della sua storia.
Come dimenticare che è il continente da cui, 2 milioni di anni fa, mosse
la razza umana per diffondersi su tutta la Terra? Passarono millenni di
millenni, poi, trenta secoli fa, uomini armati fecero ritorno a questa
Madre universale,. ma soltanto per metterla a ferro e fuoco e rapinarla
delle sue ricchezze. Da allora la schiavitù segnò l'Africa
indelebilmente: decine di milioni di suoi figli, selezionati fra i più
vigorosi, le furono violentemente sottratti per trasformare le due
Americhe in immense piantagioni e miniere; e quando l'obbrobrio della
schiavitù fu formalmente cancellato, il colonialismo trasformò gli
africani in servi e in soldati, inchiodò l'economia africana alla
servitù delle monoculture, schiacciò con ferocia le ribellioni, finché
esse divennero irresistibili. Ammainate le bandiere delle cosiddette
Grandi Potenze, il potere, occulto ma quasi totale, rimase nelle mani
delle società multinazionali, che ancora oggi lo usano senza pietà. Esse
fecero fallire ogni vero progetto di libertà (come l'Union Miniéres, a
suo tempo mandante dell'assassinio di Lumumba) o scatenarono guerre che
sembrano nazionalistiche o addirittura tribali, ma in realtà servono al
possesso di diamanti, di coltan, di uranio e. d'oro - e sostengono un
fiorente commercio di armi[1].
Raramente i nostri mass-media si degnano di parlare di queste tragedie ;
eppure nella zona orientale del Congo la guerra (per il coltan e per
l'uranio) ha fatto 4 milioni di morti e più negli ultimi sette anni e
continua; nel Darfur, dal febbraio 2003, 2 milioni di persone sono state
costrette all'esodo dalle loro terre, spesso senza poter seppellire i
propri morti, almeno 70 mila: apparentemente un conflitto etnico, ma
certamente legato anche alla presenza di giacimenti petroliferi
dall'Uganda alla Costa d'Avorio all'Angola torme di bambini sono
arruolati a forza negli eserciti più o meno "regolari", piccole vittime
di una orrenda follìa. Sono devastazioni che minacciano anche le future
generazioni perché distruggono la natura , creando povertà che
fatalmente si riverseranno sui luoghi dove sembra ancora possibile la
sopravvivenza. L'esodo - come tutti sappiamo ma cerchiamo di non vedere
- è già cominciato, e sono ormai migliaia e migliaia gli autentici eroi
delle migrazioni che attraversano deserti e pericoli di ogni sorta per
affacciarsi sul Mediterraneo… Il cumulo delle tragedie africane è tale
che il continente sembra avere generato invano grandi leaders come il
tanzano Julius Nyerere, il mozambicano Amilcare Cabral, il sudafricano
Desmond Tutu o la keniota Wangari Mathaai, Nobel per la Pace 2004.
Dovunque, in Africa, un dittatore o la casta militare schiacciano una
popolazione terrorizzata, lì si muove un capitalismo estero, la cui
ferocia e ottusità sono ancora più gravi perché espressioni di veri e
propri centri imperiali.
Oggi metà degli africani (400 milioni di persone) devono sopravvivere
con meno di un dollaro al giorno e non hanno accesso all'acqua potabile.
Tornano a espandersi malattie come la malaria, la tubercolosi e la
"malattia del sonno". In nove paesi africani l'AIDS ha abbassato la
soglia di speranza di vita sotto i quarant'anni[2].
Gli stati del Continente pagano complessivamente, come interessi per i
loro debiti internazionali, 13 miliardi di dollari all'anno quando,
secondo l'Unicef, basterebbero 9 miliardi all'anno per salvare la vita a
21 milioni di persone. Il quotidiano spagnolo "El Pais" parla
giustamente di "tsunami silenzioso".
Incrudelire sulla sorte degli africani per andare al soccorso degli
asiatici è mostruoso.
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Non sono fra quelli che si sono commossi perché la metà degli italiani
che posseggono un telefonino (soprattutto giovani) hanno inviato un euro
ciascuno per i soccorsi alle vittime del maremoto. Intanto considero
triste che il 50 per 100 delle persone alle quali era stato rivolto
l'appello, dunque una grande massa, si sia rifiutato persino di
schiacciare cinque tasti e di elargire ai miseri una minuscola parte dei
soldi spesi ogni giorno per chiacchiere, inutili se non peggio. Ma poi,
anche se è vero che i soldi comunque raccolti sono importanti per
aiutare (realmente, spero) qualche popolazione devastata da una nuova
miseria, mi turba l'dea che si possano esorcizzare problemi e grida di
dolore o di allarme (anche per il nostro futuro) attivando quasi
distrattamente un ingranaggio per il dono di una briciola di pane. È una
specie di automatismo tecnologico di un'elemosina fatta per togliersi di
torno un molesto accattone.
Ma non parlo soltanto degli aiuti privati. Il cerchio dell'egoismo
dominante nelle terre del benessere si chiude quando alla pochezza della
capacità di condivisione dei singoli si aggiunge la miserabilità degli
aiuti statali. Ha scritto l'autorevole The Guardian: "Il governo USA ha
stanziato per le vittime dello tsunami 350 milioni di dollari, e il
governo inglese 96 milioni. Gli Stati Uniti. hanno sinora speso148
miliardi di dollari nella guerra in Iraq, mentre gli inglesi ne hanno
speso11,5. La guerra in Iraq dura da 656 giorni. Lo stanziamento USA per
lo tsunami equivale dunque a ciò che essi spendono in un giorno e mezzo
in Iraq. Lo stanziamento inglese equivale al prezzo di cinque giorni e
mezzo di operazioni belliche ". Di più i Sette cosiddetti Grandi,
riuniti a Londra mentre scrivo, sembra non siano riusciti ad accordarsi
sulla cancellazione del debito estero dei paesi colpiti da maremoto
(misura già di per sé insufficiente) a causa del netto rifiuto del
governo americano. Anche la miseria del cosiddetto Terzo Mondo può
giovare alla gloria di Bush e del suo impero…
E l'Italia? L'Italia , invece di onorare gli impegni presi a suo tempo
in sede Onu, secondo i quali gli stati dovrebbero destinare alla
cooperazione internazionale lo 0,7 per 100 del proprio prodotto interno
lordo offre la desolante realtà di uno scarso 0,1 per 100. Quando
Berlusconi e Fini si affacciano agli schermi del grande Circo
massmediatico della Bontà per informarci dei prodigi della solidarietà
italiana, si guardano bene dall'indicare le dimensioni di quella che è
invece sordida avarizia, l'abbandono di grandi sacche di povertà alle
quali avevamo promesso aiuti.
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Lo tsunami non sarà stato soltanto una terribile catastrofe se le sue
dimensioni riusciranno a farci capire alcune scomodissime verità: che la
Madre Terra continuamente violentata da uno sfruttamento selvaggio, non
può che nutrire i suoi figli con un latte avvelenato dal sangue della
disperazione; che è dalla condizione dei poveri che si definisce una
civiltà; che questa condizione è responsabilità di tutti, e il dovere
della solidarietà non può essere evocato soltanto davanti alle
apocalissi; che solidarietà non può voler dire semplicemente elemosina:
Paolo VI ci ha ricordato che la giustizia è la misura minima della
carità e papa Giovanni ci ha insegnato che il nostro superfluo va
calcolato sui bisogni altrui; infine che la violenza di certe epidemie e
quella del terrorismo ci mostrano che è del tutto illusorio pensare di
potersi chiudere in fortezze inespugnabili. Non può esserci una vera
realpolitik che non sia una politica della ragione e che, in quanto
tale, non lavori a spostare l'asse della vita internazionale dalla fame
di possesso e di potere a quella di una possibilità di vita per tutti i
popoli della Terra. Come non capre che, altrimenti, è l'intera umanità
ad essere mortalmente minacciata? Non un pericoloso bolscevico ma
Francis Fukuyama, consulente del Pentagono e assertore, qualche anno fa,
della fine della storia perché il mondo aveva, secondo lui, trovato un
suo assetto accettabile e dunque definitivo, oggi descrive a questo modo
la situazione planetaria dopo la crisi del bipolarismo e degli
stati-nazione: "un'accozzaglia eterogenea di multinazionali,
organizzazioni non-goverrnative, organizzazioni criminali, gruppi
terroristici e così via": La salvezza che egli propone è ancora una
volta affidata alla forza degli stati e, in particolar modo, degli Stati
Uniti.
La realtà, io credo, è che l'unica salvezza proponibile è quella
dell'utopia perché ormai l'utopia coincide con la ragione. I governanti,
i partiti, il modello consumista, cancellando o riducendo a entità
simboliche la fraternità umana in nome di un benessere materiale da
incrementare incessantemente nei paesi già privilegiati, preparano
guerre sempre più crudeli, distruzioni del creato, insicurezza per i
nostri figli, problemi di terribile entità per i nostri nipoti. È
necessario far crescere questa consapevolezza e la volontà di liberarsi
dalla schiavitù del materialismo genocida del Mercato. Davanti alla
ferocia dell'egoismo imperiale e al nanismo politico dei nostri partiti,
cui sembra mancare ogni sensibilità a proposito delle comuni
responsabilità planetarie è necessario che continui a crescere di
dimensioni numeriche ma anche di progettazione creativa il movimento di
chi pensa - e vuole - che un altro mondo sia possibile. Famiglie,
scuole, comunità di fede, associazioni culturali ma anche legami d'amore
o d'amicizia, reti di libera informazione, gruppi di solidarietà devono
diventare i luoghi di una speranza difficile ma testarda: la quale
scopre nel suo cammino che la vita è bella quando si apre a essere dono.
ettore masina
[1]
Un esempio. In Angola, a tre anni dalla fine della guerra, vi sono
ancora da bonificare più di duemila campi minati: complessivamente 15
milioni di ordigni (la maggior parte di fabbricazione italiana). Se si
pensa, nota l'Agenzia Misna, che la popolazione angolana è di 10 milioni
di persone, è in quest'area che si verifica la più alta concentrazione
al mondo, che rende improduttivo un terzo del paese. L'ex colonia
portoghese - commenta la Misna- detiene il terribile record di un
amputato ogni 334 abitanti, per un totale di circa 70 mila vittime,
delle quali 8 mila hanno meno di 15 anni! Ai ritmi attuali è stato
calcolato che occorrerà più di un secolo per bonificare completamente le
aree minate in tutta l'Angola durante il conflitto che tra il 1975 e il
2002 ha provocato oltre mezzo milione di morti…
[2]
Nell'anno appena concluso sono morti di AIDS 2 milioni e 400 mila
africani. Avete letto bene. 200 mila ogni mese.
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