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Pena di morte americana 2004

di Claudio Giusti

 
     
 

Secondo il Death Penalty Information Centre nel corso del 2004 sono diminuite sia le esecuzioni che le condanne a morte. A mio giudizio le cause che hanno diminuito il numero delle condanne sono almeno tre: riduzione degli omicidi, crisi economica e sfiducia nel sistema giudiziario.
Diminuzione degli omicidi.
Come in Italia anche negli USA, nel decennio scorso, il numero degli omicidi è diminuito. Negli Stati Uniti si è passati dai 22.000 omicidi l’anno, con una punta di quasi 25.000 nel 1991, ai 15.638 del 2001. In Italia nello stesso periodo gli omicidi si sono più che dimezzati, arrivando, nel 2001, alla cifra record di 638, poi sono cresciuti del 12%. Le cause della diminuzione americana sono molteplici e vanno dal miglioramento delle tecniche di pronto soccorso alle tattiche più aggressive della polizia, da un maggior controllo sulle armi alla fine della “guerra del crack”.
Crisi economica
Gli stati (responsabili di quasi tutte le esecuzioni) hanno sempre meno denaro da spendere e, visto che non possono chiudere tutte le scuole, hanno ridotto i soldi anche al sistema giudiziario. Questa riduzione delle risorse si è trasformata in una maggiore propensione al patteggiamento e in una diminuzione dei costosissimi processi capitali (vi rimando al mio “il costo della pena di morte”).
Sfiducia.
La pena di morte americana sta crollando sotto il suo stesso peso. Nonostante l’entusiasmo forcaiolo di Bush il sistema risente di una grande stanchezza. Alcuni giudici come Sandra Day O’Connor hanno espresso in pubblico il loro scetticismo e le giurie non sono più così disponibili a esaudire i desideri dei procuratori. Tre possono essere le cause della maggiore diffidenza delle giurie: la nuova generazione di telefilm “giudiziari”, gli scandali dei laboratori di polizia e gli innocenti liberati.
I nuovi telefilm a sfondo giudiziario come The Practice, pur essendo ancora lontani dalla realtà della giustizia americana, sono molto più realistici di quelli sfacciatamente falsi di Perry Mason. Questa rappresentazione più vera e meno accattivante del sistema giudiziario ne ha notevolmente ridotto l’appeal presso il pubblico dei potenziali giurati.
I periodici clamorosi scandali, recentemente culminati con la chiusura del laboratorio della polizia di Houston, hanno aumentato lo scetticismo del giurato medio che non sembra più essere propenso a credere a occhi chiusi a qualsiasi “camicie bianco” (vedi il mio “Ingiustizia letale”)
La maggior causa delle diminuzione delle condanne a morte è l’impressionante numero di persone innocenti, non necessariamente condannate al patibolo, rilasciate dalle carceri americane. Non c’è giorno in cui non vi sia la notizia di qualche disgraziato che, dopo anni o decenni di galera, viene lasciato andare perché innocente. Anche se i procuratori affermano che non si tratta di innocenti, ma di colpevoli che riescono a sfuggire alla giustizia, l’effetto sull’opinione pubblica è deprimente.
Catastrofi epocali come The Big Crash, il massacro di Tulia, i quattro del caso Roscetti e il caso della jogger di Central Park, si sono aggiunte allo stillicidio di casi singoli. L’Illinois ha liberato più condannati a morte di quanti presunti colpevoli abbia ucciso e la lista nazionale dei sopravvissuti ha raggiunto quota 117, mentre il Centro di Barry Scheck ha salvato, grazie al test del DNA, 154 innocenti. Secondo il Reverendo McCloskey il 10% dei 2.200.000 galeotti americani è innocente come, secondo Espy, lo erano il 5% dei 19.000 giustiziati.
La sensazione che hanno gli americani è che il loro sistema non sia, come dice l’ex governatore Ryan, in grado di stabilire chi è colpevole e chi è innocente, e che, ai moltissimi innocenti nel braccio della morte, se ne aggiunga qualcuno che è stato ucciso. Il risultato finale è che i giurati, anche se hanno dichiarato una persona colpevole di omicidio, non se la sentono di farla ammazzare.
Quanto detto non vale, ovviamente, per il Texas.

II
LA PENA DI MORTE AMERICANA E’ COME LA CURA DI BELLA:
non serve a nulla, non produce nulla, costa moltissimo, ma è utile in politica.
In questi trent’anni di esperimento americano ci sono state quasi 1.000 esecuzioni. Per ottenerle si sono tenuti migliaia di processi che hanno prodotto 7.000 condanne a morte, che a loro volta hanno causato decine di migliaia di appelli statali e federali e decine di migliaia di pronunciamenti di corti superiori. Questi hanno prodotto centinaia di sentenze delle Corti Supreme statali e almeno 200 sentenze della Corte Suprema federale. Queste sentenze sono state accompagnate da dozzine di dissenting e cuncurring opinions e commentate da centinaia di articoli e saggi, mentre migliaia di giuristi hanno perso il sonno per cercare di entrare negli arcani meandri del loro esoterico linguaggio.
In questi trent’anni ci sono stati milioni di udienze preliminari, di mozioni pre-tial, di testimonianze, di analisi di laboratorio e di arringhe, mentre centinaia di migliaia di giudici, giurati, impiegati, testimoni, poliziotti, esperti, medici, psichiatri, avvocati e procuratori vi hanno speso miliardi di ore di lavoro. Sono stati scritti infiniti articoli di giornale e innumerevoli saggi di riviste giuridiche e sono stati pubblicati centinaia di libri e rapporti. Ci sono state dozzine di commissioni e di studi scientifici e si sono tenuti innumerevoli dibattiti, conferenze, seminari e congressi, in cui due generazioni di abolizionisti hanno fatto i capelli bianchi.
Il costo economico di tutto questo immenso casino è enorme, mostruoso, incalcolabile. In Florida ogni cottura sulla sedia elettrica, alla fiamma o al sangue, è costata 24 milioni di dollari. Per fare 10 esecuzioni la California ha speso, dal 1982, 90 milioni di dollari l’anno. Ognuna delle 1.000 esecuzioni è costata al contribuente americano molti milioni di dollari. (vedi il mio “il costo della pena di morte”)
Questa immane catastrofe non ha prodotto alcun risultato (a parte i 1.000 disgraziati uccisi a sangue freddo). Gli stati con la pena di morte non sono più sicuri di quelli senza. Anzi! Di norma succede il contrario e chi ha abolito la pena capitale ha un tasso di omicidio più basso di chi non l’ha fatto.
Se gli Stati Uniti fossero il paese pragmatico di cui si favoleggia avrebbero abolito la pena di morte da molto tempo. Sono invece preda di un’ideologia machista da quattro soldi e questo spiega, con la ferocia e la stupidità della classe media bianca, l’ostinazione con cui si spendono cifre da fantascienza per alcuni sacrifici umani.
Il guaio è che la pena capitale offre una risposta semplice a problemi complicati. Generazioni di politicanti, non solo americani, si sono abituati a usarla come rimedio per tutti i mali: tanto non sono mica i ricchi a essere impiccati. Non per nulla pena capitale significa che chi non ha il capitale si becca la pena. In definitiva la pena di morte è uno strumento con cui sa fa politica e con cui si ottengono cariche politiche.
Non è certamente per combinazione che il ritorno in grande stile del patibolo sia avvenuto in coincidenza con l’affermarsi delle primarie. Questo tanto decantato sistema ha, fra i molti difetti, quello di consentire a qualche “ragazzo meraviglia” di farsi eleggere presentandosi con una piattaforma elettorale semplice ma comprensibile persino agli elettori americani: - impicchiamo i negri -.
Negli anni settanta uomini politici senza scrupoli, capitanati dal presidente Nixon e dall’allora governatore Regan, non si fecero problemi nel trasformare in legislazione le pulsioni animalesche dell’elettore medio. Altri hanno mandato a morte una quantità di persone al solo scopo di mostrarsi “duri col crimine” e farsi eleggere. (vedi il mio “La pena di morte come prodotto finale del sistema politico elettorale americano”)
Ora è il governatore del Massachusetts a rinverdire la tradizione. Costui, incurante della storia e del ridicolo, ha costituito una commissione che gli avrebbe preparato una pena di morte “a prova d’errore”. Ignaro dei veri problemi della pena capitale pensa che il test del DNA sia il nuovo “proiettile d’argento” nelle mani dei procuratori e riduce tutto ad una questione di innocenza o colpevolezza.
Quest’anno però, comunque vadano le cose in Massachusetts, sarà la Virginia ad essere il campo di battaglia della pena di morte. Nel Commonwealth, secondo solo al Texas per numero di esecuzioni, il candidato repubblicano alla carica di governatore sarà l’attuale Procuratore di Stato Jerry Kilgore: un fanatico sostenitore della forca, mentre il candidato democratico sarà l’avvocato Timothy Kaine. Costui, difensore d’ufficio di due giustiziati, è il primo in trent’anni a dichiararsi apertamente contro la pena capitale. Lo scontro sarà epico, ma non perché il democratico possa essere un pericolo per la pena di morte più efficiente d’America: il problema viene da ben più lontano.
Sono ormai più di dieci anni che il Washington Post e Time magazine cercano inutilmente di avere il permesso di effettuare il test del DNA su alcuni reperti riguardanti il caso di Roger Keith Coleman. Coleman, che si proclamò innocente fino all’ultimo, venne mandato al patibolo grazie a prove risibili e il suo caso non ebbe appello, perché il suo avvocato presentò la richiesta in ritardo.
Il povero Coleman è stato ucciso nel 1992, ma il test non avrà un valore puramente accademico, perché un eventuale risultato negativo dimostrerebbe, per la prima volta in più di un secolo, che un innocente è stato ucciso, e questo, anche se l’opinione pubblica lo dà per scontato, avrebbe un impatto devastante sul sistema giudiziario americano. Questo spiega perché il Commonwealth of Virginia si oppone con tanta determinazione all’esecuzione del test.

Claudio Giusti

 
 

03/07/2007

 

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