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Secondo il Death
Penalty Information Centre nel corso del 2004 sono diminuite sia le
esecuzioni che le condanne a morte. A mio giudizio le cause che hanno
diminuito il numero delle condanne sono almeno tre: riduzione degli
omicidi, crisi economica e sfiducia nel sistema giudiziario.
Diminuzione degli omicidi.
Come in Italia anche negli USA, nel decennio scorso, il numero degli
omicidi è diminuito. Negli Stati Uniti si è passati dai 22.000 omicidi
l’anno, con una punta di quasi 25.000 nel 1991, ai 15.638 del 2001. In
Italia nello stesso periodo gli omicidi si sono più che dimezzati,
arrivando, nel 2001, alla cifra record di 638, poi sono cresciuti del
12%. Le cause della diminuzione americana sono molteplici e vanno dal
miglioramento delle tecniche di pronto soccorso alle tattiche più
aggressive della polizia, da un maggior controllo sulle armi alla fine
della “guerra del crack”.
Crisi economica
Gli stati (responsabili di quasi tutte le esecuzioni) hanno sempre meno
denaro da spendere e, visto che non possono chiudere tutte le scuole,
hanno ridotto i soldi anche al sistema giudiziario. Questa riduzione
delle risorse si è trasformata in una maggiore propensione al
patteggiamento e in una diminuzione dei costosissimi processi capitali
(vi rimando al mio “il costo della pena di morte”).
Sfiducia.
La pena di morte americana sta crollando sotto il suo stesso peso.
Nonostante l’entusiasmo forcaiolo di Bush il sistema risente di una
grande stanchezza. Alcuni giudici come Sandra Day O’Connor hanno
espresso in pubblico il loro scetticismo e le giurie non sono più così
disponibili a esaudire i desideri dei procuratori. Tre possono essere le
cause della maggiore diffidenza delle giurie: la nuova generazione di
telefilm “giudiziari”, gli scandali dei laboratori di polizia e gli
innocenti liberati.
I nuovi telefilm a sfondo giudiziario come The Practice, pur essendo
ancora lontani dalla realtà della giustizia americana, sono molto più
realistici di quelli sfacciatamente falsi di Perry Mason. Questa
rappresentazione più vera e meno accattivante del sistema giudiziario ne
ha notevolmente ridotto l’appeal presso il pubblico dei potenziali
giurati.
I periodici clamorosi scandali, recentemente culminati con la chiusura
del laboratorio della polizia di Houston, hanno aumentato lo scetticismo
del giurato medio che non sembra più essere propenso a credere a occhi
chiusi a qualsiasi “camicie bianco” (vedi il mio “Ingiustizia letale”)
La maggior causa delle diminuzione delle condanne a morte è
l’impressionante numero di persone innocenti, non necessariamente
condannate al patibolo, rilasciate dalle carceri americane. Non c’è
giorno in cui non vi sia la notizia di qualche disgraziato che, dopo
anni o decenni di galera, viene lasciato andare perché innocente. Anche
se i procuratori affermano che non si tratta di innocenti, ma di
colpevoli che riescono a sfuggire alla giustizia, l’effetto
sull’opinione pubblica è deprimente.
Catastrofi epocali come The Big Crash, il massacro di Tulia, i quattro
del caso Roscetti e il caso della jogger di Central Park, si sono
aggiunte allo stillicidio di casi singoli. L’Illinois ha liberato più
condannati a morte di quanti presunti colpevoli abbia ucciso e la lista
nazionale dei sopravvissuti ha raggiunto quota 117, mentre il Centro di
Barry Scheck ha salvato, grazie al test del DNA, 154 innocenti. Secondo
il Reverendo McCloskey il 10% dei 2.200.000 galeotti americani è
innocente come, secondo Espy, lo erano il 5% dei 19.000 giustiziati.
La sensazione che hanno gli americani è che il loro sistema non sia,
come dice l’ex governatore Ryan, in grado di stabilire chi è colpevole e
chi è innocente, e che, ai moltissimi innocenti nel braccio della morte,
se ne aggiunga qualcuno che è stato ucciso. Il risultato finale è che i
giurati, anche se hanno dichiarato una persona colpevole di omicidio,
non se la sentono di farla ammazzare.
Quanto detto non vale, ovviamente, per il Texas.
II
LA PENA DI
MORTE AMERICANA E’ COME LA CURA DI BELLA:
non serve a nulla, non produce nulla, costa moltissimo, ma è utile in
politica.
In questi trent’anni di esperimento americano ci sono state quasi
1.000 esecuzioni. Per ottenerle si sono tenuti migliaia di processi che
hanno prodotto 7.000 condanne a morte, che a loro volta hanno causato
decine di migliaia di appelli statali e federali e decine di migliaia di
pronunciamenti di corti superiori. Questi hanno prodotto centinaia di
sentenze delle Corti Supreme statali e almeno 200 sentenze della Corte
Suprema federale. Queste sentenze sono state accompagnate da dozzine di
dissenting e cuncurring opinions e commentate da centinaia di articoli e
saggi, mentre migliaia di giuristi hanno perso il sonno per cercare di
entrare negli arcani meandri del loro esoterico linguaggio.
In questi trent’anni ci sono stati milioni di udienze preliminari, di
mozioni pre-tial, di testimonianze, di analisi di laboratorio e di
arringhe, mentre centinaia di migliaia di giudici, giurati, impiegati,
testimoni, poliziotti, esperti, medici, psichiatri, avvocati e
procuratori vi hanno speso miliardi di ore di lavoro. Sono stati scritti
infiniti articoli di giornale e innumerevoli saggi di riviste giuridiche
e sono stati pubblicati centinaia di libri e rapporti. Ci sono state
dozzine di commissioni e di studi scientifici e si sono tenuti
innumerevoli dibattiti, conferenze, seminari e congressi, in cui due
generazioni di abolizionisti hanno fatto i capelli bianchi.
Il costo economico di tutto questo immenso casino è enorme, mostruoso,
incalcolabile. In Florida ogni cottura sulla sedia elettrica, alla
fiamma o al sangue, è costata 24 milioni di dollari. Per fare 10
esecuzioni la California ha speso, dal 1982, 90 milioni di dollari
l’anno. Ognuna delle 1.000 esecuzioni è costata al contribuente
americano molti milioni di dollari. (vedi il mio “il costo della pena di
morte”)
Questa immane catastrofe non ha prodotto alcun risultato (a parte i
1.000 disgraziati uccisi a sangue freddo). Gli stati con la pena di
morte non sono più sicuri di quelli senza. Anzi! Di norma succede il
contrario e chi ha abolito la pena capitale ha un tasso di omicidio più
basso di chi non l’ha fatto.
Se gli Stati Uniti fossero il paese pragmatico di cui si favoleggia
avrebbero abolito la pena di morte da molto tempo. Sono invece preda di
un’ideologia machista da quattro soldi e questo spiega, con la ferocia e
la stupidità della classe media bianca, l’ostinazione con cui si
spendono cifre da fantascienza per alcuni sacrifici umani.
Il guaio è che la pena capitale offre una risposta semplice a problemi
complicati. Generazioni di politicanti, non solo americani, si sono
abituati a usarla come rimedio per tutti i mali: tanto non sono mica i
ricchi a essere impiccati. Non per nulla pena capitale significa che chi
non ha il capitale si becca la pena. In definitiva la pena di morte è
uno strumento con cui sa fa politica e con cui si ottengono cariche
politiche.
Non è certamente per combinazione che il ritorno in grande stile del
patibolo sia avvenuto in coincidenza con l’affermarsi delle primarie.
Questo tanto decantato sistema ha, fra i molti difetti, quello di
consentire a qualche “ragazzo meraviglia” di farsi eleggere
presentandosi con una piattaforma elettorale semplice ma comprensibile
persino agli elettori americani: - impicchiamo i negri -.
Negli anni settanta uomini politici senza scrupoli, capitanati dal
presidente Nixon e dall’allora governatore Regan, non si fecero problemi
nel trasformare in legislazione le pulsioni animalesche dell’elettore
medio. Altri hanno mandato a morte una quantità di persone al solo scopo
di mostrarsi “duri col crimine” e farsi eleggere. (vedi il mio “La pena
di morte come prodotto finale del sistema politico elettorale
americano”)
Ora è il governatore del Massachusetts a rinverdire la tradizione.
Costui, incurante della storia e del ridicolo, ha costituito una
commissione che gli avrebbe preparato una pena di morte “a prova
d’errore”. Ignaro dei veri problemi della pena capitale pensa che il
test del DNA sia il nuovo “proiettile d’argento” nelle mani dei
procuratori e riduce tutto ad una questione di innocenza o colpevolezza.
Quest’anno però, comunque vadano le cose in Massachusetts, sarà la
Virginia ad essere il campo di battaglia della pena di morte. Nel
Commonwealth, secondo solo al Texas per numero di esecuzioni, il
candidato repubblicano alla carica di governatore sarà l’attuale
Procuratore di Stato Jerry Kilgore: un fanatico sostenitore della forca,
mentre il candidato democratico sarà l’avvocato Timothy Kaine. Costui,
difensore d’ufficio di due giustiziati, è il primo in trent’anni a
dichiararsi apertamente contro la pena capitale. Lo scontro sarà epico,
ma non perché il democratico possa essere un pericolo per la pena di
morte più efficiente d’America: il problema viene da ben più lontano.
Sono ormai più di dieci anni che il Washington Post e Time magazine
cercano inutilmente di avere il permesso di effettuare il test del DNA
su alcuni reperti riguardanti il caso di Roger Keith Coleman. Coleman,
che si proclamò innocente fino all’ultimo, venne mandato al patibolo
grazie a prove risibili e il suo caso non ebbe appello, perché il suo
avvocato presentò la richiesta in ritardo.
Il povero Coleman è stato ucciso nel 1992, ma il test non avrà un valore
puramente accademico, perché un eventuale risultato negativo
dimostrerebbe, per la prima volta in più di un secolo, che un innocente
è stato ucciso, e questo, anche se l’opinione pubblica lo dà per
scontato, avrebbe un impatto devastante sul sistema giudiziario
americano. Questo spiega perché il Commonwealth of Virginia si oppone
con tanta determinazione all’esecuzione del test.
Claudio Giusti |
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