|
Dopo la brutta
esperienza del marzo scorso in Pennsylvania, onestamente non avevo
intenzione, dopo meno di un anno, di tornare negli USA, ma in seguito
all'opera di convincimento di Biagio (mio marito), si decide di partire
per il Texas. Chiara si unisce a noi, cosa che - inutile dirlo - ci fa
molto piacere.
Partiamo l'11 gennaio da due aeroporti diversi (noi da Bologna e Chiara
da Verona) e ci accordiamo per incontrarci all'arrivo all'aeroporto
intercontinentale di Houston. Tutto OK fino all'arrivo in Texas: volo
tranquillo, poche persone, personale cortese. A Houston, una volta
sbarcati, cominciano le sorprese spiacevoli. La fila al controllo
passaporti è incredibilmente lunga: mai vista una cosa del genere.
Pensiamo si tratti di un intoppo momentaneo, ma ben presto - ahinoi -
scopriamo che si tratta della normalità dopo l'entrata in vigore delle
nuove leggi per la sicurezza nazionale, in base alle quali i dati di
ogni persona in entrata nel territorio statunitense - anche se soltanto
in transito! - devono essere immagazzinati nel "cervellone" che già
contiene informazioni su milioni di persone provenienti da tutto il
mondo. Dopo alcune decine di minuti che siamo in fila senza aver mosso
neanche un passo, arriva una signora di mezza età, rappresentante
dell'aeroporto, la quale, con marcato accento messicano, ci dice che
purtroppo ci sarà molto da aspettare e ci invita a stare in fila sulla
corsia di destra, quella riservata ai "visitatori", mentre quella di
sinistra è riservata ai cittadini americani e ai residenti. Molti
viaggiatori in transito si lamentano rumorosamente, essendo ormai chiaro
che, a causa di quella lunga ed imprevista attesa, perderanno le loro
coincidenze ed uno grida persino "ma chi ci vuole restare in questo
Paese!", ma la gentile signora spiega, quasi con orgoglio, che si tratta
di regole governative a tutela della sicurezza nazionale e che tutti,
indistintamente, in transito o meno, devono attendere ed essere
pazienti. Durante l'attesa una voce femminile dagli altoparlanti sparsi
un po' ovunque comunica più volte che la sicurezza nazionale è una cosa
da prendersi sul serio e che chiunque ci scherza sopra è passibile di
arresto. Finalmente, dopo circa 3 ore, arriva il nostro turno. Ci
avviciniamo all'agente addetto al controllo passaporti, al quale
porgiamo anche i moduli di ingresso preventivamente compilati.
L'agente digita i nostri dati sulla testiera del suo computer, ci chiede
il motivo della nostra visita e per quanto tempo resteremo negli USA,
controlla che tutto sia in ordine e timbra e ci consegna le ricevute dei
moduli che dovremo restituire al momento dell'uscita dal Paese. Infine,
ci prende le impronte digitali e ci scatta una fotografia. Ecco, ora il
cervellone contiene anche le nostre schede!
La privacy? Le libertà civili? Tutte cose che non esistono più
nell'America di oggi.
Mentre io e Biagio ritiriamo l'auto a noleggio, Chiara ci informa
telefonicamente che le hanno smarrito il bagaglio. Altra attesa per la
denuncia e la compilazione dei moduli. La compagnia aerea le assicura
comunque che entro un paio di giorni la valigia le sarà recapitata
direttamente in hotel. Stanca per il viaggio e contrariata per
l'accaduto, Chiara - anche se solo per un po' - ha perduto il suo bel
sorriso.
L'albergo di Houston presso il quale alloggiamo è modesto, ma sembra
pulito. Avremmo voluto restare anche questa volta a casa dei nostri
amici, che come sempre ci hanno chiesto di essere loro ospiti, ma per
una serie di motivi che non starò ad elencare, pensiamo sia meglio
alloggiare in questo motel ubicato in una posizione favorevole per
raggiungere sia il centro di Houston (e quindi la casa dei nostri
amici), che il carcere di Livingston.
Come promesso dalla compagnia aerea, dopo 2 giorni (durante i quali ci
siamo prevalentemente riposati per cercare di riprenderci dal fuso
orario) arriva la valigia di Chiara. Evviva! Purtroppo, però la felicità
del momento viene turbata da una scoperta inquietante: sotto ad uno dei
nostri letti troviamo una pistola. Nessuno di noi la tocca, ovviamente,
ci limitiamo a guardarla sgomenti. Chiamiamo il direttore dell'albergo e
poco dopo arriva un incaricato munito di guanti e con in mano un
asciugamano, il quale prende e porta al direttore lo scomodo oggetto.
"E' una pistola vera?", gli chiediamo. "Sì", risponde il ragazzo senza
esitare. Decidiamo di chiamare la polizia. Dopo poco si presenta un
cortese agente della polizia di Houston, sulla trentina, al quale
spieghiamo l'accaduto.
Ci saluta e ci ringrazia per aver ben pensato di chiamare la polizia.
L'agente prende in mano l'asciugamano che avvolge l'arma e la esamina
attentamente. Dopo un po', sorridendo, ci dice che si tratta di una
pistola non vera, una perfetta imitazione (priva di tappino rosso e
quant'altro) che avrebbe potuto ingannare chiunque. E' probabile sia
stata usata per una rapina o altro, ma questo non ci interessa. Ciò che
ci solleva è sapere che non era vera la pistola che per due giorni
abbiamo avuto sotto al letto. Al direttore dell'hotel chiediamo: "è
frequente trovare pistole in camera in questo Paese?".
Stiamo ancora aspettando la sua risposta. Comunque, considerando il
numero di armi in circolazione e a cui chiunque ha libero accesso, forse
non è poi così insolito.
La sera del 15 gennaio veniamo invitati all'inaugurazione della mostra
fotografica "Diary of an Execution" all'Artcar Museum di Houston (
www.artcarmuseum.com ). La mostra racconta la storia di Tina Duroy,
texana, che ha accompagnato suo fratello James Colburn, malato di mente,
alla sua esecuzione, avvenuta in Texas il 26 marzo 2003. Il fotografo
svizzero, Fabian Biasio, con questa serie di fotografie intende mostrare
con chiarezza, e ci riesce, che la vendetta nel nome di una vittima non
fa altro che creare un altro set di vittime: i famigliari del condannato
a morte. All'evento, organizzato e sponsorizzato da "Amnesty
International USA" e il Gruppo 23, la "Texas Conference Board of Church
and Society (United Methodist Church)", la "Texas Coalition to Abolish
the Death Penalty", la Diocesi Cattolica di Galveston-Houston, Pax
Christi USA, la Fondazione Svizzera Corymbo, il Consolato Generale
Svizzero, il Dipartimento Federale (svizzero) Affari Esteri e il Centro
Culturale svizzero, sono presenti: il dottor Victor R. Scarano,
psichiatra, avvocato e capo del dipartimento di psichiatria forense del
"Baylor College of Medicine", James G. Rytting, l'avvocato di James
Colburn, Tina Duroy, sorella di James, Fabian Biasio, il fotografo, e
David Atwood della TCADP. Sia la mostra che la discussione sono molto
interessanti. Il problema della pena capitale legato alla malattia
mentale viene esaminato da ogni angolazione. Mi auguro vivamente che
presto gli Stati Uniti pongano fine a questa barbarie nella barbarie,
cioè l'esecuzione di una persona malata di mente, in quanto mettere a
morte legalmente una persona che non è in grado di distinguere il bene
dal male o il giorno dalla notte, è - se possibile - ancora più
abominevole che "giustiziare" una persona che problemi di mente non ha.
Mi fa piacere vedere che la mostra e la sala del convegno sono gremite.
Incontro, fra gli altri, le amiche Gloria e Njeri, le quali - dopo i
soliti affettuosi saluti - mi danno una splendida notizia: la Corte del
5° Distretto ha riconfermato la decisione presa dalla Corte Federale nel
caso del mio amico Howard Guidry, che da 10 anni si trova nel braccio
della morte del Texas. Questo significa che lo Stato dovrà decidere se
riprocessarlo o scarcerarlo. Non sono in grado di prevedere ciò che
accadrà, ma comunque si tratta di un'ottima notizia, in quanto per ben
due volte un tribunale ha ammesso che qualcosa non andava nelle prove
usate per ottenere la condanna a morte di Howard (chi volesse ulteriori
informazioni sul caso è pregato di leggere
qui
Howard ancora non ne sa nulla. Sarò io a dargli la buona notizia in
occasione della mia prima visita. Che emozione!
Finalmente arriva il momento dei tanto attesi incontri con i nostri
amici rinchiusi nel braccio della morte. Chiara visita Willie Shannon, e
- nonostante lo conosca e lo visiti da anni - ogni volta è possibile
vedere sul viso di entrambi un'incontenibile emozione, sempre come se
fosse la prima. Come vorrei potessero abbracciarsi o almeno sfiorarsi le
mani per un secondo . Questa regola delle visite senza contatto è di una
crudeltà inaudita. Privare un essere vivente del calore del contatto con
un altro essere vivente è come impedire ad un fiore di sbocciare.
Della prima volta, invece, si tratta davvero per me con i miei amici
Thomas Miller-El e Howard. Nonostante abbia iniziato a corrispondere con
loro un po' di tempo fa, non ho ancora avuto il piacere di incontrarli
di persona. Li vedo entrambi per alcune ore e ogni volta il tempo vola!
Parliamo di diritti umani, politica, condizioni di vita nel braccio
della morte, spiritualità e amore. Sembra che ci conosciamo da sempre!
Con Thomas cerchiamo anche di fare congetture sulla decisione che la
Corte Suprema fra non molto prenderà sul suo caso. Non possiamo fare
previsioni, ma naturalmente nulla ci vieta di sperare che tutto vada
bene. E come descrivere il momento in cui comunico ad Howard la bella
notizia? Non ci sono parole . Non dimenticherò mai lo stupore,
l'incredulità e la felicità dipinti in quel momento sul suo viso.
Il 18 gennaio, al ritorno dalle visite a Livingston, seppur stanchi
decidiamo di fermarci all'incontro del "Comitato per la liberazione di
Frances Newton", al quale eravamo stati invitati in precedenza da Gloria
del "Texas Death Penalty Abolition Movement". Trovare il luogo
dell'incontro non è facile, in quanto il "Community Center" presso il
quale si svolge è in una zona di periferia che non conosciamo (si tratta
della zona da cui proviene Frances), ma alla fine ci riusciamo e ne
siamo contenti, perché a questo incontro davvero ci teniamo.
Siamo in diversi seduti attorno al tavolo, fra cui la mamma di Frances e
alcuni amici della famiglia, Gloria e Njeri del TDPAM, ed altri
attivisti. Veniamo informati degli aggiornamenti sul caso e poi si parla
di cosa si può fare. Le idee sono molte e anche la volontà non manca.
Dopo l'esecuzione sospesa poco tempo fa, speriamo soltanto che lo Stato
del Texas - anche alla luce delle nuove prove - conceda a questa donna
un'altra possibilità per dimostrare la sua innocenza.
Frances Newton, per chi non fosse a conoscenza del caso, è una donna
afro-americana rinchiusa da 17 anni nel braccio della morte del Texas
per 3 omicidi risalenti al 1987 (quello del suo stesso marito e dei suoi
2 bambini) che molto probabilmente non fu lei a commettere. In base alle
indagini svolte di recente da amici e famigliari di Frances, sembra
molto probabile che ad uccidere il marito di Frances e i 2 bambini sia
stato un trafficante di droga per motivi ancora non noti. Il verdetto di
colpevolezza a carico di Frances venne emesso quasi unicamente sulla
base dei test balistici eseguiti presso l'ormai tristemente famoso
laboratorio del dipartimento della polizia di Houston e, inutile dirlo,
l'avvocato d'ufficio che Frances aveva all'epoca non fece nulla per
difendere la sua cliente. Fra le altre cose che scagionerebbero Frances
(alcune delle quali non possono essere rivelate, essendo in corso altre
indagini al momento), c'è da notare che non venne trovata traccia di
sangue sugli abiti di Frances, né sulle sue mani e la sua auto,
nonostante le vittime fossero state uccise con colpi sparati a distanza
molto ravvicinata, e nessun residuo di polvere da sparo fu trovato sulle
mani di Frances né sul suo maglione. Purtroppo al momento non è
disponibile un sito dedicato a questo caso. Comunque, chi volesse
ulteriori informazioni e/o volesse partecipare alle attività del
comitato in difesa di Frances, può contattare Njeri Shakur al numero
telefonico 001-713-222-0749.
La stessa sera dell'incontro mi chiedono di partecipare alla
trasmissione tenuta da Gloria e Njeri alla stazione radio KPFT di
Houston. Si tratta di una radio ormai storica e molto nota fra gli
attivisti, texani e non, che operano in difesa dei diritti umani e delle
libertà civili. Una volta qualcuno ha persino cercato di farla
esplodere, segno evidente che è molto il fastidio che dà, almeno ai
tanti conservatori texani . Al programma, io parlo del caso di Howard e
di Thomas, punto sul lato umano e racconto un po' delle nostre visite.
Riesco anche ad inviare un saluto ai miei amici e un saluto a Willie da
parte di Chiara (sappiamo che i detenuti possono ascoltare questa
trasmissione). Oltre a me, viene intervistato un artista californiano
che con la sua arte cerca di lanciare i messaggi giusti.
Ma il Texas, si sa, non è la California, anche se pare che il nuovo
governatore, l'austriaco Arnold Schwarzenegger, si stia incamminando -
ahinoi - per la medesima strada. Come si sa (in verità negli USA se ne è
parlato poco o niente, ma qui in Europa sì, al punto che in Austria il
portavoce dei Verdi, Peter Pilz, ha dichiarato: "[...] La pena capitale
è inaccettabile in Austria e in Europa. Nessun cittadino austriaco può
prendere parte ad una esecuzione o ordinarla.
[.] Quindi, il
sostegno di Schwarzenegger [alla pena capitale] non soltanto viola le
leggi austriache, ma danneggia altresì l'immagine del Paese") la
California ha eseguito mercoledì scorso la prima condanna alla pena
capitale da anni a questa parte (e proprio "Terminator" ha firmato
l'ordine di esecuzione, come previsto dalla legge), mettendo a morte con
un'iniezione letale Donald Beardslee. Come riportato da alcuni giornali:
"la prima condanna a morte eseguita dalla California nell'era di Arnold
Schwarzenegger ha avuto un copione da pessimo film di Hollywood: per
trovare le vene dove inserire gli aghi ci sono voluti 6 minuti e ne sono
dovuti passare altri tredici, prima che nel carcere di San Quintino
arrivasse l'annuncio dell'avvenuta morte di Donald Beardslee, 61 anni,
gli ultimi 24 dei quali passati in attesa dell'incontro con il boia".
Che Schwarzy stia aspettando una modifica della Costituzione
per poter diventare uno dei prossimi presidenti americani? Data l'aria
che tira, non lo escluderei .
Il 20 gennaio, proprio mentre il presidente Bush stava facendo il suo
discorso di inaugurazione, si tiene presso un'aula del tribunale di
Hunstville l'udienza a carico dell'amico David Atwood, da moltissimi
anni attivista in difesa dei diritti umani, risultata in una condanna a
cinque giorni di detenzione da scontarsi presso il carcere della Contea
di Walker (inizialmente avevano chiesto almeno 10 giorni e una multa
consistente). L'accusa, come ricorderete, era quella di aver
"oltrepassato la linea" nel corso della protesta contro l'esecuzione di
Anthony Fuentes il 17 novembre 2004 di fronte alla "Walls Unit". Il
gruppo a sostegno di Dave in tribunale è composto da diverse persone
provenienti da diverse città texane.
Naturalmente ci siamo anche io, Chiara e Biagio dall'Italia, e questo -
si vede - fa a Dave e agli altri attivisti molto piacere, ma - ne sono
certa - stupisce non poco chi non ci conosce e si domanda come mai siamo
lì, da così tanto lontano, per appoggiare un uomo che, comunque, ha
commesso un reato. Come già ho avuto modo di scrivere in un breve
resoconto approntato al mio rientro per la ListaCoalit, l'ostilità del
giudice nei confronti di Dave per aver osato sfidare il sistema è
evidente fin da subito, ma Dave, accettando quasi di buon grado il
carcere, non si lascia intimorire e rimane fermo sulla sua posizione: è
giusto protestare contro l'esecuzione di un essere umano, in quanto
immorale ed inaccettabile in un Paese che voglia definirsi civile.
Dopo l'emissione della condanna, chiediamo, non essendo a rischio fuga,
che venga concesso a Dave un ultimo "giorno libero" da poter trascorrere
con noi e con la sua famiglia (che non era affatto preparata ad una
decisione così severa), ma soprattutto per dargli modo di cambiarsi gli
abiti e di andare a casa a prendere i farmaci che abitualmente assume.
La risposta è no. Lo sceriffo lo porta via quasi subito, abbiamo solo il
tempo di abbracciarlo. Ma almeno questa volta, a differenza di quanto
fatto il giorno dell'esecuzione di Anthony, gli vengono risparmiate le
manette. Il pomeriggio e il giorno seguente cerchiamo di fare avere a
Dave un libro e della carta per scrivere, ma il tutto viene negato, in
quanto - in base alle regole - il libro deve essere spedito direttamente
da un negozio autorizzato e tutti gli acquisti devono essere fatti
presso la spaccio. Che stupidi a pensare che potessero chiudere un
occhio!
Il 21 è il giorno della nostra partenza. Facciamo i bagagli, salutiamo
tutti i nostri amici, e . arrivederci, Texas, aspettaci, perché -
nonostante tutte le difficoltà - noi non molliamo!
Arianna
|
|