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Chi trae profitto dalla morte dei nostri soldati?

di Al Cunningham

(libera traduzione di Arianna Ballotta)

 
     
 

Dicembre 2004
 

Impettito, con addosso un giubbotto da pilota, George W. Bush, l’uomo del momento, se ne stava là sulla portaerei a proclamare la vittoria degli Stati Uniti d’America nella cosiddetta “guerra” in Iraq. Naturalmente è facile essere degli eroi con la vita degli altri! Ma proprio mentre Bush annunciava la fine delle ostilità, la vera guerra stava per cominciare.

Persino il non acutissimo Saddam Hussein aveva imparato dalla prima Guerra del Golfo che scontrarsi con le truppe americane in battaglie convenzionali sarebbe equivalso a suicidarsi. Seppure impegnate con ripetuti attacchi da parte degli irregolari iracheni, le truppe americane hanno passato il deserto e sono arrivate a Baghdad senza scontrarsi con l’esercito regolare iracheno, che non ha fatto uso delle normali tattiche militari, quali il far saltare i ponti per rallentare l’avanzata del nemico. Le fortificazioni della Guardia Repubblicana fuori Baghdad sono state oggetto di devastanti bombardamenti da parte degli americani prima dell’ingresso in città della fanteria: se si fossero trovati là, migliaia di soldati iracheni sarebbero morti. Il Pentagono non ha emesso alcun rapporto ufficiale sul numero di soldati iracheni e di civili morti durante la guerra. Alcune migliaia di soldati si sono arresi e altri senza dubbio hanno deciso di disertare, ma considerando che erano un milione gli iracheni che si trovavano sotto le armi [all’inizio delle ostilità], senza dubbio molti si sono ritirati e hanno deciso di nascondersi in base ad una strategia preventivamente ben studiata.

Infatti, gli eventi suggeriscono che lasciare arrivare agli americani senza intoppi e successivamente impegnarli in una guerriglia protratta, era fin dall’inizio il piano di Saddam Hussein. Le truppe americane si sarebbero trovate intrappolate in un pantano, l’aumento del numero di soldati americani uccisi avrebbe spinto le truppe statunitensi a ritirarsi dall’Iraq, Bush e l’America sarebbero stati umiliati per vendicare l’umiliazione subita in precedenza da Saddam Hussein e dall’Iraq nella guerra del 1991, e Saddam Hussein, anche se non fosse sopravvissuto fino alla vittoria finale, sarebbe entrato nella storia come un eroe del mondo arabo, anziché essere ricordato come un despota psicopatico.

Ad ogni buon conto, se Bush, Rumsfeld e Wolfowitz davvero pensavano che gli americani sarebbero stati accolti dal popolo iracheno come liberatori, si erano illusi parecchio. Come potevano gli iracheni accoglierci con benevolenza, dopo che il loro Paese era stato distrutto e i loro ragazzi uccisi nella Guerra del Golfo, senza parlare delle conseguenti sanzioni economiche?

Oggi anche i media leccapiedi statunitensi non possono negare che il popolo iracheno vuole che le truppe americane lascino il Paese. La maggior parte degli iracheni naturalmente non attacca i soldati americani, però mostra poca simpatia per lo stato in cui si trovano nelle mani di quelli che sono evidentemente combattenti iracheni ben addestrati, [cioè] i soldati che si erano nascosti durante la guerra e che sono tornati adesso per combattere ancora.

Secondo i giornalisti britannici presenti in Iraq, della maggior parte degli attacchi alle truppe americane non viene data notizia, ma anche così quasi ogni giorno vengono segnalati attacchi con una o più vittime fra gli americani. Questi giovani americani sono stati catapultati in una situazione che non capiscono e che non sono in grado di fronteggiare. La loro frustrazione e la loro rabbia sono comprensibili, ma sfogarsi con i civili iracheni, anziché con i veri responsabili, e cioè coloro che li hanno mandati in Iraq, non fa altro che far aumentare l’odio del popolo iracheno nei loro confronti e far aumentare il sostegno popolare per la resistenza armata.

Questi americani sono i figli e le figlie del proletariato, e non i figli e le figlie degli investitori e sostenitori di Bush che vogliono trarre profitto dalla vittoria e dal controllo dell’Iraq. La maggior parte di questi ragazzi si è arruolata per avere un lavoro, per avere benefici a livello di istruzione, o semplicemente per sfuggire alle poche opportunità offerte dalle città nelle quali viveva. E a tutti è stato fatto il lavaggio del cervello, al punto da convincerli che andare a combattere in un Paese lontano significa “proteggere la libertà”. Questa bugia è forse la peggiore di quelle dette dall’amministrazione Bush al fine di giustificare la conquista dell’Iraq. Lottare per proteggere la libertà è una nobile causa che, com’è giusto che sia, richiama i giovani che vogliono fare qualcosa di utile e significativo nella propria vita. E i giovani si arruolano e vengono inviati in posti come l’Afghanistan e l’Iraq, per poi scoprire lentamente che è tutta una menzogna. Chi li governa si prende gioco cinicamente dei loro ideali e della loro buona fede. Questi giovani non sono altro che strumenti che i governanti usano per raggiungere i propri scopi ben poco pieni di ideali, bensì di egoismo, al fine di ottenere potere e profitto. […] Anche se forse la maggior parte dei soldati tornerà a casa viva, la guerra per loro non sarà finita. Proprio come accaduto ai 200.000 veterani della Guerra del Golfo che ancora soffrono di quella che viene chiamata “sindrome della Guerra del Golfo”, anche questi giovani al loro ritorno a casa si ammaleranno a causa dell’esposizione all’uranio impoverito e ad altre sostanze chimiche ed avranno un gran numero di problemi a livello psicologico.

Al fine di porre fine a questo ciclo di inganni e raggiri è necessario che il proletariato americano sviluppi uno scudo intellettuale in grado di far fronte alla propaganda della classe governante. Questo scudo può essere costruito soltanto in seguito alla comprensione di quelli che sono i reali fattori di classe nell’America di oggi. Non siamo affatto un popolo unito contro il “male”. Siamo un popolo diviso in due classi: una di queste, la stragrande maggioranza, è composta da coloro che svolgono il lavoro e procurano benessere alla nazione; l’altra, quella di Bush, Cheney e Rumsfeld, non svolge alcun lavoro al fine di produrre ricchezza, ma si impadronisce di quanto prodotto dagli altri.

L’escursione in Iraq di Bush, Cheney e Rumsfeld per mettere a sacco e guadagnare, altro non è che il prolungamento naturale del loro ladrocinio in Patria. Quando i lavoratori si renderanno conto di come vengono sfruttati da questi imbroglioni e si uniranno contro la classe dei truffatori, allora vedranno con estrema chiarezza tutte le bugie che stanno dietro alla “lotta per la libertà”.

Una lotta per la libertà ci sarà, senz’altro. Ma sarà finalmente la lotta per liberare l’America dagli artigli di Bush e della sua gang di criminali.


Al Cunningham
Box E-22600
San Quentin, CA 94974
USA

 
 
 
 

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